Omelia (04-01-2009) |
don Marco Pratesi |
La tenda della Sapienza Nota: il testo biblico di riferimento per la liturgia è quello della Nova Vulgata, che qui si segue. La lettura presenta una parte del discorso della Sapienza che leggiamo in Sir 24,1-31. L'introduzione, piuttosto ampia (vv. 1-4) mette a fuoco già il cuore dell'argomentazione: la sapienza infatti parla in mezzo al popolo. E' proprio lì, nel popolo eletto e benedetto, che risuona la lode della sapienza, lì che si coglie il suo valore e splendore, la carica positiva e la bellezza che le vengono dalla relazione privilegiata con Dio. Non si accede ad essa mediante un cammino solitario, ma stando dentro il popolo, e in quella particolare forma di vita del popolo che è l'assemblea liturgica. La sapienza è presente in tutto il mondo, niente è senza la sua presenza, e anche in ogni popolo lascia vedere i suoi bagliori. Lo sottolineano i vv. 5-11, omessi nella lettura. Ma quello che all'autore preme dire è che questa sapienza abita in modo speciale e unico in Israele, e lì manifesta appieno il suo potere, si dispiega in tutta la sua potenzialità di benedizione. Per dirlo, il testo ricorre a tre immagini: la tenda, l'eredità e il giardino. La sapienza pianta la sua tenda in Israele, vi abita; Israele è la sua eredità, il suo possesso; e il giardino riccamente irrigato (cf. Sal 46,5) nel quale crescono le sue belle piante profumate (su quest'ultimo aspetto indugia la descrizione dei vv. 17-23, omessi nella lettura). L'autore stesso si preoccupa infine di interpretare la sua allegoria, ai vv. 32-33: "tutto questo è il libro dell'alleanza e la legge che Mosè ci ha prescritto". La forma nella quale la sapienza divina abita in Israele è cioè la Torah, che plasma ogni aspetto della vita del popolo (cf. Bar 3,32-4,1). Dal punto di vista cristiano, questo processo di concentrazione della sapienza non è però ancora terminato. La collocazione nel tempo natalizio e in connessione col prologo giovanneo è eloquente: la sapienza di Dio ha ulteriormente ristretto e concentrato la sua presenza fra gli uomini nella persona di Gesù di Nazaret, e la sua umanità è la tenda e il tempio di Dio tra gli uomini, sua piena proprietà e paradiso in terra. Tuttavia il progetto di Dio non si ferma qui: egli è solo il primogenito di molti, l'elemento centrale di un più ampio organismo che è il Cristo totale, ossia il capo insieme alle membra. Costruita dallo Spirito, questa realtà che San Paolo chiama "la pienezza" del Cristo (cf. Ef 1,23) è davvero tenda, proprietà e giardino di Dio tra gli uomini: "la Chiesa è stata piantata come un paradiso in questo mondo", afferma S. Ireneo (Contro le eresie V,20,2). Molte sono le conseguenza per il nostro cammino, due specialmente importanti. Primo: per mettersi nella giusta posizione di fronte a Dio, il cristiano non si rapporta a un libro sacro e alla legge, ma alla persona vivente del Verbo incarnato. La mediazione della salvezza è il rapporto personale con lui, e il resto serve nella misura in cui porta a - o nasce da - questo. Ricordiamo che proprio su questo punto San Paolo ha combattuto una dura e cruciale battaglia con l'ebraismo del suo tempo. A questa diversità accenna anche il prologo giovanneo, laddove afferma che "la legge fu data attraverso Mosè, ma la grazia e la verità fu fatta attraverso Gesù Cristo" (Gv 1,17). Secondo: si accede alla sapienza non da soli, non isolati ma stando nel popolo, nel Cristo totale, come pianta innestata nel giardino della Chiesa. Non si tratta infatti di accedere a una sapienza che è frutto di capacità e genialità umane, ma a quella segreta sapienza che ci rivela quanto orecchio umano non ha mai udito, occhio non ha visto, cuore concepito (cf. 1Cor 3,6-10). Con Paolo, chiediamo a Dio che illumini gli occhi del nostro cuore, per poter cogliere la portata e la preziosità dei doni che Dio ha in serbo per noi (cf. Ef 1,15-18, seconda lettura). I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |