Omelia (09-11-2008)
don Daniele Muraro


Molti si chiedono che cosa c’entri Ponzio Pilato nel Credo. In effetti egli in quanto rappresentante del potere politico di Tiberio Cesare sulla Palestina è garanzia di storicità del processo a Gesù e aggancio di universalità della di Lui passione e morte. Per questo lo nominiamo ogni domenica nella Messa.
Quest’oggi la chiesa ci propone di far memoria di un’altra epoca del passato e di un altro luogo, anch’essi per sempre collegati alla sviluppo del Cristianesimo. Si tratta della fine delle persecuzioni anticristiane dell’impero romano e della costruzione della Basilica Lateranense, prima chiesa in assoluto ad essere pubblicamente consacrata, cioè dedicata esclusivamente al culto del Dio cristiano.
Siamo nel 324 proprio il 9 Novembre e papa Silvestro può finalmente entrare nella chiesa terminata, dono dell’Imperatore Costantino ed edificata sul terreno del colle Laterano, proprietà fino a poco prima della moglie dello stesso imperatore, di nome Fausta.
La costruzione fu a carico dell’Imperatore come risarcimento ai cristiani delle confische e dei dànni subiti durante gli anni cruenti delle persecuzioni.
Già nel 312, subito dopo la vittoria di Saxa Rubra, Costantino aveva incontrato papa Milziade trattando con lui anche di restituzioni e di indennità spettanti alla Chiesa di Roma. Fu così che nell’ottobre del 313 papa Milziade potè tenere il primo sinodo in tempo di pace proprio nella villa di Fausta sul Laterano.
Ma Costantino non si interessò solo di questioni patrimoniali. Egli, ottenuta la pacificazione dell’Impero si preoccupò anche di rinnovare l’edificio della legislazione.
Durante il tempo del suo governo gradualmente furono emanati provvedimenti che si avvicinavano alla sensibilità cristiana. Il giorno di domenica fu considerato festivo, soprattutto nei tribunali, tuttavia anche di domenica si potevano emancipare gli schiavi sia in sede civile che nelle stesse chiese con uguale valore per lo stato. Le antiche sanzioni di Ottaviano Augusto contro il celibato e la mancanza di prole furono abolite.
Le condizioni degli schiavi furono mitigate di molto: fu proibito anche ai pagani di marchiare con ferro rovente il volto degli schiavi fuggitivi, così come l’uccisione e la tortura dei propri schiavi. Alla stessa maniera fu proibita la separazione di padre madre e figli di una stessa famiglia in occasione della spartizione del patrimonio. Furono proibiti per tutti, pagani e cristiani, gli spettacoli cruenti dei gladiatori e la pena dei condannati ai giochi del circo fu commutata in lavoro coatto alle miniere.
Furono emanate leggi in protezione degli orfani, delle vedove e dei bambini esposti, contro le nozze forzate e la prostituzione negli alberghi. Infine, particolare non indifferente, fu proibito di impiegare la croce come strumento di supplizio.
Mentre emanava queste leggi Costantino non era ancora ufficialmente diventato cristiano. In quanto imperatore rimaneva pur sempre il pontefice massimo della religione pagana e i templi pagani rimanevano aperti accanto alle chiese cristiane. Nondimeno egli prese alcuni provvedimenti contro il paganesimo, per ragioni di ordine pubblico e di pubblica moralità. Alcuni templi in Libano, già noti nell’antichità per le dissolutezze che vi si commettevano furono chiusi. L’esercizio della magia e della divinazione fu proibito nelle case private. Quando a Spello i cittadini domandarono il permesso di costruire un tempio per celebrare il culto della famiglia Flavia, la sua, ottennero il permesso da Costantino ma con la clausola che "l’edificio dedicato al nostro nome non sia contaminato dalle frodi di qualsiasi contagiosa superstizione".
Tutto questo per dire che Costantino, come tutti gli antichi del resto, aveva ben chiaro che non si può separare la maniera di come si prega, dalla maniera in cui si vive. Da parte nostra, noi, guardano indietro a quell’epoca di straordinarie riforme, possiamo dire che da come si prega dipende anche come si vive.
Di solito si parla diversamente, ossia si dice che non può pregare bene chi vive male e questo è vero, ma oggi vorrei attirare la vostra attenzione sul reciproco di questo ragionamento, ossia che chi prega bene poi vivrà anche meglio.
Questo è quello che è capitato all’epoca di Costantino, questo è quello che dobbiamo recuperare noi oggi.
I vizi degli antichi trovavano la loro conferma nei miti dei loro dèi e nei culti che li celebravano. Le virtù, ossia le buone pratiche di cui sentiamo la mancanza nel nostro tempo tanto confuso, trovano il loro inciampo nell’assenza di slancio interiore e di spiritualità che tristemente caratterizza la nostra epoca.
Non sappiamo più pregare e per questo non sappiamo più vivere bene. Non solo in privato, ma anche in pubblico la preghiera è considerata talora una perdita di tempo, quasi sempre un peso.
L’immagine della prima lettura, il ruscello che uscendo dal tempio si ingrossa e diventa un fiume tanto profondo da non poter essere traversato a guado e capace di risanare e dare vita ci stupisce per la sua maestosità, ma non ci può lasciare indifferenti nel suo significato. Si tratta del fiume della grazia di Dio, che scaturendo dai sacramenti della Chiesa (il tempio) bagna le sponde della società con cui viene a contatto, risana le acque amare del peccato e permette di produrre i frutti buoni di una vita cristiana intensa.
Questa è la sapienza che ha portato le comunità cristiane, una generazione dopo l’altra ad edificare luoghi di culto e a consacrarli alla preghiera a Dio, all’ascolto della sua Parola, all’incontro con Lui attraverso i sacramenti.
Qualcuno potrà dire che il luogo esterno è solo un’occasione per la preghiera e non la sua importanza non va esagerata perché il vero tempio di Dio siamo noi. Ciò mi sta bene, lo dice anche la seconda lettura. Ma allora prendiamo sul serio pure l’avvertimento di Gesù nel Vangelo e non facciamo del nostro cuore un luogo di mercato dove c’è posto per tante cose, e il pensiero di Dio viene dopo.
"Io mi sono scelto e ho consacrato questa casa perché il mio nome vi resti sempre." Se questo vale per una chiesa consacrata, e la Basilica Lateranense serve da modello, vale tanto più per ciascuno di noi dal giorno del suo battesimo in poi. Ricordarcelo più spesso non può che farci bene.