Omelia (08-12-2008) |
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All’inizio (cioè al centro), la fiducia in Dio Nel cammino dell’Avvento, oltre al percorso tracciato dalle quattro domeniche, celebriamo anche la festa dell’Immacolata Concezione di Maria. Non è facile incontrare spazio nel nostro cuore, pieno di tante ricette di felicità e di tante esperienze di fallimento, per l’attesa di un Dio che compie le nostre aspettative più profonde; forse è ancor meno facile aprirvi un varco per comprendere il senso e la grazia di questa festa mariana. Essa celebra un dogma della Chiesa definito nel 1800, in un contesto molto diverso dal nostro: il modo di esprimere questa verità e il suo rapporto con la nostra vita ci sfuggono e occorre fare un lavoro per recuperarne l’attualità e l’interesse. Per fortuna il cammino per "dire" il senso anche di questa festa è la Parola di Dio: seguendo questo cammino c’è da scommettere che questo dogma e questa festa possano di nuovo parlarci, annunciandoci la buona notizia del vangelo di Gesù. In effetti la Bibbia non è composta di dogmi (formulazioni concettuali di aspetti della verità rivelata da Dio in Cristo per la nostra salvezza), ma ora di racconti sapienziali (come la prima lettura di Genesi), ora di liriche (come l’inno della seconda lettura), ora di storie che sono interpretazioni letterarie di fatti realmente accaduti (come è il caso del vangelo dell’annunciazione). Il racconto sapienziale di Genesi 3 è la continuazione della "storia della creazione" del mondo e dell’umanità. Dio, dopo aver creato Adamo (terrestre) ed la donna (che poi Adamo chiamerà Eva, cioè vita), ha dato loro in cibo tutto ciò che c’era nel giardino, con una limitazione: non potevano mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male. Ma, tentati dal serpente, i due mangiano il frutto dell’albero, e, aperti gli occhi si accorgono di essere nudi e si coprono. La lettura si apre in questo momento, quando, in conseguenza della disobbedienza al comandamento (provocata dall’inganno del serpente), l’uomo e la donna si nascondono da Dio, perché si sentono nudi e hanno paura. È così infatti che Adamo risponde a Dio quando lo chiama: "Adamo, dove sei?" Come a dire: "cosa è successo di così grave che ha rotto quel legame di amicizia che ti legava a me e alla donna? Perché senti la necessità di nasconderti?" Dio accetta la risposta di Adamo, conosce e riconosce che il suo peccato nasce dall’aver ascoltato l’inganno del serpente. Per questo maledice il serpente, predicendo la lotta che caratterizzerà la storia dell’umanità, tra l’uomo creato a immagine divina e il male che insinua la menzogna di un Dio invidioso della sua conoscenza superiore. Più avanti (oltre la lettura di questa liturgia) Dio annuncia la conseguenza del peccato anche per l’uomo e la donna, ma non li maledice: non ostante il peccato, Dio fa continuare l’opera della creazione. Il nome di "Eva" (che ha assonanza con il temine ebraico che significa vita) dato alla donna che fu la madre di tutti i viventi è il segno della continuazione della benedizione divina, che si esprime nella capacità di generare vita. Nell’inno di benedizione con cui Paolo (o, meglio, un suo discepolo) apre la lettera agli Efesini l’umanità risponde alla benedizione degli inizi con un’altra benedizione, rivolta a Dio per il suo piano di amore con l’umanità. Paolo contempla ciò che Dio ha fatto prima di dare inizio alla creazione (e quindi molto prima della disobbedienza dell’uomo). Egli ha scelto l’umanità per essere santa con Lui e come Lui. Guardando al Figlio Gesù il Padre ha sognato e voluto l’umanità come figlie e figli suoi, a immagine di Gesù, il Figlio. Questo piano avrebbe favorito la sua gloria, il suo essere Dio. Questa decisione ha reso gli uomini "eredi" di Dio: li ha predestinati ad esistere e agire in Cristo, cioè grazie a Lui, a sua immagine. Questo è il sogno iniziale di Dio, che Paolo contempla e per il quale rende grazie, perché la morte e risurrezione di Cristo lo hanno definitivamente rivelato e realizzato. Ma per capire come, occorre fare un passo indietro. Infatti, dal primo peccato tutta la discendenza della prima coppia ha sentito l’influenza del serpente, la tentazione di non accordare fiducia