Omelia (01-02-2009) |
Il pane della domenica |
Con quale autorità?! Insegnava loro come uno che ha autorità C’è una parola che ritorna pari pari per ben due volte nel giro breve dei pochi versetti di questo brevissimo racconto di s. Marco su "la prima volta" di Gesù nella sinagoga di Cafarnao: è la parola autorità. Riprendiamo il testo, che, per aggirare lo scoglio dell’assuefazione, provo a rendere con una traduzione a calco sull’originale greco: "E subito, di sabato, entrato nella sinagoga, insegnava. Ed erano scossi per il suo insegnamento; infatti stava insegnando loro come uno che ha autorità, non come gli scribi". E - come ad incorniciare tutto l’episodio del primo esorcismo operato dal giovane rabbi di Nazaret - ritroviamo la stessa parola autorità alla fine del brano: "E furono stupiti tutti quanti, così che si chiedevano insieme l’un l’altro: Che è questo? Un insegnamento nuovo, con autorità. Comanda anche agli spiriti immondi, e gli obbediscono". 1. Viene subito da chiedersi: in che consiste questa autorità del giovane rabbi venuto da Nazaret, un’autorità tanto conclamata dalla folla e altrettanto declamata dall’evangelista? È curioso che s. Marco colleghi lo stupore e lo sbalordimento della gente al solo, nudo fatto dell’insegnamento di Gesù, senza però dirci cosa in effetti egli insegnasse, legando così la meraviglia del popolo non tanto al contenuto insegnato, ma all’atto stesso di insegnare. La gente ne resta colpita perché quello di Gesù non è come l’insegnamento impartito dai maestri del tempo - gli scribi - che pure erano gli specialisti della santa Toràh, gli interpreti qualificati della Legge. Se c’era qualcuno che aveva autorità, erano proprio loro! E invece le loro parole sulla Legge erano per lo più logore, spente, decisamente ammorbanti. L’ autorità di Gesù era di altro tipo. Non di tipo "professionale", perché Gesù non aveva studiato in una delle scuole rabbiniche di Gerusalemme; non aveva quindi titoli accademici, e questo aumentava lo sbigottimento della gente, come evidenzia Giovanni: "I Giudei erano meravigliati e dicevano: Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?" (Gv 7,15). L’autorità esercitata da Gesù non è legata al ruolo, ma alla sua persona. Tra la sua autorità e la sua parola si dà una stretta, coerente circolarità: Gesù parla perché ha autorità e ha autorità perché parla in un certo modo; l’autorità gli dà diritto di parola e la parola, di cui è portatore, gli merita l’autorità. L’autorità "fa corpo" con la sua persona. "Certo, in questa parola autorità c’è già tutto il mistero della personalità e dell’influenza di Gesù, quali la fede le comprende. È quindi trascesa la sfera puramente ‘storica’. E tuttavia con tale espressione è designata una realtà propria del Gesù ‘terreno’, precedente a ogni interpretazione. Nei suoi incontri con le diverse persone, l’autorità di Gesù è sempre presente nella sua immediatezza e nella sua autenticità" (G. Bornkamm). In breve, quando Gesù cominciò ad annunciare l’evangelo, i discepoli e la gente ebbero di colpo l’impressione di trovarsi di fronte a un uomo, il quale non aveva nessun maestro al di sopra di sé, e non solo parlava di Dio, ma osava parlare da Dio. Per questo la sua autorità oscurava quella degli scribi, i quali si riempivano la bocca di interminabili tiritere sulla Scrittura e sulle tradizioni degli antichi. Gesù invece spiega la Scrittura non tanto citandola, ma compiendola, e la tradizione, lui, non la segue: la crea. 2. Ma vediamo più in dettaglio alcuni tratti originali, inconfondibili, veramente paradossali di questo Gesù "visto da vicino". È un Maestro tenero ed esigente. Il suo messaggio è di una radicalità sconcertante: "Se il tuo occhio ti è di scandalo, cavalo!". Chi lo vuol seguire, deve essere disposto a rompere i legami più sacri e dovrà effettivamente lasciare casa, moglie, figli, campi. La chiamata è senza sconti; la scelta è senza se e senza ma. Eppure il Maestro venuto da Nazaret non è un altro Battista, duro e inflessibile, sempre lì a minacciare i fulmini della giustizia divina. Lui no, si dice venuto per salvare, non per condannare. E più di una volta gli evangelisti lo sorprendono a