Omelia (18-05-2003) |
don Romeo Maggioni |
Io sono la vite e i tralci Per due domeniche, oggi e la prossima, la Chiesa ci propone di meditare il cuore del testamento di Gesù, detto nel Cenacolo, la vigilia della sua passione (Gv capitoli 13-17). Tre sono i protagonisti in gioco: il Padre, Gesù e noi, e gli intimi legami che di tutti fanno una cosa sola: "Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola" (Gv 17, 21). Si tratta della rivelazione della connessione profonda che ci lega a Cristo, e per lui al Padre; in sostanza, del nostro destino di divinizzazione. Il linguaggio è per immagini: Gesù parla all'uomo, a partire dal realismo immediato delle sue esperienze quotidiane. 1) LA VITE E I TRALCI L'immagine della vigna per esprimere i rapporti tra il Dio d'Israele e il suo popolo corre per tutta la Bibbia, e trova una sua punta lirica in Isaia 5: "Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l'aveva vangata e sgombrata di sassi e vi aveva piantato scelte viti. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica". Si lamenta il Signore deluso: "Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?" (1-7). "Il Padre mio - dice oggi Gesù - è il vignaiolo". Da sempre Dio è il più premuroso e appassionato costruttore della nostra vita e della nostra salvezza, più di quanto noi non facciamo per noi stessi! "Il Padre mio - ebbe a dire Gesù - opera sempre e anch'io opero" (Gv 5,17). Dio si dà da fare; siamo noi che siamo una frana! Ma almeno una volta il Padre è rimasto soddisfatto, in un caso la sua vigna ha fatto uva buona: è il caso di Gesù, la vite che ha fatto frutti buoni e non ha deluso. "Io sono la vera vite", afferma oggi Gesù. Vera anche perché, più profondamente, "tutto è stato creato per mezzo di lui e in vista di lui, egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui" (Col 1, 16-17). Se l'uomo c'è, è perché è stato come 'stampato' da lui, sul progetto di lui, "predestinati - come siamo, scrive san Paolo - ad essere conformi all'immagine del Figlio suo perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29). Noi siamo - stando al sogno di Dio - come il prolungamento del Figlio Unigenito, quasi membra del suo Corpo, spiega san Paolo. Appunto: noi siamo i tralci dell'unica vite. "Io sono la vite, voi i tralci". I tralci non hanno vita da sé, né fecondità di frutti: sono vitali nella misura della connessione con la vite. "Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me". Far frutto significa realizzare di noi quello che il Padre ha realizzato nel Figlio, fare di noi per grazia quello che l'Unigenito è per natura, figli ed eredi, parte integrante di Casa Trinità. Tutto questo non per imitazione, indipendentemente dal Fratello maggiore, ma come da Lui, per la vitalità trasformante che ci deriva da Lui. In conclusione, dice Gesù, Dio sogna di farvi suoi, incominciando a farvi come me, parte di me: "In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli". 2) RIMANETE IN ME Se questo è il quadro, tocca ora a noi corrispondervi. L'invito è a "rimanere" in Gesù: "Rimanete in me e io in voi". Anzitutto con l'accoglienza di fede della sua parola: "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato". L'intimità scatta immediatamente. E' una parola che ci giudica e purifica, che chiede conversione: "Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto". Perciò è una parola che va tradotta nella vita: "Chi osserva i suoi comandamenti - precisa oggi la seconda lettura - dimora in Dio ed egli in lui". Ma vi è una dimora e una comunione a livello più profondo e personale, che si istaura attraverso l'Eucaristia: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me, vivrà per me" (Gv 6, 56-57). Cioè: la pienezza di vita propria di Dio scorre fino a noi tramite Cristo. E' quella presenza speciale di Gesù, attraverso il sacramento, che - sotto forma di alimento - si unisce a noi e trasforma la nostra umanità in divinità, porgendole tutta la fecondità che deriva dall'azione dello Spirito di Dio. "In questo conosciamo - continua ancora la prima lettera di Giovanni - che dimora in noi: dallo Spirito che ci ha dato". Quello Spirito santo che è la vera forza e la legge nuova che garantisce la vita al discepolo di Gesù. Difatti: "Senza di me non potete far nulla", è la sentenza dura di Gesù oggi. "Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie. Chi non rimane in me, viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano". Infecondità e fallimento sul piano terreno e su quello eterno! La vita - che per Giovanni è sempre un'unica realtà dell'oggi e del domani, cioè quella vita divina in noi che ci garantisce con la risurrezione della carne le vita eterna - è decisa proprio dal legame con Cristo, perché altrimenti, lasciata alla nostra sola capacità è semplicemente sopraffatta dal peccato, quindi dal male e dalla morte. ****** Senza di me, nulla! E' una sfida alla nostra cultura così autosufficiente. Eppure, qualcosa si incomincia a capire, almeno a livello più maturo e consapevole. L'invocazione etica sempre più frequente in ogni campo dice che, senza verità globale, lo sguardo sull'uomo solo scientifico e tecnico, è negativo. Più difficile forse è convincerci del limite della nostra libertà, debole ed egoista, bisognosa di profondo risanamento attraverso la grazia. E' conquista, o dono, di pochi spiriti religiosi che, aspirando a più alti ideali e valori - al di sopra dei compromessi e delle rassegnazioni quotidiane -, sentono quanto ardua sia la meta e inefficaci i propri sforzi. E si danno alla preghiera, l'unica formula d'efficienza e fecondità per chi dell'uomo ha intuito la vocazione integrale ed eterna! |