e credito al comandamento di Dio. Una tentazione che la storia di Israele mostra quanto è stata seguita! A un certo punto del cammino di Israele..., o meglio, nella pienezza del tempo, Dio si è fatto vivo nella storia per dare corso al suo piano iniziale, inviando il suo Figlio perché l’umanità potesse riconoscere il Lui l’immagine con cui è stata creata e il destino cui è chiamata. E perché questa venuta/invito potesse trovare ascolto e accoglienza, è venuto al mondo umanamente, chiedendo ospitalità a una donna e a un uomo che stavano formando la loro famiglia per avere vita e accogliere la vita. Maria, come ci ricorda la pagina di vangelo dell’annunciazione, fu la prima a credere nel compimento imprevedibile del piano di Dio, e grazie a questa apertura di fede accolse Gesù anche nel suo corpo. Una donna così è il segno nel tempo di quell’umanità che Dio aveva sognato prima della creazione, figlia del suo Figlio, come bene canta Dante. Alla luce di questa storia biblica la Chiesa crede che Maria è immacolata, cioè non è stata condizionata dalla macchia/peccato (cioè dal sospetto e quindi dalla disobbedienza). Che sia immacolata sin dal suo concepimento (Immacolata Concezione) significa, in termini biblici, che nel profondo della sua vita/libertà il peccato non l’ha condizionata né vinta. Infatti nella Bibbia per dire che una realtà tocca tutta la vita a partire dal suo punto più profondo, si dice che è dalla nascita, anzi dal grembo materno: lo si può verificare con i profeti come Geremia, che si sente chiamato sin da prima del suo formarsi nel grembo (Ger 1,5); lo possiamo vedere anche in Paolo, che usa il linguaggio profetico per dire che la chiamata di Dio è la cosa più profonda della sua vita (Gal 1,15). Possono interessare ancora a qualcuno oggi queste storie del frutto proibito, del sogno eterno di Dio e una giovane fidanzata che parla con un angelo? Di certo no, se le presentiamo come una realtà così materiale che sostituisce (e assopisce) le storia che viviamo tutti i giorni, le conquiste e le ferite della nostra vita famigliare, della nostra società. Ma se leggiamo queste storie come una chiave di lettura, allora forse le cose cambiano... Sì, abbiamo bisogno più che mai di una chiave di lettura della nostra storia, e questo è per noi la storia biblica, non è una sostituzione abbellita della nostra brutta storia! La festa dell’Immacolata ci dice che il progetto di Dio sull’umanità e la nostra storia di uomini non sono due cammini opposti e inconciliabili, ma si incrociano quando una persona risponde sì alla vita come dono e come chiamata a mettersi a disposizione della vita. L’immagine di Maria non è dunque soltanto oggetto di pia devozione (per chi si sente portato a queste cose), come per ammirare nostalgicamente quello che avremmo dovuto essere. Maria è piuttosto la storia di una umanità vera, una libertà interamente giocata nella storia, una decisione cosciente, illuminata (per questo ella dialoga con l’angelo...), e tuttavia fiduciosa, di chi non pretende sapere o avere la prova di tutto per accordare credito a una promessa, che peraltro appare umanamente assurda. In ciò consiste il suo essere "l’immacolata concezione". Forse una certa difficoltà a comprendere questa festa viene anche dal fatto che la nostra società ha perso la coscienza della "macchia" che la segna, del peccato che la abita. È vero che essa si è liberata dalla cappa religiosa di un Dio controllore e giudice (e per fortuna!), è diventata "maggiorenne", ma forse si è spinta troppo in là, diventando anche autosufficiente: decide lei cosa vale e cosa non vale, cosa la realizza o cosa no. Ha forse perso il suo legame con l’origine, e quindi anche con la fine/il fine del suo cammino, con il senso della sua esistenza. Abbiamo bisogno di ricostruire un rapporto adulto e maturo con Dio, per riscoprire l’orizzonte in cui riconoscere la nostra identità e libertà e anche per riconoscere le direzioni errate che a volte prendiamo. In questo cammino Maria può ridiventare un "faro che risplende", un punto di riferimento. Possiamo ritornare a sentirla come una compagna per il nostro cammino a volte contorto e anche errato ma che, per fede, crediamo accompagnato e sorretto da Dio. Padre Gianmarco Paris |