Omelia (11-01-2009)
mons. Vincenzo Paglia
Tu sei il figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento

La festa di oggi è un altro Natale, un’altra Epifania. Dio, infatti, non si stanca di farsi vedere, perché tutti coloro che lo cercano lo possano trovare. È paziente, perché vuole essere accolto. È insistente, come un innamorato. Ma dobbiamo temere il doloroso e terribile: "Venne tra la sua gente ed i suoi non lo hanno accolto!". Dio si mostra perché vuole aprire il cielo agli uomini della terra. Il cielo è il futuro, la felicità, la speranza che si realizza, la solitudine vinta, il dolore consolato. Il cristiano è uomo della terra, come tutti, come Gesù. Ma è anche uomo del cielo. Proprio come Gesù. Oggi è la festa del battesimo, festa della famiglia di Gesù, di coloro che lui rende figli, che rinnova perché lo siano davvero. Festa del cielo che si apre sulla terra. Tanti, tantissimi uomini sentono quanto è disumana ed insopportabile la terra e cercano una speranza: "Se tu squarciassi i cieli e scendessi!". È la richiesta di questi tempi difficili e pieni di minacce. È la richiesta di chi è nel dolore e vede la malattia trasfigurare il corpo. È la richiesta di tanti anziani, la cui condizione ricorda la debolezza che è di tutti. È la richiesta di coloro la cui vita viene lasciata cadere, sballottata dal vento impietoso del male. E quanto è facile perdersi, lasciarsi andare, sentirsi un peso quando non si è amati!
Per noi è la terza volta che, in pochi giorni, si aprono i cieli e possiamo ascoltare la voce che ci indica, in quel bambino deposto sulla mangiatoia divenuto ora giovane adulto, il Figlio prediletto di Dio, il salvatore nostro e del mondo intero. Si sono aperti i cieli e lo Spirito Santo si è posato su Gesù, come una colomba finalmente si posa sul suo nido. Si potrebbe dire che la potenza di Dio ha trovato finalmente la sua casa. Non che prima lo Spirito del Signore non ci fosse. C’era sin dalla creazione, quando "lo spirito di Dio aleggiava sulle acque" (Gn 1,2); e poi ha continuato ad essere presente negli uomini santi e spirituali, nei profeti, nei giusti, nei testimoni della carità, sia d’Israele che delle altre religioni. Ma in Gesù lo Spirito trova la sua dimora piena e definitiva. Infatti, da quel momento inizia un fatto assolutamente nuovo ed unico. Lo sintetizza bene la Lettera agli Ebrei: "Dio che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Eb 1,1).
Dopo il Battesimo Gesù inizia a parlare. Si potrebbe dire che uscì dall’acqua con una vocazione nuova, un’urgenza nuova. Non era, ovviamente, questione di bontà o di santità di vita; senza dubbio Gesù per trenta anni a Nazareth fu di esempio per tutti. Ma nel giorno del Battesimo egli, in certo modo, nacque ad una nuova vita: non ebbe più tempo di pensare a sé, ai suoi cari, alla sua casa, alle sue preoccupazioni di sempre. La sua ansia, il suo assillo, la sua ragione di vita divenne l’annuncio del Regno di Dio. Uscito dal Giordano, infatti, Gesù fu come divorato da un fuoco, da una nuova energia che lo avrebbe spinto a girare per città e villaggi annunciando ovunque il Vangelo del Regno e curando ogni malattia e infermità: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!" (Lc 12,49). Appena battezzato Gesù uscì dall’acqua ed ecco si aprirono i cieli ed una voce dal cielo disse: "Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto". I cieli si aprono. Ogni uomo, infatti, non attende cose, ma amore. Noi non aspettiamo l’ultima novità, da consumare e buttare via. Questa è la manifestazione di Dio: il futuro non è lontano, la speranza non è finita, l’uomo non è schiacciato sulla terra, sul proprio destino. Ognuno di noi è il figlio prediletto, amato. I discepoli del Signore non diventano autonomi, costretti a confidare sulle loro forze, tristemente autosufficienti, diffidenti ed impauriti dell’altro. Sono sempre dei figli. Trovano sempre dei fratelli. Tutti prediletti. L’amore vero, l’amore di Dio è personale; unico; senza fine. Così deve essere per tutti, specialmente per coloro la cui vita sembra abbia perso ogni valore ed importanza. Noi siamo suoi per sempre; unti con l’olio, abbiamo ricevuto il sigillo di Dio sulla fronte e nell’anima. Il cristiano non è mai figlio unico, ma è chiamato ad essere fratello, a costruire amicizia, a coltivarla con tutti. Qualche volta non è facile essere fratelli, sembra più facile fare da soli, crediamo ci risparmi delusioni. Ma il cristiano è chiamato ad aprire anche lui il cielo con l’amore, che è di Dio.
Cielo aperto è quando ascoltiamo lui; quando l’amicizia rende vicino l’altro; quando un anziano solo è amato; quando una lacrima è consolata; quando un barbone ritrova il suo nome; quando un povero è aiutato; quando un malato riceve le medicine o è visitato; quando i gesti buoni danno sicurezza e fanno sentire amati. Oggi, a tutti noi, tornati bambini al fonte battesimale, generati figli, Dio non chiede grandi discorsi o promesse, ma solo un cuore capace di farsi volere bene e di rispondere quello che Dio, padre buono, vuole sentirsi dire: "Ti voglio bene". Per imparare a volere bene a tutti.