Omelia (06-01-2009) |
don Maurizio Prandi |
Interrogare il cielo, ascoltare il cielo: Parola da sempre in ascolto Una delle cose che oggi mi colpiscono di più, ascoltando il vangelo ed immaginandomi la scena dell’adorazione dei Magi, è la diversità esistente tra i vari personaggi del presepe. Forse questo è il giorno nel quale la diversità più grande entra nel presepe, sì, perché i pastori e i contadini sono una cosa, i Magi sono altro; non sono certamente persone povere come, almeno in partenza, non sono nemmeno persone semplici o almeno io me le immagino così, partendo dai loro ricchi palazzi. Provengono da molto distante, da luoghi diversi della terra e qui allora un’altra diversità non da poco: parlano lingue straniere che Maria e Giuseppe non possono comprendere. Una cosa in comune con i pastori però mi pare proprio che ci sia: sono capaci di interrogare il cielo, di ascoltare il cielo. Sia i pastori che i magi pare proprio siano persone che sanno guardare oltre e sanno alzare lo sguardo, le sento persone rivolte e soprattutto in ascolto di una parola che da fuori li raggiunge. Solo due giorni fa ci siamo detti che Gesù è da sempre parola in ascolto e forse oggi può essere l’occasione per riflettere un pochino insieme su cosa voglia dire ascoltare, anche perché il vangelo ci parla di persone che, pur essendo esperte della Scrittura, pare non abbiano il minimo desiderio di ascoltarla. Capi dei sacerdoti e scribi del popolo citano alla perfezione la Bibbia senza che questa faccia minimamente sussultare il loro cuore. Sanno dove nascerà il Messia, a Betlemme di Giudea e per questo pensano di aver chiuso con le domande e gli interrogativi: ne sappiamo abbastanza noi, sappiamo tutto del Messia e di dove dovrà nascere e infatti restano fermi, non si muovono, non escono. La luce della stella per loro rimane spenta, tanto sono chiusi nei loro convincimenti, nelle loro idee, nelle loro precomprensioni. Pur provenendo da distante, pur con un cammino diverso di fede credo, i Magi mostrano di avere un approccio più libero alla Parola di Dio e questa può lavorare in loro e aprirli ad un nuovo cammino. L’uomo che non ascolta è come morto, è piatto, è chiuso in se stesso: se sei capace di ascoltare invece, entreranno in te parole che ti costringono a rivedere ciò che pensi, ciò che credi e come lo credi, ciò che hai detto, al di là di ogni rigidità puoi rifare una tua sintesi. Che bello questo: ascoltare è essere disponibili al cambiamento, al rinnovamento, ascoltare vuol dire che tu sei lì ed il tuo schema si può aprire, ascolti cercando di aprire di entrare dentro, ascolti contento di scoprire qualcosa che magari non sapevi. Mi sembra che questo è tutto il contrario di quello che è capitato agli scribi, che invece di aprirsi sono rimasti chiusi nel loro schema di un messia che potentemente, con segni straordinari e grande ricchezza sarebbe disceso dal cielo. Mi piace questo dei Magi: le sento persone capaci di mettersi in discussione, non chiuse nella loro ricchezza. Capaci di uscire, per viaggiare di notte (la stella sennò non la vedi), aprono lo scrigno della vita per donare a Gesù quello che avevano di più prezioso. Quello che possiedono è relativo, possono farne dono a Colui che riconoscono come il Re del mondo. Sono ricchi sì, ma non si sono seduti per vivere di rendita, lo potevano fare se avessero voluto, ma si sono messi in cammino, in ricerca, perché hanno avvertito che i beni che possiedono non bastano a riempire la loro vita. Non sono chiusi nella loro importanza, perché sono capaci entrare in un luogo povero e semplice per piegare le loro ginocchia dinanzi ad un bambino, prostrare la loro persona e anche tutta la loro vita dinanzi a Lui. In questo tempo così particolare nel quale stiamo vivendo, dove tanti, in diversissimi modi, ci parlano di stili di vita da mantenere o da cambiare, i Magi ci raccontano di una ricchezza diversa, veramente nobile, non sfacciata, non presuntuosa (don C. Arletti). Una ricchezza che non chiude (perché non risolve tutto), che non si erge a idolo, che non può essere il criterio ultimo delle nostre scelte e del nostro impegno. Una ricchezza che si apre al dono, alla condivisione con il povero e l’affamato perché sa riconoscere che quanto possiede è un dono di Dio. Epifania è una parola greca che significa, ricordate, manifestazione; la liturgia, nel canone, ci ricorda che in Gesù si manifesta la Gloria di Dio, invisibile a chi ha il cuore pieno solo di se stesso, pienamente svelata invece a chi sa riconoscerla nella povertà, nella fragilità, nella normalità, nella umanità. |