Omelia (09-11-2008) |
don Marco Pratesi |
Un fiume di benedizione Nell'ultima parte del suo libro (cc. 40-48), Ezechiele si proietta profeticamente oltre la fine dell'esilio, e espone l'assetto del nuovo, rinato Israele. Molto spazio vi è dedicato alla descrizione del futuro tempio, e il nostro passo, colmo di elementi simbolici, ne è sicuramente la sezione più significativa. Il dato saliente è ovviamente la sorgente di acqua che sgorga dal tempio: la presenza di Dio in mezzo al suo popolo sarà fonte di benedizione sovrabbondante, diretta e palese. La facciata del tempio è volta a oriente: illuminata dalla luce divina, di essa illumina tutta la regione. Non è facile decifrare il simbolo rappresentato dal "lato destro" del tempio, dal quale l'acqua sgorga, al quale l'autore attribuisce certamente un significato, perché lo ripete due volte. La parte destra è la più nobile e importante (cf. Gen 48,14; Lv 8,23-24); in questo senso il testo direbbe che quest'acqua è "quanto di meglio", di più alto Dio possa donare. Forse c'è invece un'allusione al "mare", il grande bacino di bronzo che nel tempio di Salomone conteneva l'acqua per la purificazione dei sacerdoti, posto appunto a destra nel cortile (cf. 1Re 7,39; 2Cr 4,10); in tal caso l'acqua che sgorga dal tempio verrebbe ad avere anche un potere di purificazione (cf. Ez 36,25). Le acque scendono nell'Araba, cioè nella depressione del Giordano e del Mar Morto, portando ovunque vita. Le acque del Mar Morto, sterili a motivo della eccessiva concentrazione salina, diventano feconde. Quel paesaggio spettrale, legato nella memoria biblica alla punizione del peccato di Sodoma e Gomorra (cf. Gen 13,10; 19,24-25), diviene un tripudio di vita per animali (pesci), piante (che crescono lussureggianti sulle rive), e uomini (che possono nutrirsi di frutti straordinariamente abbondanti e curarsi con foglie mai vizze). Il messaggio di Ezechiele al popolo ancora in esilio è forte: attualmente disperso, ritroverà il suo centro vivificante, perché Dio sarà di nuovo in mezzo a esso, e lo inonderà di vita e benedizione in modo ancora più abbondante di prima, in modo addirittura straripante. La liturgia propone questo testo nella festa della dedicazione della basilica del Laterano, sede del vescovo di Roma, festa anche di ogni chiesa cristiana. Per giungere dal tempio di Ezechiele alle nostre chiese il cammino è lungo. Passa attraverso il Cristo, nuovo vivente tempio di Dio (cf. Gv 2,19-21), dal quale sgorga in abbondanza e permanenza l'acqua dello Spirito Santo (cf. Gv 7,37-39). Passa poi attraverso quel tempio che è costituito dal Cristo insieme ai suoi discepoli, pietre vive che vanno a formare l'edificio della chiesa come comunità dei credenti (cf. Ef 2,20-22; 1Pt 2,4-5). Come Maria, "vergine fatta chiesa" (virgo ecclesia facta, S. Francesco, Salutatio Beatae Mariae Virginis), ogni credente è tempio di Dio (cf 1Cor 3,16; 6,19). Di questo tempio vivo è segno la chiesa come edificio che, da questo punto di vista, è luogo santo, unico, dove si effonde in modo molteplice la benedizione di Dio. Tra le molte chiese cristiane presenti nel mondo, una è segno del tutto speciale: la sede del papa, che rappresenta l'unità della chiesa, germe e lievito dell'unità di tutta la famiglia umana, verso la quale tende l'intero progetto di Dio, pienamente realizzata nella Gerusalemme celeste. Il profeta Giovanni riprenderà la visione di Ezechiele (cf. Ap 22,1-2), arrivando a concepire quello che l'antico profeta non aveva osato: il tempio non c'è più, perché la città è abitata direttamente da Dio e dall'Agnello (cf. Ap 21,22). I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |