Omelia (18-01-2009) |
mons. Vincenzo Paglia |
Videro dove dimorava e rimasero con lui "In quel tempo Giovanni stava ancora là". Sono finite le epifanie, le manifestazioni del Signore, eppure Giovanni, l’uomo dell’attesa, del sogno, della ricerca di un mondo nuovo, è ancora là. Va in profondità, non si rassegna, non riduce il Natale ad un sentimento vago che lascia la vita così com’é. Il discepolo è uomo della terra, tanto da trovarsi a casa sua in tutti i paesi e familiare con tutti gli uomini. Il discepolo, però, è anche uomo del cielo: attende il regno di Dio. Per questo non va via, non scappa lontano, non si rassegna. Giovanni resta ancora là. Non va alla ricerca di sensazioni nuove o di un mondo virtuale. Non guarda il mondo con cuore cinico, come finisce per fare chi non ha speranza. Continua a cambiare se stesso e ad attendere. Fissa lo sguardo su Gesù che passa. Lo indica di nuovo: "Ecco l’agnello di Dio". Dobbiamo riconoscerlo, confusi ed incerti come siamo. Ecco il mite, che con la sua umanità rende concreto il volto di Dio. Ecco l’agnello che si lascia condurre al macello per sconfiggere il male. Ecco la risposta alle attese di felicità, di amore, di guarigione, di pace, di fine delle divisioni. Per Andrea e Giovanni è il Battista che indica il Signore, colui del quale hanno davvero bisogno e che può dare senso alla loro vita. Si mettono a seguirlo, sebbene a distanza. Non sappiamo se Gesù si accorge subito dei due; certo è che ad un certo punto si volta indietro e chiede loro: "Che cercate?". Anche qui l’iniziativa parte da Dio. È Gesù che si volta e "guarda" i due discepoli. Nello stile dell’evangelista Giovanni l’uso del verbo "vedere", attorno al quale sembra organizzare tutta la scena, sta a significare che i rapporti tra i vari personaggi si realizzano in un contatto diretto, immediato: Giovanni "fissa lo sguardo su Gesù"; poi è Gesù che "si volta e vede" i due discepoli e li invita a "venire e vedere"; essi gli vanno dietro e "vedono dove abita"; e da ultimo il Maestro "fissa lo sguardo" su Pietro dandogli un nuovo nome, un nuovo destino. "Vedere" vuol dire scendere nel cuore dell’altro e nello stesso tempo lasciarsi scrutare nel proprio; "vedere" è capire ed essere capiti. È vero che l’iniziativa viene da Dio, ma nel cuore dei due discepoli non c’è il vuoto, e neppure un tranquillo e avaro appagamento nelle cose di sempre. I due, insomma, non erano restati nella Galilea, nella loro terra o nella loro città, a fare le cose di sempre. Avevano nel cuore il desiderio di una vita nuova per loro e per gli altri. Questo desiderio, questo bisogno magari inespresso viene colto dalla domanda di Gesù: "Che cercate?". Ed essi rispondono: "Rabbì, dove abiti?". Il bisogno di un "maestro" da seguire e di una "casa" ove vivere è il cuore della loro ricerca. Ma è anche una domanda che sale dagli uomini e dalle donne di oggi in modo del tutto particolare. È raro infatti incontrare "maestri" di vita, è difficile trovare che ti vuol bene davvero. È sempre più frequente invece sentirsi sradicati e senza una comunità vera che accoglie e accompagna. Le nostre stesse città sembrano ormai costruite per rendere se non impossibile certamente difficile una vita solidale e comunitaria. La mentalità utilitarista e consumista, la corsa al benessere individuale o di gruppo, ci tirano tutti in basso, ci lasciano profondamente soli, orfani, e in rivalità l’uno con l’altro. C’è assenza di "padri", di "madri", di "maestri", di punti di riferimento, di modelli di vita. In tale senso siamo diventati tutti più poveri. Da chi recarsi per apprendere a vivere? Chi può indicarci, con le parole e soprattutto con l’esempio, ciò per cui vale la pena vivere? Da soli non ci si salva. Ciascuno di noi ha bisogno di aiuto: Samuele fu aiutato dal sacerdote Eli, Andrea dal Battista e Pietro dal fratello Andrea. Anche noi abbiamo bisogno di un sacerdote, di un fratello, di una sorella, di qualcuno che ci aiuti e ci accompagni nel nostro itinerario religioso ed umano. Alla richiesta dei due discepoli Gesù risponde: "Venite e vedrete". Il giovane profeta di Nazareth non si attarda a spiegare; non ha infatti una dottrina da trasmettere ma una vita da comunicare; per questo propone immediatamente un’esperienza concreta, potremmo dire un’amicizia che si può toccare e vedere. I due "andarono e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio". Si trattò senza dubbio di restare nella casa di Gesù; ma quel che contò davvero fu il radicarsi dei due discepoli nella compagnia di Gesù: entrarono in comunione con lui, e furono trasformati. Restare con Gesù non chiude, non blocca, non restringe gli orizzonti; al contrario, spinge ad uscire fuori dal proprio individualismo, a superare il provincialismo e le proprie grettezze per annunciare a tutti la scoperta affascinante di colui che è infinitamente più grande di noi, il Messia. La vita dei due cambia. L’incontro con Gesù crea una nuova fraternità tra Andrea e Pietro. "Abbiamo trovato il Messia", dice con gioia. Inizia anche lui a parlare come Giovanni, indicando presente Gesù. La parola deve essere comunicata, altrimenti si perde. La luce non si accende per metterla sotto il moggio. Ho trovato il futuro, il senso, la speranza, quello che cercavo, molto più di quello che desideravo! Insegnaci, Signore, a comunicare con passione la tua speranza a chi cerca futuro e salvezza. Ti ringraziamo perché continui a farci stare con te. Insegnaci a fermarci per conoscerti come unico maestro e pastore della nostra vita. |