Omelia (25-12-2008)
Omelie.org - autori vari


Nel mistero del Verbo incarnato
è apparsa agli occhi della nostra mente
la luce nuova del tuo fulgore,
perché conoscendo Dio visibilmente,
per mezzo suo siamo rapiti all’amore delle realtà invisibili.


Eccoci finalmente ad un nuovo Natale...
Più o meno secondo le tradizioni, arriva il 25 dicembre per risvegliare nel cuore del mondo le emozioni più belle... e per fare una festa grande in cui, anno dopo anno, sempre più persone si dimenticano – o vogliono dimenticare – il vero Festeggiato.
Arriva il Natale con le solite pance piene e i cuori vuoti. Arriva il Natale dei regali all’ultimo minuto senza dare almeno un minuto al vero Regalo.
No. Noi non possiamo cedere al passo del mondo. La nostra fede non è un insieme di emozioni e sensazioni, simili a luci intermittenti che vanno e vengono.
I Vangeli delle quattro messe di Natale segnano quasi un crescendo: Dal testo della genealogia di Gesù (messa della vigilia) allo splendido racconto di Luca della nascita di Gesù e del cammino dei pastori verso Betlemme (messa della notte) al ritorno dei pastori che glorificano Dio (messa dell’aurora), fino alla Messa del giorno, con il mirabile prologo del quarto vangelo. Quando Giovanni, ultimo tra gli evangelisti, scrive il suo libro non ha più bisogno di raccontare la nascita del Signore. I credenti del primo secolo ne sono già informati, conoscono quanto è avvenuto a Betlemme, sanno di Maria e di Giuseppe, degli angeli, dei pastori. Matteo e Luca hanno già offerto tutti gli elementi essenziali del Natale. Ora c’è bisogno della contemplazione del mistero, donata dal prologo Giovanni, "questa pagina così breve che è lo sguardo dell’aquila sull’infinito" (Lacordaire).
Oggi accade più o meno così: oltre a molti che festeggiano il Natale senza più sapere perché, ce ne sono altri che lo sanno bene, ma che hanno perso il gusto, il coraggio, il tempo di... contemplare.
Oggi, più che mai, abbiamo bisogno dello sguardo di Giovanni: è lo sguardo del credente che non solo si ferma con emozione davanti a un Dio bambino, ma lo chiama il "Verbo della vita", ossia il Senso di tutto; guarda la stella e non vede solo un segno del cielo, ma un riflesso della vera Luce che illumina ogni uomo, Gesù Cristo; guarda alla nascita e non vede solo una vita ma la Vita.
Abbiamo più che mai bisogno di ritornare a questa sorgente di Vita e di Luce che è Cristo, che dà un valore nuovo all’intera creazione, a quel principio, la Genesi, in cui Dio con la Parola aveva donato la Luce.
Ora Principio, Parola, Luce, Vita hanno un nome: Gesù Cristo incarnato. Il v. 14 è il culmine del prologo: il Verbo diviene carne e viene ad abitare tra gli uomini, designando con il termine "carne" l’uomo nel suo aspetto terreno e mortale. Qui è il centro di tutto, il misterioso scambio tra un Dio che si fa uomo, per porre l’uomo accanto a Dio.
Nella Messa della Notte di Natale 2007 il Papa ci ha invitati all’umiltà per toccare da vicino questo mistero: Nella stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo, da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo lì nasce il canto. Il cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora diventa nuova anche la terra. Con l’umiltà dei pastori mettiamoci in cammino, in questa Notte santa, verso il Bimbo nella stalla! Tocchiamo l’umiltà di Dio, il cuore di Dio! Allora la sua gioia toccherà noi e renderà più luminoso il mondo.
Giovanni ha avuto modo di contemplare da vicino questa gloria, dove con "contemplare" (nell’originale greco) significa essere partecipi da vicino di un grande spettacolo. È lo spettacolo che condurrà Giovanni a porre il suo capo sul petto di Gesù. Lui sapeva cosa significasse avere il Dio fatto uomo accanto a sé. Lui, apostolo dell’Amore, ha capito in prima persona che se Dio è Amore non può che essere anche un Dio vicino.
Se vogliamo vivere in pienezza il mistero del Natale dobbiamo fare come Giovanni: passare dal guardare al Vedere. E allora, tra le pieghe della nostra vita quotidiana, fatta di abitudini, pensieri, preoccupazioni, entusiasmi, delusioni, fatiche, riprese... potremo contemplare lo spettacolo inaudito di un Dio che cammina con noi. Oggi. Sempre.
Il Dio che "nessuno ha mai visto" ora ci è rivelato, si racconta, si dona, dando luce anche alle nostre situazioni più drammatiche, come ha dato luce ad una misera stalla nella notte.
I nostri occhi, passando dal guardare al vedere, vedranno il ritorno di Dio in Sion, annunciato da Isaia nella prima lettura! Le nostre orecchie udranno Dio che ha parlato nei tempi antichi in tanti modi e che ora ci parla per mezzo del Figlio, come ci dice l’inizio della lettera agli Ebrei.
Se ci fermiamo alle nostre emozioni Dio passerà senza fermarsi. Se ci affidiamo alle sensazioni tutto quello che è aria di festa si può tradurre in nostalgia dei tempi andati, in vuoti di persone che non ci sono più, in momenti di gioia che poi finiscono come nascono o, ancor più banalmente, in numeri della tombola che non escono.
Se ci fermiamo a contemplare, invece, non vivremo questo Natale pensando ai Natali passati, ma augurandoci di vivere presto il Natale futuro, quando il Signore compirà la sua ultima e definitiva venuta.
E allora, buon Natale, con l’augurio di sperimentare ancora una volta la vicinanza di Dio e di impegnarci a portarLo agli altri in concreti atti d’amore.

Commento a cura di don Paolo Ricciardi