Omelia (04-01-2009)
padre Gian Franco Scarpitta
Cristo sapienza incarnata e perfetta

Finora ci siamo soffermati sul carattere "infrastorico" del Natale, poiché oggetto primario della nostra riflessione è stata la grotta di Betlemme con il racconto della nascita del Signore dal grembo di una Vergine destinata a divenire per sempre Madre di Dio, Madre nostra e membro della Santa Famiglia di Nazareth: siamo stati affascinati dal Dio fanciullo mentre veniva trastullato nella grotta.
Le pagine odierne adesso però ci inducono a prescindere dal presepe e ad immedesimarci nella profondità della Trascendenza divina, o meglio nel mistero di Dio per quale è in se stesso e che si fa per noi per ravvisarci che il Bambino oggetto del nostro continuo stupore e della nostra attenzione ammirata è il Verbo di Dio preesistente ed eterno, Dio medesimo che nella persona del Figlio sussiste da sempre con il Padre; la sua Parola coeterna generata e non creata, anzi partecipe della creazione medesima, che nella pienezza dei tempi ha deciso di spogliarsi di ogni grandezza per assumere la nostra storia: siamo invitati ad operare una face discendente nella riflessione poiché osserviamo questa volta come Dio giunge agli uomini passando dalla grotta di Betlemme nella quale si sofferma. che con il Padre aveva creato il mondo e che finalmente ha deciso di entrare nella nostra storia per assumerla fino in fondo.
L’autore sacro che spesso viene identificato con Salomone, nel suo libro esprimeva il desiderio che la Sapienza di Dio giungesse in suo soccorso e che visitasse gli uomini per orientarli sul loro cammino: "Con te è la sapienza che conosce le tue opere, che era presente quando creavi il mondo; essa conosce che cosa è gradito ai tuoi occhi e ciò che è conforme ai tuoi decreti. Mandala dai cieli santi, dal tuo trono glorioso, perché mi assista e mi affianchi nella mia fatica e io sappia ciò che ti è gradito. Essa tutto conosce e tutto comprende: mi guiderà con prudenza nelle mie azioni e mi proteggerà con la sua gloria." (Sap 9, 9 – 11) Nel suo elogio alla sapienza egli riscontra delle caratteristiche proprie della divinità che vengono messe in relazione all’uomo e che sono di ausilio per la vita individuale e collettiva; il libro del Siracide (I Lettura) descrive come questa Sapienza si sia attendata in mezzo agli uomini per convivere e dimorare in mezzo a loro per volere del suo creatore; non vi è difficoltà ad identificare questa sapienza eterna e sublime con il Verbo che "era presso Dio" che "era Dio" e che si è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi": Cristo Verbo del Padre è infatti la Sapienza divina increata, la quale, essendo entrata deliberatamente e nell’umiltà nel contesto della storia umana tende a ravvivare la storia medesima e ad esaltare la nostra stessa vita e per questo motivo – per dirla con San Giovanni Crisostomo – è quanto di più desiderabile l’uomo possa ottenere. Essa è il computo di tutte le perfezioni, l’epitome di tutti i beni apprezzabili che non si identifica con una sola qualità di Dio, ma che va riconosciuta nella persona di Gesù Cristo Dio fatto uomo (Cfr S. Luigi da Monfort).
Se la Sapienza divina è sempre stata il dono con cui Dio tende ad illuminare la vita dell’uomo per orientarlo nelle sue scelte e nelle sue decisioni, Cristo Figlio di Dio è la Sapienza Divina che fattasi carne accompagna l’uomo nella sua storia incamminandosi con lui e seguendo tutte le tappe del suo itinerario qualificandosi come l’eternità che è entrata nel tempo.
Giovanni accosta questa immagine di Cristo a quella della "luce" che si impone nelle tenebre per averne ragione allo scopo di orientare il cammino di ogni uomo, poiché di luminosità e di fulgore si ha la necessità continua in un mondo di tenebre e di smarrimento indefinibili. Dove potrà trovare l’uomo l’adeguato orientamento e la giusta direzione se non in Colui che nella sua infinita magnificenza e trascendenza ha deciso di annichilirsi e di abbassarsi fino ad assumere la nostra condizione umana? Dove potremo mai trovare consistenza nei nostri propositi e nelle nostre scelte se non in Colui che ha fatto la scelta umanamente inaudita e inconcepibile di umiliarsi nonostante la posizione di Altissimo? Solo Dio Verbo Incarnato può colmare le nostre lacune e rendere certezze le speranze e le attese.
"Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi". L’espressione "abitare" nell’originale greco significa ""pose la sua tenda", e appunto questo atteggiamento ha voluto assumere il Figlio di Dio fatto uomo: impiantare la propria dimora fra gli uomini per comunicare immediatamente con loro e immediatamente mostrare loro i sentieri di vita e di salvezza in primo luogo mostrandosi esemplare di vita nella realizzazione individuale e comunitaria per donarci un monito specifico di convivenza fondata sulla giustizia e sulla pace, sull’umiltà e sulla solidarietà perché in questa vita si realizzi una volta per tutte il Regno di Dio.
Il Verbo Incarnato infatti ci ha scelti "prima della creazione del mondo" (II Lettura) per mostrarci la vocazione universale alla perfezione nell’essere "santi e immacolati nella carità", quindi per assumere la stessa dinamica di amore che egli stesso ha voluto lasciarci in eredità appunto perché nell’amore avessimo sussistenza e fondessimo la nostra salvezza a partire dalla vita presente e tutto questo si evince nel mistero del Natale, in cui ci accostiamo al fascino dell’onnipotenza che diviene per noi debolezza e della divinità che assume l’umano per noi.