Omelia (09-11-2008)
mons. Ilvo Corniglia


La liturgia odierna, che rimpiazza quella della domenica 32°, celebra la Dedicazione della Cattedrale di Roma, consacrata a Gesù Salvatore e successivamente intitolata anche a S. Giovanni Battista e a S. Giovanni Evangelista. L’iscrizione latina sul suo portico è – tradotta in italiano – "Madre e Capo di tutte le Chiese di Roma e del mondo". In ogni Diocesi la chiesa cattedrale richiama simbolicamente l’intera Chiesa locale guidata dal Vescovo, successore degli Apostoli. Essa è il luogo dove il Vescovo dalla "cattedra" annuncia il Vangelo e ammaestra la comunità cristiana. E’ anche il luogo dove tutta la famiglia Diocesana si raccoglie, almeno idealmente, nell’ascolto della Parola proclamata dal Vescovo e nella celebrazione eucaristica da lui presieduta. E’ quindi simbolo dell’unità dell’intera Chiesa locale stretta attorno al Vescovo, vicario di Cristo. Se ciò vale di ogni cattedrale, tanto più e in senso pieno si applica alla cattedrale del Papa: vescovo di Roma e successore di Pietro; "vicario di Cristo e pastore di tutta la Chiesa... perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli" (LG 22-23). S. Ignazio martire, all’inizio della lettera ai cristiani di Roma, si rivolge alla Chiesa "che presiede alla carità". L’intera Chiesa diffusa nel mondo è "amore" e la Chiesa di Roma svolge il ruolo di incoraggiare, coordinare, unificare, guidare nell’amore tutte le comunità cristiane della terra. Tale compito lo attua in modo pieno attraverso il servizio del suo vescovo, il Papa. Ne siamo consapevoli? Coltiviamo, e come, il rapporto di comunione con la Chiesa di Roma e soprattutto col Papa?

I testi biblici della festa ci offrono anche l’opportunità per riflettere sul significato dell’edificio sacro (sia chiesa cattedrale che parrocchiale).
Il vero tempio, dove Dio si compiace di abitare, qual è? Dove si trova?

