Omelia (18-01-2009)
mons. Roberto Brunelli
Tutti sono chiamati

Giovanni, il Battista, "fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Uno dei due era Andrea. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: (che si traduce Cristo) e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: (che significa Pietro)".
Da questo condensato del brano evangelico odierno emerge con evidenza il tema della vocazione, vale a dire la chiamata che Dio rivolge agli uomini, perché intreccino un rapporto con Lui. La Bibbia trabocca di storie di vocazione: ne sono esempi Abramo, Mosè, Davide, i singoli profeti, il piccolo Samuele di cui si legge nella prima lettura di oggi, la Vergine Maria, gli apostoli; ciascuno in forme diverse, ma tutti accomunati da questo invito a dare alla propria esistenza il valore supremo dell’aprirsi alla relazione con Dio. Tranne le poche eccezioni di una chiamata diretta, la vocazione avviene per il tramite di altri uomini, come si vede nell’episodio di oggi: per i due discepoli del Battista, il tramite è lui, col segnalare loro l’Agnello di Dio; per Pietro è suo fratello Andrea; per Samuele bambino è il suo "custode" Eli.
I casi specificamente raccontati nella Bibbia riguardano le vocazioni, per così dire, speciali, cui si associa un compito particolare: per Abramo, dare origine al popolo di Dio; per Mosè, liberare gli Israeliti dalla schiavitù dell’Egitto; per Maria, divenire la madre del Messia; per gli apostoli, testimoniare la realtà del Risorto, e così via. Ma nei suoi termini basilari la vocazione è rivolta a tutti gli uomini; tutti sono chiamati da Dio: quanto meno chiamati all’esistenza e chiamati a conoscerlo, attraverso la ragione e la coscienza. Parte dell’umanità (ma con l’intenzione di arrivare a tutti: anche per questo Gesù ha voluto la Chiesa) ha poi avuto il privilegio di una conoscenza più profonda; i cristiani, chiamati alla fede con il battesimo, sono destinatari di una continua vocazione ad approfondire il rapporto con Dio e a farsi tramite perché altri facciano altrettanto.
Tutti sono chiamati, ed anche se non per compiti straordinari, agli occhi di Dio la loro vocazione non è meno importante, perché è l’ambito in cui ciascuno realizza la propria esistenza e concorre a determinare quella di chi gli sta intorno. Di qui la grandezza, ad esempio, del ruolo dei genitori, chiamati a testimoniare il volto autentico dell’amore e a trasmettere ai figli la loro propria vocazione; di qui la grandezza della vocazione di ogni categoria di uomini e donne, chiamati a muoversi nell’ottica della fede: sacerdoti, educatori, operatori della carità, lavoratori e imprenditori e politici e ogni altro servitore del bene comune. Nei genitori che educano i figli alla fede è quasi ovvio, e altrettanto si può dire per i missionari e i catechisti; ma a ben guardare in ogni altra persona si vede come Dio si avvalga degli uomini per chiamarne altri a sé. Su ciascun cristiano grava l’impegno di riscoprire di continuo e realizzare sempre meglio la propria vocazione, che comprende il sostegno da offrire – con l’esempio, con la parola, con le opere – a quanti riconosce fratelli, per camminare insieme verso Colui che tutti chiama. E’ un impegno, certo: ma esiste qualcosa di meglio da fare nella vita? E’ un impegno: ma quale bellezza e soddisfazione, avere coscienza di concorrere così a migliorare il mondo e realizzare il senso autentico dell’esserne parte.