Omelia (25-12-2008) |
don Daniele Muraro |
Annuncio di gioia Vangelo vuol dire "lieto messaggio", "annuncio di gioia", e le parole dell’angelo ai pastori lo confermano. Apparendo nella notte santa sfolgorante di luce, l’angelo invita i suoi ascoltatori a togliere di mezzo il timore e a fare posto ad una gioia grande, che non è per pochi solamente, ma si estenderà a tutto il popolo. Il motivo di questa grande gioia consiste in una nascita: "Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore". In fretta i pastori vanno, e trovano Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. Ne riportano una impressione vivissima, tanto da parlare a tutti quelli che incontrano degli avvenimenti di quella notte: la luce intensa e soprannaturale, gli angeli, il messaggio, la loro paura e la meraviglia nel trovarsi coinvolti in un avvenimento così grande e misterioso. Nella notte di Betlemme le realtà più estreme si sovrappongono e si mescolano: il rigore dell’inverno e la povertà del presepe da una parte, lo sfarzo degli angeli e lo splendore della cometa nel cielo dall’altra, ma tutto porta ad una medesima conclusione: occorre fare gioire e fare festa perché abbiamo fra noi un Salvatore, che è il Cristo Signore. La gloria di Dio nel più alto dei cieli scende sulla terra e si rende visibile ad uomini comuni, i pastori appunto, ed essi diventano i primi testimoni del grande avvenimento: la nascita del Figlio di Dio che si fa uomo da una madre Vergine, Maria santissima. Se si festeggia in cielo è giusto fare festa anche sulla terra, e la maniera migliore per celebrare questa festa lo indica sempre il canto degli angeli: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli, dicevano e, sulla terra pace agli uomini, che Egli ama". Non si può fare festa se non si è in pace, con se stessi, con il prossimo ma anche con Dio. Il desiderio profondo della gioia è inscritto nel cuore dell’uomo. Affacciandosi al mondo, l’uomo insieme con l’istinto di comprendere e di prendere possesso, prova anche il desiderio di trovare con questo il suo completamento e la sua felicità. I gradi di questa «felicità» sono diversi. La sua espressione più nobile è la gioia, o la «felicità» in senso stretto, quando l'uomo, a livello delle facoltà superiori, trova la sua soddisfazione nel possesso di un bene conosciuto e amato. Così l'uomo prova la gioia quando si trova in armonia con la natura, e soprattutto nell'incontro, nella partecipazione, nella comunione con gli altri. Ma come non vedere pure che la gioia è sempre imperfetta, fragile, minacciata? Per uno strano paradosso, la coscienza stessa di ciò che costituisce al di là di tutti i piaceri transitori, la vera felicità, include anche la certezza che non esiste felicità perfetta. L'esperienza del limite, che ogni generazione patisce per proprio conto, obbliga a costatare e a scandagliare lo scarto immenso che sempre sussiste tra la realtà e il desiderio di infinito. Questo paradosso, questa difficoltà di raggiungere la gioia sembrano particolarmente acuti oggi. La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d'altronde. È spirituale. Il benessere aiuta, ma non basta; la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti, anche a Natale. Talvolta si arriva perfino all'angoscia e alla disperazione, che l'apparente spensieratezza, la frenesia di del piacere momentaneo e artificiale non riescono a far scomparire. Occorre tornare dunque alle sorgenti della vera gioia. La gioia può venire solo da una "buona notizia", da un Vangelo che apra per molti la possibilità di una salvezza. Abramo esultò al pensiero di vedere il Giorno del Cristo, il Giorno della salvezza: egli «lo vide e se ne rallegrò». Dall’angelo Gabriele Maria è invitata a gioire: "Rallegrati, Maria, piena di grazia: il Signore è con te!" Ecco anche il motivo della nostra gioia nel Natale: Dio, il Signore, è con noi, Egli è diventato l’Emmanuele, che significa appunto: "il Dio con noi". Noi uomini possiamo partecipare alla sua grazia, cioè all’amicizia con Dio. Non esiste più ostilità e inimicizia fra uomo e Dio e fra uomo e uomo, ma sono aperte i preliminari della pace e della gioia. «Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» dice Gesù ad un certo punto del Vangelo. Date le condizioni concrete della vita di tutti quanti non ci può essere gioia e pace al mondo se non procedendo da gesti di riconciliazione e riappacificazione. Noi ci aspettiamo la gioia dalle novità. La novità del Natale è che Dio si fa uomo, ma non per iniziare una nuova umanità, bensì per risanare quella già esistente. Con la nascita di Gesù nulla viene abolito di ciò che è umano, piuttosto ciò che andava in rovina viene risanato. Le preoccupazioni ai nostri giorni non mancano. Ultimamente esse superano misura del quotidiano e si allungano ai prossimi mesi e perfino anni. Si può essere felici e fare festa anche quest’anno a Natale? Certamente, non dimenticando i motivi di inquietudine e di timore, ma facendo posto ad una speranza più grande, quella che viene dalla capanna di Betlemme, dall’annuncio degli angeli, dalle parole della liturgie che la Chiesa non si stanca di ripetere. Nel Natale di Gesù è avvenuto uno straordinario scambio di regali; il Figlio di Dio ci ha portato in dono la sua vita divina e in cambio ha voluto condividere la nostra condizione umana. Non è venuto per sostituire un mondo che non va con uno nuovo di zecca, ma per risanare dall’interno quello senza di Lui sarebbe destinato ad un triste declino e invece insieme a Lui e attreverso di Lui può portare frutti di vita nuova ed eterna. Questa è la gioia cristiana del Natale, questi sono gli auguri più veri che possiamo scambiarci, questa è il messaggio più semplice, ma anche più bello che ci può far sentire contenti e capaci di trasmettere felicità e serenità. |