Omelia (11-01-2009)
don Maurizio Prandi
Ascoltare è vivere

Bello vedere Gesù nella sua maturità dopo averlo visto bambino solo pochi giorni or sono.
Mi sono sempre domandato il perché di quella che normalmente considero una "stranezza liturgica": mettere insieme due avvenimenti così distanti nel tempo. La risposta a questa mia domanda forse sta proprio in quel mettere insieme. La liturgia certamente ci invita a legare in unità, sotto un unico sguardo, l’intera esistenza di Gesù, gli inizi della sua vita e l’infanzia con la stagione della sua maturità. Ecco che ci viene consegnato un criterio importante per la nostra relazione con Dio che in Gesù si rivela: sono chiamato a guardare a tutta intera la vita di Gesù per nutrire la mia fede e non soltanto ad alcuni aspetti che possono, per come sono fatto io, generare in me una maggiore sintonia. La liturgia della Parola oggi è intrisa di sobrietà, di semplicità, di condivisione, di solidarietà: in tutto questo possiamo vedere bene come gli anni passano ma lo stile di Gesù resta lo stesso.

Tutte e tre le letture oggi, in modi diversi tra loro, hanno in comune l’elemento fisico più importante per poter sopravvivere: l’acqua. Il profeta Isaia in particolare ci invita ad orientare all’acqua la nostra vita. C’è una condizione però per poterlo fare: essere assetati, ovvero (mi pare di poter tradurre così), coltivare un desiderio, cercare, scoprire, incontrare, conoscere. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete scrive Giovanni nel suo vangelo. Isaia ci parla, con immagini tratte dalla vita di tutti i giorni, della sete e della fame interiore, e con queste, in linea con la liturgia di domenica scorsa e del giorno dell’Epifania, ci parla anche dell’unico nutrimento veramente necessario: l’ascolto. Ascoltatemi e gusterete cibi buoni e succulenti, porgete l’orecchio, ascoltate e voi vivrete. Bello allora che il Tempo di Natale si concluda con una liturgia della parola che pone al centro l’ascolto... di più: con una liturgia della parola che ci dice che ascoltare è vivere. Don Bruno Maggioni, durante un incontro con i catechisti ha detto: E’ bellissimo ascoltare. L’uomo che non ascolta è morto, è piatto, è chiuso in se stesso. Gesù, prima ancora che del parlare, è immagine dell’ascoltare. Il comandamento principale della Bibbia rimane sempre: Ascolta Israele! Un compito importante allora per noi: essere uomini in ascolto della Parola di Dio, delle cose, del mondo, della vita, delle persone...

Credo anche che la prima lettura di oggi ci dia tratti importantissimi per ciò che riguarda il volto dell’uomo e il volto di Dio. Il volto dell’uomo è disegnato da alcuni verbi: cercare, invocare, abbandonare, ritornare. Il volto di Dio è disegnato dai verbi della misericordia e del perdono: avrà misericordia di lui, il nostro Dio che largamente perdona; mi piacer tenerli insieme a coppie questi verbi, a partire da cercare/invocare. Cercare è invocare, cercare è chiamare, perché capisci che non si esaurisce tutto in te, nella tua persona, nelle cose che fai, ma che è fuori di te stesso che puoi trovare ciò che dà pienezza al tuo tempo alla tua vita. Invochiamo, preghiamo, gridiamo perché da soli non ce la possiamo fare, perché qualcosa o qualcuno manca nella nostra vita, perché sappiamo che siamo affidati alle mani di Dio. Invochiamo, gridiamo, perché anche per Gesù sulla croce è stato quello il modo con il quale ha cercato lo sguardo del Padre. E poi, a definire il volto dell’uomo i verbi abbandonare/ritornare li sento i verbi della conversione, della possibilità, per chi ascoltava le parole del Battista, di mettersi in fila per scendere nell’acqua e poter cominciare così un cammino nuovo, abbandonare, perché sei rimasto in ascolto della tua vita e ti sei detto di essere disposto al cambiamento. Ritornare, perché sei rimasto in ascolto della tua vita e hai sentito una nostalgia, nostalgia di una parola, di un senso che ha dato pienezza ai tuoi giorni, di un Dio che ha scommesso su di te regalandoti il suo Spirito, cioè la forza del suo amore, del suo desiderio di condivisione e di solidarietà con l’umanità ferita.

In questa domenica allora facciamo con gratitudine memoria del nostro Battesimo e quando rinnoveremo tra poco le promesse desideriamo ardentemente rivivere quel tuffo nell’amore di Dio che un giorno benedetto i nostri genitori ci hanno fatto fare. Per tanti è una forzatura, forse è come spingere uno ad entrare nell’acqua prima che impari a nuotare, ma di una immersione totale nell’amore di Dio, dettata dall’amore dei nostri cari, credo proprio non ci possiamo lamentare.