Omelia (11-01-2009)
Il pane della domenica
Sommersi dall’amore, immersi nella grazia

Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto

La proclamazione della santa Parola è appena terminata; comincia ora la nostra meditazione. "Quando la Parola sale - esordiva in una omelia s. Agostino, alludendo al percorso dell’evangeliario, portato processionalmente dal diacono sulla tribuna o ambone - le parole scendono". Quali parole? quelle di Dio in cui il Verbo si "squaderna" e quasi si frammenta, ma anche le nostre povere parole, nate dall’ascolto del santo vangelo. Non perché la parola del Signore abbia bisogno di essere da noi integrata o arricchita - il mare ha forse bisogno dell’acqua dei nostri secchielli? - ma perché quella Parola che si è fatta carne in Gesù, si faccia "parola di carne" anche nella nostra vita.
Poniamoci allora due semplicissime domande: cosa ci dice di Gesù l’evento che oggi celebriamo? E cosa ci dice di noi?

1. Cosa ci dice di Gesù il suo battesimo al Giordano? La risposta ci viene dalla rubrica liturgica di oggi, che avverte: con questa festa si chiude il tempo del santo Natale. Quindi il battesimo del Signore ci rivela che l’Incarnazione non è finita il giorno in cui Maria diede alla luce il suo figlio primogenito e lo avvolse in fasce, ma è proseguita a Nazaret, dove il Bambino è cresciuto in sapienza, età e grazia. E dove ha imparato sulla sua pelle il duro mestiere di uomo: a lavorare con mani d’uomo, a pensare con mente d’uomo, ad agire con volontà d’uomo, ad amare con cuore d’uomo (cfr. GS 22).
Ma poi, quel giorno al Giordano, nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, quando il falegname di Nazaret aveva circa trent’anni, l’incarnazione del Verbo ha registrato una ulteriore "discesa". Con la scelta di farsi battezzare da Giovanni, Gesù dimostra di non voler prendere le distanze dalla massa corrotta e corruttrice dei peccatori, ma si mescola con essa, pur nella - o proprio per - la consapevolezza della propria origine divina e della piena innocenza personale. L’incarnazione, per il Verbo-Figlio, non è solo il farsi uomo, ma l’immergersi completamente nella pasta avariata dell’umanità peccatrice. È certo: l’identità di Gesù di Nazaret era già definita e completa fin dall’"istante zero" della sua esistenza umana, nel grembo della Vergine-Madre. Ma lo sarebbe stata anche nel caso che il Verbo avesse assunto la natura umana nella forma di un sommo sacerdote o di un grande imperatore o di un munifico VIP del tempo, insomma se fosse venuto con grandezza e splendore terrestre. E invece "doveva rendersi in tutto simile ai fratelli (...) allo scopo di espiare i peccati del popolo" (Eb 2,17). Per questo non gli bastò farsi uomo; non gli bastò neanche impegnare trenta lunghissimi anni per imparare a diventare uomo, ma "spogliò se stesso prendendo la condizione di schiavo" (Fil 2,7).
In altre parole: Gesù "scende dalle stelle", si cala nel nostro mondo, lo trova malsano e malmesso, e cosa fa? Potrebbe invocare il fuoco del giudizio divino per incenerire il marciume di tanti mali, miserie e cattiverie, come aveva fatto Giovanni Battista, ma non lo fa. Potrebbe aprire una scuola a Gerusalemme come rabbi Hillel o rabbi Gamaliele, per insegnare a diventare periti nella legge di Dio, ma non lo fa. Potrebbe indicare la via del nirvana ai discepoli che poi però devono fare tutta la strada da soli, come Siddarta Gautama, il Buddha, l’illuminato, ma non lo fa. Darà allora il segnale della guerra santa, per far fuori tutti gli infedeli, come farà Muhammad, il profeta o cercherà di affermare la verità ricorrendo anche a metodi intolleranti, come faranno nel corso della storia alcuni suoi discepoli?
No, sceglie di farsi compagno di tutti i peccatori - fino a giocarsi la reputazione - come "un mangione e un beone". Si fa carico - come un agnello innocente - di tutto il peccato del mondo, e con la sola forza dell’amore del Padre comincia ad attraversare le strade della vita, beneficando e risanando quanti erano prigionieri del male. Va incontro a ogni miseria spirituale e materiale, guarendo malati e lebbrosi, accogliendo donne e bambini, perdonando pubblicani e peccatori, risuscitando i morti, proclamando la buona novella ai poveri. Intanto annuncia il mondo nuovo del regno dei cieli, un regno che ha per fondamento la bontà misericordiosa del Padre, per condizione la libertà dei figli di Dio, per statuto la legge dell’amore.
Questa è la scelta messianica di Gesù, una scelta che il Padre approva, confermandogli solennemente e pubblicamente tutto il suo compiacimento: "Tu sei il Figlio mio, il prediletto; in te ho posto il mio amore" (nuova trad. "CEI"). Si realizza così la profezia di Isaia: "Oh, squarciassi tu i cieli e scendessi!". E il cielo si squarcia davvero, come avverrà (stesso verbo!) per il velo del tempio alla sua morte (Mc 15,38). E lo Spirito scende come colomba, a significare che "l’eterno naufragio del mondo era finito" (Crisologo). Veramente nel battesimo di Gesù inizia una nuova primavera della la storia. "Quali miracoli, quali prodigi, fratelli miei!", commentava incantato il santo vescovo di Ippona.