piangere: alla vista di Gerusalemme, davanti alla tomba dell’amico Lazzaro... È un Maestro autorevole e umile. Si accredita e si comporta da autentico leader. Ha veramente carisma: sa esigere, comandare, organizzare. E nessun discepolo potrà mai sostituirlo: è lui e solo lui l’unico Maestro e Signore. Gesù manifesta la consapevolezza di valere più del tempio, più del grande re Salomone, più dei profeti, come Giona o Geremia, addirittura più dello stesso Mosè. Eppure dice di essere venuto non per essere servito, ma per servire: per servire la causa di Dio, il Padre suo, come il servo obbediente condotto al macello. E per servire i discepoli, i malati, i peccatori, tutti. Quando vuole far capire ai Dodici fino a che punto è disposto a servire, si presenta con un asciugamano ai fianchi, e si mette in ginocchio, a lavare i loro piedi, facendo quello che gli ebrei non facevano fare nemmeno ai loro servi. 3. L’autorità di Gesù è un potere autorevole che non livella né schiaccia coloro al cui servizio esso viene esercitato, ma li guarisce, li libera, li promuove, in una parola li "fa crescere": questo il significato del termine latino auctoritas. Il vocabolo greco exousìa traduce l’ebraico shaltan (da cui "sultano") ed è riservato solo a Dio. Di qui viene lo stupore davanti alla parola del Profeta di Nazaret, dal fatto che egli ha ed esercita in pienezza il potere di Dio: la sua parola è potente, sconfigge il male, realizza quanto annuncia. Pertanto in Gesù tra il dire e il fare non c’è di mezzo alcun mare: la sua coscienza e la sua essenza - chi crede intimamente di essere e chi effettivamente è - sono, per così dire, "a rima baciata". Le sponde dei pensieri e delle parole, come quelle dei sentimenti e degli atteggiamenti, delle parole e delle azioni, dei gesti ordinari e delle gesta più straordinarie non solo si corrispondono, ma combaciano perfettamente. Gesù non è un profeta come Elia o Geremia o qualcuno dei profeti di Israele. È il Profeta: comunica delle verità - si veda la formula ricorrente: "in verità, in verità vi dico" - ma soprattutto proclama la verità, poiché è "veritiero" - come gli riconoscono i suoi avversari (Mc 12,14) - anzi egli rende testimonianza alla verità, perché è la Parola fatta carne, "piena di grazia e di verità". Gesù non solo è e sa di essere senza peccato (Gv 8,46), ma è riconosciuto persino dai demoni - vedi il nostro brano - come "il santo di Dio". La novità inaudita del Nuovo Testamento - rispetto alla tradizione di Israele e ad ogni altra tradizione religiosa - è che l’uomo Gesù si pretenda credibilmente - e autorevolmente - si proponga come unico depositario della stessa autorità di YHWH, di quella sovrana, assoluta possibilità di agire che è propria ed esclusiva di Dio. È per una "questione di autorità" che Gesù verrà condannato: con quale autorità si è permesso di scacciare i mercanti dal tempio, di perdonare i peccatori, di proporsi come il Figlio dell’uomo e Messia, come unico salvatore del mondo, addirittura come giudice ultimo e supremo della storia al posto di Dio? Ma risorgendo, Cristo ci ha partecipato la sua autorità: "Mi è stata data ogni autorità in cielo e sulla terra: andate dunque...". In forza del battesimo tutti i cristiani sono coinvolti in questa missione profetica. In particolare tocca ai laici testimoniare come il vangelo costituisca il compimento più alto delle speranze di ogni cuore e l’unica risposta pienamente valida ai problemi e che la vita pone ad ogni uomo e alla società. È venuta l’ora della nuova evangelizzazione. Oggi troppo spesso la voce dei pastori e la profezia dei religiosi arriva debole o distorta ai nostri contemporanei. C’è bisogno di cristiani laici che mostrino la bellezza e vivibilità del vangelo, il suo effettivo potenziale salvifico, la sua grande forza trasformatrice e umanizzante, nelle ordinarie condizioni della vita: nella casa, nella giornata, nel lavoro, in banca e in ospedale, a scuola o in macchina, al mare o ai monti... Non vi sarà nuova evangelizzazione senza una nuova generazione di laici evangelizzatori. Commento di mons.Francesco Lambiasi tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli festivi" Ave, Roma 2008 |