Omelia (01-02-2009) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
"Se ascoltate oggi la sua voce: «Non Indurite il cuore...» (Sl 94). Così recita il salmo responsoriale di questa quarta domenica del Tempo Ordinario, che, nei testi delle letture ci parla di ascolto: l'ascolto della parola di Dio; ascolto che esige un clima di silenzio interiore e di attesa, segno del desiderio di conoscenza, nel quale nasce e cresce un atteggiamento di accoglienza: l'accoglienza della parola, che, in Dio, è Persona, quel Verbo eterno, di cui Giovanni dice: "E il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di lui e, senza di lui, nulla fu fatto di ciò che è creato" (Gv 1,1-3). Una parola, che è atto creativo, come leggiamo nel libro della Genesi: "Allora Dio disse: Vi sia la luce. E vi fu la luce"(Gn 1,3). Questa è la Parola di Dio, non un semplice suono di voce, che veicola un pensiero, ma parola che opera, e vivifica; parola che salva e che, per amore, si è fatta carne in Gesù di Nazareth, il Figlio di Maria, la donna dell'ascolto e dell'accoglienza: "Eccomi,é la sua risposta avvenga in me secondo la tua parola..." (Lc1,38), quella parola, recata a lei dall'Angelo, che parlava da parte di Dio. Di lei, icona dell'ascolto, e nel cui grembo la Parola di Dio prese un corpo, come ogni altro figlio di donna, Luca, ancora dice: "Maria, da parte sua, conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore"( Lc 2,19). Ed è attorno alla parola e all'ascolto che ruota, oggi, il Vangelo di Marco, un brano brevissimo, che parla di stupore, da parte di quanti, nella sinagoga di Cafarnao, avevano udito Gesù di Nazareth commentare i testi della Scrittura: "erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro, come uno che ha autorità, e non come gli scribi...". Gli scribi, i teologi del tempo, parlavano, sicuramente, con competenza; ma l'autorità nel parlare è altro, e, le parole di questo giovane rabbi, venuto da Nazareth, avevano una forza particolare, diversa: la forza e la luce della Verità, perché lui stesso era la Verità. Già, in precedenza, a Nazareth, la sua città, così narra narra Luca (Lc 1,16-24), come di consueto, Gesù era entrato, di sabato, nella sinagoga, per la lettura della Scrittura Sacra, e, in quel sabato, a lui fu presentato il libro del profeta Isaia, perché ne desse lettura e poi lo commentasse. "Apertolo" – scrive l'Evangelista – "s’imbattè nel passo, in cui era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato, e mi ha inviato a portare ai poveri il lieto annuncio, ad annunziare ai prigionieri la liberazione, e il dono della vista ai ciechi; per liberare coloro che sono oppressi e inaugurare l'anno di grazia del Signore". A queste parole, doveva seguire un commento, e quello di Gesù fu semplice, lapidario e sconcertante: "Oggi, disse, si è adempiuta questa parola, per voi che mi ascoltate." Anche in questo caso, tutti erano stupiti, quasi increduli, ma percepivano, nelle parole di lui, la forza superiore della grazia: "erano stupiti, per le parole di grazia che pronunciava" (Lc 4,22). E' questa l'autorevolezza di Gesù del quale, sempre Luca, nel versetto che fa da introduzione al Vangelo di oggi, dice: "Un grande profeta è sorto tra noi: Dio ha visitato il suo popolo" (Lc 7, 16). Gesù è il profeta ultimo, il profeta del tempo che ha raggiunto la pienezza, perché è il tempo che accoglie in sè la presenza stessa di Dio; Gesù è il profeta che insegna, non solo con l'autorità propria di Dio, ma insegna una dottrina nuova, che non è, come si può pensare, qualcosa di inedito e di sorprendente, ma è una dottrina che, ricollegandosi a quanto fino ad allora insegnato