Omelia (04-01-2009)
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NATALE... DA UN ALTRO PUNTO DI VISTA
Anni fa', in un convento, un novizio, vedendo un anziano confratello concentrato in profonda preghiera davanti al tabernacolo, gli si avvicinò e gli chiese: "Che cosa prova in questo momento, Padre?".
"Quello che proviamo noi – gli rispose l’anziano- non è importante. Tu sforzati invece di pensare sempre a cosa prova Dio per te, mentre ti osserva dall’interno del tabernacolo".
Sempre, quando parliamo di Dio, lo facciamo dal nostro punto di vista.
É ovvio. É come uno che fa una gita in montagna: guarda le cime dal basso e contempla lo spettacolo dalla sua posizione: non immagina quanto più ampio e straordinario sia lo scenario visto dalla vetta.
Così noi cristiani, parlando dal nostro punto di vista, molto umano, possiamo dire, ad esempio, quando facciamo la Comunione, che "permettiamo a Cristo di entrare nel nostro cuore", oppure, quando preghiamo, che "ci avviciniamo a Lui".
Il che è giusto. Dal nostro punto di vista.
Se invece provassimo a vedere queste cose con gli occhi del Signore, forse ci accorgeremmo che la prospettiva è abbastanza diversa e che, in un certo senso i ruoli si invertono: nell’Eucaristia siamo noi a entrare nel Cuore di Dio, e nella preghiera è semmai Lui che si avvicina a noi.
Questa premessa serve per porci oggi una domanda molto semplice e strana: come sarebbe il Natale, visto da una angolazione più alta della nostra?
Ci abbiamo mai pensato?
La Parola di questa Domenica ci offre la possibilità di rispondere a questa domanda. É come se oggi, infatti, fossimo tutti portati in cielo, a vedere cosa significa celebrare il Natale nel seno della Santissima Trinità.
É come se oggi vedessimo il Natale "dall’alto".
Gesù, la Sapienza del Padre, ci svela come sono andate le cose, lassù in alto.
Per descrivere il Natale, come lo vede Dio, potremmo usare quattro semplici parole: obbedienza, kenosi, amore, stima.
Vediamole.
Obbedienza.
"Il creatore dell’universo mi ha dato un ordine, mi ha fatto piantare la tenda".
Ecco il primo punto importante: Natale è innanzitutto un grande atto di obbedienza al Padre.
É una vocazione, una chiamata, alla quale Gesù ha saputo rispondere, con generosità e amore "Sì!". Natale è stato innanzitutto un ordine, cui ha fatto seguito una adesione completa e libera.
Noi di questi giorni vediamo soprattutto la dimensione gioiosa e festiva, ma dobbiamo considerare questo aspetto di generoso rinnegamento di sé, di disponibilità vera, realizzato da Cristo, obbediente al Padre.
Celebrare il Natale significa per noi ricordarci che, come Gesù ha detto "Sì!" al Padre, passando dalla gloria della Trinità a una semplice tenda, così anche noi dobbiamo dire il nostro sì, obbedendo ai suoi ordini, che ci sono stati donati per essere felici e in pace.
Kenosi.
"Il Creatore mi ha detto: "Fissa la tenda in Giacobbe e prendi in eredità Israele"".
Questo è un secondo punto da considerare: Natale, che per noi è una grande festa e un grande arricchimento, per Dio è stata una discesa, una kenosis (cioè una spogliazione). Dio, perfetto nella sua essenza ed eternamente beato, ha deciso di abbassarsi fino a noi, dimorando sulla nostra terra. Qualcuno gioisce e guadagna perché qualcun’altro si sacrifica e perde.
Gesù non si è accontentato di stazionare tra noi per un po’ di tempo, come un visitatore in un albergo, o come un turista in visita ad un nuovo paese: ha preso in eredità Israele.
Egli ci ha adottati come suoi fratelli.
Il Figlio di Dio ha spogliato se stesso, facendosi simile a noi in tutto, fuorché nel peccato, per redimerci e farsi nostro compagno stabile di cammino, nostro fratello, erede della stessa promessa.
Per noi tutto questo è stato un grande guadagno, per Lui è stata uno "svuotamento" motivato dalla misericordia e dalla compassione.
Anche questo è un aspetto che ci invita a riflettere: non possiamo celebrare questi giorni di festa senza renderci conto delle situazioni, accanto a noi, che richiedono la nostra attenzione e collaborazione, per aiutare chi è nel bisogno, facendoci a nostra volta solidali e vicini.
Amore.
Abbiamo ascoltato oggi una espressione molto bella "Il creatore mi ha fatto abitare nella città amata".
Questo è il punto più importante.
Che cosa ha motivato Dio nella sua scelta di inventare il Natale? Perché Gesù ha obbedito e si è spogliato, facendosi uomo?
La risposta è chiara: tutto questo ha avuto la sua origine, la motivazione, lo scopo e la modalità all’interno di un’ottica di amore gratuito e oblativo.
Noi siamo la "città amata", siamo oggetto di predilezione da parte di Dio. "E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi" ci ha ricordato oggi il Vangelo di Giovanni. É venuto perché desiderava stare con noi, perché ci ama e ci vuole rendere partecipi della sua vita divina, liberandoci dal peccato e dalla morte.
Come Cristo ci ha dato questo grande segno di amore gratuito, così anche noi dobbiamo impegnarci a imitare i suoi atteggiamenti, vivendo, come ci ha ricordato S.Paolo nella seconda lettura "nell’amore verso tutti i santi", e verso tutti gli uomini, che vivono nella Chiesa e fuori di essa.
Stima.
"Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore, sua eredità".
É questa un’altra espressione molto intensa e chiara del modo in cui Dio ci vede.
Natale ci valorizza come uomini e come creature.
Cristo ha deciso di incarnarsi per restare con noi, ma non come uno che è costretto a sopportare una situazione difficile o che disdegna la compagnia degli altri. Egli ci è venuto ad annunciare che siamo oggetto della stima del Padre, che siamo il suo popolo, la gente che lui considera preziosa.
Questa prospettiva di valorizazione della nostra umanità, di accettazione dell’uomo così come egli è, con tutti i suoi limiti e i suoi peccati, è la "buona notizia" che il Natale di Cristo ci dona.
É un invito ad un ultimo impegno: quello della tolleranza. Accogliere con pazienza le persone così come sono, con le loro ricchezze e i loro limiti, sforzandoci di amarle come sono è il grande messaggio che ci viene da Dio in questi giorni santi.
"Amami come sei", sembra dirci Dio: "Non devi aspettare di essere perfetto per amarmi".
La consapevolezza di essere amati così come siamo, anche con i nostri peccati, alimenta a sua volta in noi la possibilità di esercitare temperanza ed accoglienza verso il prossimo, specialmente verso coloro che sono più difficili da accettare e perdonare, verso coloro che non ci sembrano degni di stima.
Preghiamo perché, accanto alla gioia, ai festeggiamenti, ai regali e agli auguri, possiamo mettere, in questi giorni anche l’obbedienza a Dio, la solidarietà con chi è nel bisogno, l’amore verso chi ci sta vicino e la tolleranza con tutti gli uomini.
Solo così Natale sarà "a due dimensioni", secondo i due punti di vista, nostro e di Dio.
Solo così potremo comprendere "a quale speranza il Padre ci ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la nostra eredità".

Commento a cura di Padre Alvise Bellinato