2. Veniamo ora alla seconda domanda: perché ci riguarda questo evento? Uno scrittore delle origini cristiane - forse Ippolito di Roma - rispondeva: "Pensa, mio caro, quali e quanti beni avremmo perso, se il Signore non avesse ricevuto il battesimo. Prima di questo evento, le porte del cielo rimanevano chiuse e le regioni dell’alto erano inaccessibili. Potevamo discendere più in basso, ma non potevamo salire più in alto. (...) In quel momento ‘i cieli si aprirono’, furono guarite le malattie della terra e furono rivelate le verità misteriose".
Ma nel nome di Gesù Messia - benedetto il suo santo Nome! - siamo stati battezzati anche noi, e anche a noi egli ha fatto dono del suo stesso Spirito. Non possiamo più lagnarci: come facciamo ad agire come lui, a seguire il suo esempio, se lui era Figlio di Dio e noi invece siamo semplicemente dei poveri uomini? No, anche noi ci chiamiamo figli di Dio e lo siamo realmente! Con il santo battesimo siamo stati innestati in Cristo, e lui vive in noi. E noi possiamo compiere le sue stesse opere, anzi addirittura farne di più grandi: ce lo ha promesso lui stesso e proprio per questo ci ha messo a disposizione quel "motore mobile", anzi mobilissimo, qual è il suo santo Spirito.
Anche noi possiamo aprire uno squarcio di cielo in casa nostra o nel nostro ufficio, in parrocchia come nel condominio, sia nei posti di responsabilità che in quelli del tempo libero. Come? contagiando speranza contro ogni speranza, vincendo il male con il bene, rallegrandoci con quanti sono nella gioia, piangendo con quelli che sono nel pianto, portando gioia dove è tristezza, e dove è offesa portando il perdono.
"Il Signore nostro - ha scritto Origene - non è sceso solo fino alla terra, ma fino nelle profondità della terra, e là ci ha trovati inghiottiti e seduti nell’ombra della morte. Tirandoci fuori ci prepara un posto, non sulla terra, per timore che siamo di nuovo inghiottiti, ma nel regno dei cieli".
Si potrebbe esprimere meglio il senso del battesimo di Gesù e, insieme, l’essenza e la portata del nostro battesimo?

Commento di Mons. Francesco Lambiasi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi"
Ave, Roma 2008