Omelia (11-01-2009)
padre Ermes Ronchi
Ognuno è il prediletto di Dio

Gesù è il figlio che si fa fratello, che si immerge solidale non tanto nel Giordano, quanto nel fiume dell’u­manità, che sempre scorre a rischio sul confine tra de­serto e terra promessa, tra fallimento e fecondità del­la vita. Lo fa perché ogni fratello possa diventare fi­glio. Il cuore del Vangelo di Marco è in questa parola: «Tu sei mio figlio amato». La lieta notizia è una calda voce di padre che ti chia­ma figlio. Sostanza di ogni battesimo: ognuno è il fi­glio prediletto di Dio. Dio preferisce ciascuno.
Uscendo dall’acqua vide i cieli aprirsi. Il mondo nuo­vo si presenta come una a­pertura del cielo: il cielo si apre, vita ne entra, vita ne esce. Si apre e accoglie, co­me quando si aprono le braccia agli amici, ai figli, ai poveri, all’amato. Il cie­lo si apre, sotto l’urgenza dell’amore di Dio, l’impa­zienza di Adamo, l’assedio dei poveri, e nessuno lo ri­chiuderà più. Si apre e do­na. Su ogni figlio scende u­na colomba simbolo dello Spirito, respiro di Dio.
Questa immagine del cie­lo aperto continua a indi­care la nostra vocazione: alzare gli occhi su pensie­ri altri, su vie alte che so­vrastano le nostre vie; sen­tire che nella nostra vita sono in gioco forze più grandi di noi; che dipen­diamo da energie che ven­gono da altrove, da una fonte fedele e che non vie­ne meno, che alimenta la nostra vita; che non ab­biamo in noi la sorgente di ciò che siamo. Con questa fede possiamo anche noi aprire spazi di cielo sere­no, da cui si affacci la giu­stizia per la nostra terra, dono che diventa conqui­sta. Possiamo aprire spe­ranza, abitare la terra con quella parte di cielo che la compone.
Allora ti prende come una nostalgia, un desiderio di fare qualcosa che assomi­gli a ciò che è detto di Ge­sù: «Passò facendo del be­ne, guarendo la vita da o­gni sorta di male» ( At 10); sintesi ultima, essenziale, struggente e bellissima della vicenda di Gesù, ma anche di ognuna delle no­stre vite. Passare facendo del bene è il senso del no­stro pellegrinaggio sulla terra. Passare fra le cose e le persone senza prende­re, solamente amando, do­nando, perdonando, ac­cendendo, aprendo spazi di cielo sereno.
Lo farò ricordando che «Dio non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta» ( Is 42) che a Lui basta un po’ di fumo, lo la­vora, lo circonda di cure e di speranza, «gli alita so­pra» ( cf Gn 2, 7) fino a che ne sgorghi di nuovo la fiamma. L’uomo non è mai finito per sempre.
Ricordando il Dio dell’u­mile presagio di fuoco, Dio della nostra fragilità, Si­gnore della debole fiamma e della grande speranza!