Omelia (25-05-2003) |
padre Gian Franco Scarpitta |
Come in cielo, così in terra La scorsa Domenica ci eravamo lasciati con il monito del Signore a recare molto frutto dal momento che noi, quali tralci inseparabili ci si è incorporati a Cristo vera vite e nostro fondamentale sostentamento. Adesso siamo invitati a porci l'interrogativo: in che cosa consiste questo frutto che siamo invitati a recare? Ce lo spiega la pagina del vangelo di oggi, attraverso una pericope che potrebbe sembrarci uno strano sillogismo, ma che va compresa fino in fondo per poterne capire la pienezza: "Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi... Come io ho amato voi, amatevi gli uni gli altri." Evidentemente si capisce che il frutto di cui si parla riguarda l'amore. Ma non dobbiamo intendere con questo termine l'amore esclusivamente filantropico o dalle fattezze puramente umane e terrene... Si tratta piuttosto dell'amore che "viene da Dio" con il quale il Padre ama il Figlio e attraverso Questi, tutti noi. Vale la pena allora che ci soffermiamo nel contemplare come si svolga la vita di Dio in se stesso. Lo so, è un argomento abbastanza sottile e complesso per chi non ha dimestichezza con la Dommatica, ma prestare attenzione a quanto Dio vive e realizza in sè medesimo a volte può essere utile e costruttivo... Innanzitutto, Egli pur essendo Uno, Unico, Onnipotente, Infinito, Eterno non è una realtà statica, chiusa in se stessa e indifferente: proprio perché onnipotente, già in se stesso Dio dimostra di essere contemporaneamente Uno e Molteplice, vale a dire un solo Dio ma in Tre Persone uguali e distinte, Padre, Figlio e Spirito Santo. In queste Tre Persone si realizza sin dall'eternità una reciproca comunione amorosa: il Padre ama il Figlio; il Figlio ama il Padre con la medesima intensità; lo Spirito Santo, anch'Egli Persona come le altre due, è l'Amore che intercorre fra il Padre e il Figlio. Ora, non si deve pensare che Dio Uno e Trino viva questa dimensione amorosa nella sua sfera di trascendenza e di distanza dalla nostra "valle di lacrime". Al contrario, le Tre Persone ci rendono partecipi dello stesso Amore che Esse si interscambiano sin dall'eternità, ed è per questo che una di Esse, il Figlio, si è fatto uomo nella persona di Gesù Cristo. Attraverso di Lui, ossia seguendo le sue orme e imitandolo in tutto e per tutto, noi abbiamo accesso a Dio e siamo partecipi della vita di amore trinitario; non per niente il catechismo ci insegna l'esistenza di tre virtù teologali: fede, speranza e carità dette così perché ci permettono di realizzare sulla terra la vita di Dio (teos-logos) secondo l'insegnamento della famosa preghiera: "Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra." Appunto: come i Tre si amano nella dimensione gloriosa e celeste, così si realizzi la medesima su questo mondo! Proprio Gesù Cristo in questa Domenica ci rammenta siffatte virtù teologali, e sulla scia dell'Apostolo Paolo (1 Cor 13) ci informa che la più importante di esse è la carità. Questa virtù indica che il nostro amore reciproco è lo stesso che Dio vive in se medesimo e con il quale il Padre ha amato Gesù Cristo. In altre parole, come il Padre e il Figlio si amano nello Spirito Santo così anche noi amiamoci gli uni gli altri! Ne deriva che l'amore fra i cristiani sarà disinteressato e attivo fino in fondo, che non cercherà alcun interesse egoistico; sarà premuroso, mansueto e paziente (1Cor 13, 2-7) e che non possiamo accontentarci di non fare il male; dire infatti: "Non rubo, non uccido, non mi comporto male, non do' fastidio a nessuno" non esaurisce affatto le esigenze della nostra consacrazione a Cristo, ma piuttosto ci fa correre il rischio di chiuderci nell'isolamento egoistico. L'amore cristiano è invece talmente disinteressato da partire dal nostro vicino per raggiungere il nostro avversario e il nostro nemico e per ciò stesso non può non essere eroico. In termini concreti ed immediati, l'amore verso il prossimo si riversa nei confronti dell'altro che viene accattato in tutto e per tutto, nelle sue lacune e nei suoi difetti senza che si pretenda che questi cambi a seconda delle nostre futili preferenze; accettare l'altro così com'è è forse la prima caratteristica dell'amore. Mi sovviene a tal proposito un pensiero: molte volte nelle nostre relazioni sociali imperversa il cattivo morbo del pettegolezzo che genera sospetto e del pregiudizio; ora perché non sforzarci di trovare nell'altro almeno una qualità da lodare, piutosto che una caratteristica da biasimare? Riconoscere e valorizzare i pregi del prossimo conduce ad ottenere molta serenità di spirito e considerare le virtù del fratello rafforza la benignità e la mansuetidine, mentre la critica e l'insulto non possono far altro che accrescere le tensioni fra di noi. Non è giudicando o spettegolando sl fratello che si correggeranno mai i suoi difetti, ma piuttosto si accrescerà l'acredine e la distanza da parte sua. Stiamo parlando di una prerogativa necessaria per noi in quanto Figli di Dio, ma non intendiamo trascurare le difficoltà che questo amore comporta: molte volte quando si fa il bene non soltanto non si è ricambiati, ma succede anche che si viene perseguitati; non di rado si viene addirittura derisi e c'è anche chi approfitta della nostra bontà e sincerità. Quante volte lamentiamo di essere ricambiati con ingiustizie da parte degli altri, nonostante la nostra retta intenzione di trasparenza e di lealtà? Quante volte ci capita, nell'ambiente di lavoro o in altre circostanze, di essere oggetto di scherno proprio per le nostre rette intenzioni cristiane o che si abusi della nostra pazienza e della disponibilità? E nella misura in cui ci si presta al servizio disinteressato, tanto più c'è da aspettarsi la beffa e la derisione degli invidiosi... Tutto questo ci fa ritrovare in quella bellissima frase dell'"Imitazione di Cristo: "Sine dolore non vivitur in amore", giacché non tutte le persone sia pure oggetto della nostra attenzione in forza dell'amore evangelico si mostrano sempre "amabili" in se stesse. Tante volte occorre ricorrere al tratto diplomatico e prudente nell'interagire con gli altri e ponderare il tratto con la prudenza e l'attenzione... ma questo non deve (non può) scoraggiarci nell'essere uomini d'amore secondo l'esempio e l'insegnamento di Gesù Cristo che a sua volta ci comunica l'Amore del Padre: chi ci vuole martiri perirà dello stesso martirio (così si conclude lo scritto del libro di Ester) e la nostra disponibilità amante, se realizzata con perseveranza, certamente ci otterrà la ricompensa sperata. Per questo, chi ama non dispera, ma ha fiducia nella stessa Provvidenza e nel guidardone che proviene dallo stesso Dio Amore |