Omelia (22-03-2009) |
Il pane della domenica |
Noi, amati tanto così Dio ha mandato il Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di lui È stato scritto: un mondo senza Dio, proprio della cultura moderna, è il frutto di un Dio senza mondo, proprio della cultura medievale e premoderna. Ma come si è potuti arrivare a tali aberrazioni? Abbiamo ascoltato il Signore Gesù, nel dialogo notturno con Nicodemo, fariseo, capo dei giudei: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito". Questo è il vangelo secondo Giovanni, ma è anche l’evangelo secondo lo Spirito e la sua santa Chiesa; questa è la notizia bella, buona e beatificante, che oggi ci viene nuovamente affidata. Guardiamo al Crocifisso e professiamo la nostra fede: Dio ci ama, ci ama davvero, ci ama proprio tanto! Ecco la proposizione più semplice e sintetica che si possa formulare per dire tutto il vangelo, tutta la fede, tutta la teologia: Dio ci ama! Ecco la verità più grande e abbagliante che si riesca a concepire: poteva Dio amarci di più? Oggi ci è offerta la grazia di ricostruire e di contemplare le tappe della storia di questo amore inconcepibile, incommensurabile, sconfinato. 1 In principio era l’Amore. Cosa faceva Dio prima di creare il mondo e la storia? Gesù ci ha rivelato che Dio è Padre da sempre e che da sempre ama il suo Figlio benedetto ed è da lui riamato con un amore così forte da costituire una terza persona: lo Spirito Santo. In se stesso, dunque, Dio è amore, è comunione trinitaria, non soffre di solitudine: nulla manca alla sua perfezione, nulla può diminuire e nulla può accrescere la sua felicità. Ma noi, in quel tempo senza tempo, eravamo assenti da tanto amore, estranei a tanta beatitudine? No: Dio "ci ha scelti prima della creazione del mondo" (Ef 1,4). Prima di essere creati, eravamo già amati, pensati, concepiti, come precontenuti nel suo Figlio diletto, "predestinati ad essere conformi alla sua immagine" (cfr. Rm 8,29). La seconda tappa è la creazione. Perché Dio ci ha creati? Per amore! La liturgia, nella preghiera eucaristica IV, canta: "Hai dato origine all’universo per effondere il tuo amore su tutte le tue creature e allietarle con gli splendori della tua gloria". La creazione è l’effusione dell’amore di Dio al di fuori di Dio, è la diffusione della gloria del Creatore nelle creature. Che senso ha allora l’affermazione di fede, secondo cui Dio ha creato il mondo per la sua gloria? La gloria di Dio è la rivelazione della sua grazia, del suo amore gratuito. La sua gioia è unicamente quella della sua benevolenza, del suo volerci solo bene, del suo volerci fare solo del bene: Dio ci ha creati "non per aumentare la sua felicità, né per acquistare altra gloria, ma per manifestarla attraverso i beni che dona alle sue creature" (Vaticano I). All’origine del mondo c’è solo l’amore sovranamente libero e gratuito del Padre. Dio non ci guadagna niente a crearci; il suo amore è del tutto disinteressato: il Padre ama i suoi figli, "a fondo perduto", senza alcun vuoto da colmare, senza alcun utile da ricevere. Non ci ama per realizzarsi, ma per realizzarci. Scriveva s. Ireneo: "Dio non creò Adamo perché aveva bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno a cui donare i suoi benefici". La terza tappa è l’alleanza. Sempre nella preghiera eucaristica IV, proclamiamo: "E quando, per la sua disobbedienza, l’uomo perse la tua amicizia, tu non l’hai abbandonato in potere della morte, ma nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare". Come nella creazione, anche nell’alleanza con Israele risalta la totale gratuità dell’amore di Dio: il Signore sceglie Israele non perché il popolo se lo meriti, quasi fosse il popolo più numeroso e il più forte della terra, ma proprio perché è il più piccolo e il più debole tra tutti i popoli, insomma "perché il Signore vi ama", si legge nel Deuteronomio (7,7). La quarta tappa è la redenzione. Finalmente, quando venne "la pienezza del tempo", nonostante gli uomini avessero più volte infranto la sua alleanza, Dio, anziché abbandonarli, ha stretto con loro un vincolo nuovo, nel sangue di Gesù - il vincolo della nuova ed eterna alleanza - un vincolo così saldo che nulla potrà mai spezzare. Abbiamo ascoltato dalla 2ª lettura: "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo". La croce è la prova suprema dell’amore di Dio per noi, non la croce in quanto dolore, ma la croce in quanto amore: Gesù ci ha amati "fino alla fine", cioè non solo fino all’ultimo istante della sua vita terrena, ma fino all’estremo limite dell’amore. E il Padre? ha considerato il mondo e ogni uomo ben più importante di se stesso, al punto da mettere nelle nostre mani il suo tesoro più caro: la vita di suo Figlio. Se nella creazione il Signore ci ha dato la prova del suo immenso amore donandoci la vita e tanti altri beni, con la sua passione ci ha dato la prova delle prove: è venuto a soffrire per noi. Tutto si racchiude sotto l’arco policromo dell’amore: nella creazione contempliamo la munificenza di Dio, ricco di misericordia, che ci colma di doni; nell’alleanza, ammiriamo la sua condiscendenza che si abbassa al livello del popolo più umile della terra; nella redenzione guardiamo stupiti e commossi la sua sviscerata con-passione: "Ecco in qual modo Dio ha manifestato il suo amore per noi: mentre eravamo peccatori, Cristo è morto per noi" (Rm 5,8). Ascoltiamo la testimonianza di un mistico della passione, a cui il Signore un giorno disse: "Il mio insondabile amore si mostra nella grande amarezza della mia passione. Come il sole si manifesta nel suo splendore, come la rosa nel suo profumo, come il fuoco nel suo calore ardente, ascolta devotamente con quanto amore ho sofferto per te" (Enrico Suso). Davvero "nessuno ha un amore più grande"... 2. Ma oggi, forse che l’amore di Dio per noi si è spento? No, "l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato" (Rm 5,5). E lo Spirito Santo non può restare e non resta inerte, ma opera nella Chiesa, e attraverso di essa assicura la memoria vivente di Cristo - la continuazione della sua missione nel mondo - e ovunque, anche al di fuori dei confini visibili della Chiesa, il Consolatore fa crescere i valori di autentica umanità. Lo "Spirito d’amore" non solo ci rende amabili agli occhi di Dio e da lui amati all’eccesso; ci rende anche capaci di riamare Dio e di amare i fratelli. Il segno inequivocabile di questo "amore in corso" è l’eucaristia: ogni volta che celebriamo il memoriale della passione del Signore, noi veniamo resi presenti e contemporanei all’evento del Golgotha, il vertice insuperabile dell’amore. "Ogni volta che si celebra il memoriale di questo sacrificio, si compie l’opera della nostra redenzione" (coll. 2ª Dom. T.O.). A questo punto s’impone la domanda: se Dio ci ha amati così, noi che cosa dobbiamo fare? Verrebbe da dire: dobbiamo riamarlo! S. Giovanni invece tira la conclusione: "Se Dio ci ha amati, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri" (1Gv 4,11). Ma lo stesso apostolo ci ricorda che, prima ancora di questo e proprio per questo, dobbiamo "credere all’amore che Dio ha per noi" (cfr. 1Gv 4,16). Prima delle opere della fede, viene l’opera che è la fede: "questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato" (Gv 6,29). Se non si crede di essere stati già amati da Dio in Gesù, non è possibile riamare Dio. È interessante notare che nel brano di oggi, in cui si legge la prima menzione dell’amore di Dio nel IV vangelo (3,16), per ben cinque volte si rimandi alla fede (o alla non-fede) dell’uomo (vv. 15.16.18). Ma noi ci crediamo veramente - cioè senza alcuna riserva mentale - che Dio ci ha amati e ci ama? Se lo credessimo davvero! È più facile credere in un Dio lontano, da temere e da tenere a "rispettosa" distanza, anche per poter poi dire: "Ti ho servito a dovere". Ma davanti all’Amore, chi può dire: "Ti ho amato a sufficienza"? È più facile sforzarsi, o illudersi, di amare che credere di essere amati e lasciarsi amare da Dio. L’eucaristia è l’invito a riattualizzare qui ora la morte di Gesù, che deve diventare la nostra. Ma è anche l’affermazione di una nuova vita. Partecipandovi, accettiamo veramente di entrare in questo movimento di morte e di vita? Commento di Mons. Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Ave, Roma 2008 |