Una prima risposta è offerta dall’odierno brano di Vangelo. Gesù ha scacciato fuori dal tempio tutti i venditori: "Non fate della casa del Padre mio un mercato!". Il tempio, che per i Giudei è la casa dove abita il proprio Dio, il Dio di Israele, per Gesù è la casa di suo Padre e quindi la casa sua, di Lui che col Dio di Israele è legato dal rapporto unico e indicibile del figlio col proprio padre. I Giudei pretendono un segno che provi questa sua autorità. La risposta di Gesù mostra che col suo gesto Egli non si limita a condannare gli abusi del culto, non si limita a contestare le false sicurezze ancorate a una religione formalistica e a un culto non coerente con la vita: un richiamo che non cessa di essere attuale. Ma, di più, Egli annuncia la fine del vecchio culto e l’inaugurazione di un culto nuovo, di un modo radicalmente nuovo di incontrare Dio: "Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere". Gesù annuncia un tempio nuovo. Nell’AT e per il giudaismo, il tempio aveva sostanzialmente due significati che lo rendevano il cuore pulsante e il centro dell’unità religiosa e nazionale di tutto Israele, anche degli ebrei, ben più numerosi, residenti fuori della Palestina: era il luogo della presenza divina. Qui il credente ebreo veniva per incontrare il suo Dio. Ma – ecco l’altro significato – il tempio era il luogo di riunione e di incontro di tutti i membri di Israele. Qui, nell’incontro di preghiera col loro Dio, essi ricuperavano la coscienza della propria identità di popolo eletto e rinnovavano l’esperienza della propria unità e fraternità. Si comprende allora la portata della dichiarazione di Gesù: tutto quello che il tempio significava di incontro con Dio nel culto e nella preghiera, come pure di unità religiosa e nazionale, tutto questo sta per scomparire. Ma sarà rimpiazzato con qualcosa di meglio, cioè con un altro tempio, un nuovo tempio, un nuovo culto, un nuovo luogo di incontro con Dio e tra fratelli. Questa dichiarazione di Gesù per ora è oscura, enigmatica. Ma più tardi i discepoli, dopo la sua risurrezione, capiranno che "egli parlava del tempio del suo corpo". Cioè, morendo e risuscitando, Gesù diventa lui stesso il nuovo tempio annunciato dai profeti. Non più un tempio di pietra, ma di carne.
Si compie la celebre visione di Ezechiele (47,1-12: I lettura): l’acqua, che sgorga dal "lato destro del tempio" e s’ingrossa risanando e suscitando la vita dovunque arriva, è simbolo della salvezza che Dio, presente nel santuario futuro, comunicherà.
Così l’acqua uscita dal fianco di Gesù crocifisso, trafitto dalla lancia (Gv 19,34. Le raffigurazioni degli artisti mostrano il fianco destro), simboleggia lo Spirito Santo che Gesù, morto e risorto, nuovo e definitivo luogo della presenza di Dio, effonde sui credenti.
Il sogno, che attraversa l’AT ("Dio con noi") e che il tempio di pietra realizzava molto imperfettamente, trova la sua piena attuazione nel Signore risorto. In Gesù i due significati del vecchio tempio sono mirabilmente congiunti: in Lui appunto Dio amore si fa presente e si dona senza limiti e tutti possono incontrarlo e lasciarsi afferrare. Ma – secondo aspetto – il Cristo morto e risorto è anche il luogo dell’incontro, il luogo del grande raduno degli uomini. Attorno a Lui si costituirà un’unica famiglia, formata da quanti, a Lui legati e con Lui divenuti figli, incontrano il Padre.
Qui si colloca la seconda risposta: la comunità di coloro che appartengono a Gesù attraverso la fede, diventa essa stessa tempio di Dio.
È quanto afferma in modo esplicito San Paolo nella seconda lettura (1Cor 3,9-17): "Voi siete l’edificio di Dio... Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? ...Santo è il tempio di Dio, che siete voi".... Abbiamo qui una delle immagini bibliche più feconde, ripresa anche dal Concilio, per designare la Chiesa. L’immagine dell’edificio si presta ad alcune applicazioni.
La prima: la Chiesa come casa che cresce su quel "fondamento" che Paolo ha posto (1Cor 3,10: II lettura): Gesù Cristo da lui annunziato e accolto nella fede dai suoi destinatari. La Chiesa come "edificio" si costruisce nel senso che tende a incorporare sempre nuovi membri, a crescere cioè numericamente; ma anche nel senso qualitativo, cioè nell’appartenenza a Cristo e nel rapporto d’amore con Lui. In questo cantiere, che è sempre aperto, c’è lavoro per tutti: ognuno è un operaio specializzato, ognuno è insostituibile. Tutti operano sotto la guida dell’unico direttore dei lavori, l’unico architetto, che è Cristo. Ma anche nel senso che ognuno è "pietra viva" di questo edificio, intimamente legata alla "Pietra viva", che è il Cristo Crocifisso-Risorto. E insieme è legato, articolato con le altre "pietre vive", cioè con i fratelli della comunità (cfr. 1Pt 2,4-9). Collante fra le pietre vive che compongono questo edificio, che è la comunità cristiana, è la partecipazione all’Eucaristia, e l’impegno a vivere la "spiritualità di comunione" che l’Eucaristia fonda ed esige.
"Noi siamo il tempio del Dio vivente" (2Cor 6,16). Ha ancora senso allora un edificio materiale? Esso è il luogo dove la comunità cristiana si raduna, soprattutto per le celebrazioni e la preghiera. Simboleggia e accoglie il vero tempio di Dio, fatto di pietre vive, che è la comunità cristiana. Propriamente, perciò, non porta più il nome di "tempio", ma viene chiamato "Casa della Chiesa", casa dove si raccoglie il vero tempio, la vera casa di Dio che è la Chiesa. Non è senza significato il fatto che la parola "Chiesa" indica non solo la comunità riunita, ma anche l’edificio che la ospita. C’è da aggiungere che la celebrazione e poi la conservazione dell’Eucaristia, cuore pulsante della Chiesa, conferisce a questa dimora il carattere di un vero "santuario". Non per nulla l’Eucaristia è custodita nel "Tabernacolo" (= tenda, che richiama la tenda del deserto, luogo della presenza di Dio).

Ho mai riflettuto sul senso dell’edificio sacro e su ciò che mi richiama?
Le nostre celebrazioni sono esperienza di adorazione vera a Dio e di incontro fraterno?
Per la presenza di Cristo nell’Eucaristia e nella comunità riunita, grande rispetto merita anche l’edificio sacro. Tutto in esso - dall’ordine e pulizia all’armonia delle linee architettoniche e dell’arredamento, al decoro delle celebrazioni (cfr. Eccl. de Euch. 47 - 52) - tutto dovrebbe testimoniare l’originalità di questa casa, facendo quasi sentire la bellezza, il fascino della Presenza divina che essa contiene e della famiglia di fratelli che qui si ritrova a vivere i momenti più significativi della sua vita. Tutto nell’edificio sacro, anche le pareti, dovrebbe annunziare il Vangelo; ma specialmente l’accoglienza e l’amore con cui si vivono le celebrazioni.
Tutti i cristiani dovrebbero sentirlo come la propria casa, la casa di famiglia, di cui ognuno è responsabile.
Casa fai perché sia così? Quali suggerimenti daresti?