e professato, fondato sulla rivelazione divina, porta tutto ciò a completezza e perfezione; e non può essere altrimenti, perché Lui, il Figlio, è la Parola definitiva, la rivelazione piena del Padre. E' Cristo, il Profeta veramente grande, annunciato ed atteso dai tempi lontani, il profeta del quale Mosè, parlando al popolo, aveva detto: «Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli un profeta. ..; a lui darete ascolto»; un profeta che, non solo, parla da parte di Dio, e dice le parole di Dio, in obbedienza a Lui, ma, un profeta che è, Egli stesso, Dio, anche se appare, agli occhi di tutti, un uomo come gli altri; e Mosè, da parte di Dio, ammonisce: "Se qualcuno non ascolterà le parole, che egli dirà, in mio nome, io gliene domanderò conto." Una dottrina nuova, insegnata con autorità, infatti, in Cristo, la Verità ci è stata definitivamente donata; sta a noi accoglierla, comprenderla, viverla con fede, e testimoniarla agli altri. Lo stupore che, le parole di Gesù avevano destato in quanti erano presenti, quel sabato, nella sinagoga, è segno di quanto fosse difficile, scorgere in quel rabbi, qualcosa di superiore, proveniente da Dio; è il segno di quanto sia, talvolta, sconcertante e difficile credere, di quanto sia lungo ed impegnativo l'educarsi all'ascolto, approfondire il mistero di Cristo, della sua parola di salvezza, e credere, fidarsi e affidarsi totalmente a Lui, il Figlio di Dio che ci salva. La persona del Cristo è come avvolta dal mistero, in quel segreto, che si svelerà molto lentamente, e nel quale siamo invitati ad entrare, si tratta di quello che gli studiosi chiamano "il segreto messianico", che, in questo episodio del Vangelo è sottolineato dalle parole stesse di Gesù rivolte al demone, che tiene prigioniero un povero uomo: «Taci!». Nella sinagoga, infatti, in quel sabato, avvenne un fatto prodigioso: un uomo,"posseduto da uno spirito immondo", venne liberato, dopo che proprio quello spirito, il quale, perché spirito, conosceva Dio ed era capace di riconoscere, in Gesù, il Cristo, disse: «Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! lo so chi sei tu: il Santo di Dio!». Gesù di Nazareth viene, dunque, riconosciuto ed annunciato ai presenti, come "il Santo di Dio"; il "Santo": appellativo che compete esclusivamente a Dio. «Taci!»; per ora il mistero di Cristo, uomo e Dio, è nascosto, e tale, Gesù vuole che resti, finché non sia giunta la sua "Ora"; «Taci!» comanda allo spirito immondo, perché la fede in Cristo, non nasce dai miracoli, e la sua potenza divina non si rivela nei prodigi, ma nell'amore che splenderà pienamente sulla croce, quando, Gesù, morente, implorerà dal Padre il perdono per tutti gli uomini, e anche la natura sarà sconvolta per la morte del Figlio di Dio; allora si rivelerà la sua divinità, e il centurione romano, che aveva assistito alla sua esecuzione, come a tante altre, dirà: "Davvero, quest'uomo era il Figlio di Dio!" (Mc 15,39). Gesù di Nazareth, il Maestro che insegna con autorità, che predica una dottrina nuova: il Vangelo della salvezza, è la Parola di Dio fatta carne; quella Parola, della quale Tommaso D'Aquino ha detto: "Non una parola qualunque, ma la Parola, che spira Amore"(Verbum spirans Amorem); è questa la Parola da accogliere, la parola che, in ogni uomo che crede, crea capacità di amare, come lui ha amato, e di perdonare, come lui ha perdonato. La fede in Cristo, infatti, non può che generare le opere dell'amore, quello stesso, che il Figlio di Dio ha portato nel mondo, rivelando il Padre che è Amore e offrendo la sua vita per la redenzione di tutti. sr Maria Giuseppina Pisano o.p. mrita.pisano@virglio.it |