Omelia (18-05-2003)
padre Gian Franco Scarpitta
Conversione e gioia nel battesimo...

E' mia convinzione che per riflettere adeguatamente sulla liturgia odierna si debba partire non già dalla pagina del vangelo di Giovanni, bensì dalla Prima Lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, che rende manifesta l'esultanza di chi, non appena convertito alla fede, da persecutore della Chiesa diviene immediatamente apostolo e difensore di essa.
Si tratta di San Paolo. Al cap. 8 (1-3) degli Atti lo si era visto infierire in modo efferato contro la comunità cristiana di Gerusalemme approvando la condanna a morte di Stefano; lo notiamo poi mentre chiede e ottiene l'autorizzazione di poter mettere le mani addosso ai cristiani di Damasco (At 9, 1-2), ma mentre si reca ivi con tali intenti di spietatezza e avversione nei confronti della nuova fede viene avvolto da una luce che gli domanda: "Perché mi perseguiti?" Forse non prestiamo abbastanza attenzione alla sua risposta: "Chi sei, Signore?" Saulo (poi Paolo) riconosce infatti il Signore Gesù resuscitato che lo chiama a sé, specialmente nelle sue parole IO SONO Gesù, sulle quali abbiamo riflettuto abbastanza nella Domenica precedente: esse rivelano che Cristo è vero Dio quel Signore che di fatto il nuovo apostolo stava perseguitando nei suoi fratelli, e che adesso non può fare a meno di professare. Oggi contempliamo Paolo ancora oggetto di paura e di indifferenza da parte dei cristiani, e tuttavia fiducioso di una dimensione vitale che lo interessa e che già lo sta rendendo apostolo di quel Dio che tre anni prima stava perseguitando...

Ebbene, descrivere le tappe della vita di Paolo agli esordi della sua dedizione a Cristo ci rammenta un elemento abbastanza utile: quello della CONVERSIONE.
Sempre che si tratti di questo argomento, bisogna sempre discuterne considerando Dio come primario protagonista di esso: chi ci chiama a conversione è sempre Lui per primo, in quanto solo Lui ha la capacità di "provocarci". Con questo termine si deve intendere un "chiamare (voco) – pro" vale a dire un invito ad uscire dai propri ambiti e dai propri schemi mentali per poter intraprendere nuovi sentieri. In questo caso, Dio ci chiama a nuova vita. Ma questo non prima di aver rivelato e proposto se stesso quale prerogativa alla molteplicità delle confusioni umane e mondane.
In altre parole, chi si converte viene affascinato da Dio che lo interpella in prima persona; si convince della necessità di vivere secondo la Sua volontà; modifica il proprio modo di pensare e le proprie impostazioni; rinuncia alle proprie sicurezze; abbandona gli atteggiamenti e le scelte della condotta precedente e si pone nella prospettiva della vita in Dio. Ne deriva come conseguenza logica che avvertirà la necessità di annunciare agli altri lo stesso Dio dal quale è stato convertito. Così dirà poi infatti lo stesso Paolo: "Non è per me un vanto predicare il vangelo; necessità mi spinge e guai a me se non predico il vangelo."

In parecchie delle mie esperienze pastorali mi capita molto spesso di ascoltare le confessioni di giovani usciti di recente dal vincolo della droga o dagli ambienti del malaffare e non di rado scorgo in essi l'entusiasmo e la gioia di appartenere adesso al Signore nonché la volontà di volerLo annunciare agli altri; un ex Testimone di Geova che frequenta la mia Messa domenicale una volta mi disse: "Mi sono scoperto cattolico solo dopo essere appartenuto alla Setta..."
In questi episodi esperienziali io riscontro come tante volte queste prerogative di gioia, entusiasmo e grinta missionaria siano assenti presso tanti cristiani che professano la loro fede da molti anni e presumono di non aver necessità di conversione, e perfino in me sacerdote, molte volte afferrato dalla tentazione di non rivedere la mia formazione umana e spirituale che invece sempre va perfezionata. La conversione infatti è una caratteristica continua, che interessa tutta la vita cristiana e per la quale non va mai posta in atto la presunzione di essere a posto con la coscienza e di essere sicuri del proprio progresso spirituale. In quest'ultimo caso, non ci si accorge che è urgente piuttosto ripartire da zero, in quanto si è vittime della pericolosa pecchia della presunzione.

Chi si converte nel senso suddetto -dicevamo- nutre l'entusiasmo di professare la propria fede in ogni circostanza e di difenderla a qualsiasi costo. Tutto questo significa una sola cosa che ci riguarda tutti quanti: riscoprire il proprio Battesimo. E' in questo sacramento infatti che si viene associati a Cristo come il tralcio alla vite e non si può omettere che vive in pienezza la propria consacrazione battesimale solo chi avverte non di essere entrato a far parte di un'aggregazione sociale di qualunque tipo, né chi è convinto di aver ottemperato ad un obbligo scaturente dalle consuetudini della propria tradizione familiare, ma chi sa di essere incorporato a Cristo...
Prendiamo in considerazione infatti la vite, pianta alla quale Gesù paragona se stessa: come potrebbero i singoli tralci sopravvivere senza di essa? Inoltre, osserviamo la medesima pianta e gli stessi tralci mentre maturano e si sviluppano... Che cosa succede? Appunto: maturano, crescono, si sviluppano, assumono sempre più consistenza nel tempo e poi... portano frutto!
Tale e quale è il cristiano: nulla può essere e fare senza la vite che è Cristo. Associato ad essa mediante il battesimo, ne riceve energia, vigore e coraggio apostolico, in quanto di essa si sente parte e reca il frutto della testimonianza e dell'evangelizzazione!
Certo che a differenza di un tralcio il cristiano ha la facoltà di scegliere se avvalersi della propria consacrazione a Cristo in questi termini o procedere da solo nonostante il fatto reale di essere a Lui innestato... ma in quest'ultimo caso avverrà che il Padre "lo poterà"
O meglio, al momento solenne del Giudizio Finale dovrà rispondere della propria mancata corrispondenza e intanto vagare nello smarrimento e nella desolazione che questa comporta.
Ma il fatto che abbiamo esordito con la necessità della conversione sulla scia di Paolo ci suggerisce un'idea di come sia possibile vivere in pienezza in tutti i giorni il nostro battesimo: proprio come chi si converte dopo una lunga esperienza in negativo, così anche ciascuno di noi – non importa da quanto tempo sia cristiano e come lo sia diventato- si dovrebbe tutti considerare di essere dei "neofiti"(= recentemente convertiti), magari fingendo di esserlo davvero, per poter valorizzare in pienezza il senso della nostra consacrazione a Cristo e vivere questo battesimo nella gioia e nell'entusiasmo. E portare frutto.