Omelia (18-01-2009)
don Maurizio Prandi
Ascoltare è ricevere la propria identità

L’ascolto, ancora una volta, è il tema al centro della nostra riflessione domenicale. E’ un percorso, il nostro, cominciato due domeniche fa', quando, ascoltando il prologo del vangelo di Giovanni abbiamo definito Gesù come una parola da sempre in ascolto del Padre. Pochi giorni dopo, nella solennità dell’Epifania, guardando ai Magi abbiamo sottolineato l’importanza non solo di interrogare il cielo, ma anche di ascoltare il cielo, ovvero la parte più profonda e vera di noi, la nostra intimità, l’importanza di aprire la vita alle nostre intuizioni. Domenica scorsa, nel giorno del battesimo del Signore abbiamo udite queste parole: ascoltate e voi vivrete (ascoltare è vivere).
Oggi la liturgia ci fa fare un passo ulteriore. Credo che, stando alla prima lettura e al brano di vangelo, si possa dire che ascoltare è ricevere la propria identità, cioè ascoltare per scoprirci, per conoscerci, per ringraziare di una vocazione ricevuta. Davvero tutta la liturgia oggi è imbevuta di ascolto, dalla preghiera colletta, dove chiediamo a Dio la stessa capacità di Samuele, quella di non lasciare cadere a vuoto nessuna delle Sue parole, alla seconda lettura, che non parla direttamente di ascolto, ma ci invita a fare l’operazione forse più difficile, quella di metterci in ascolto del nostro corpo, che, come scrive S. Paolo ai Corinzi è tempio dello Spirito santo. Ascoltare il proprio corpo è ascoltare lo Spirito che lo abita. In un libro di Luciano Manicardi ho letto una cosa proprio bella: gli ebrei ogni mattina, quando si alzano, iniziano la giornata ringraziando Dio prima di tutto per il proprio corpo, e soltanto in un secondo momento per l’anima che Dio ha soffiato. Così ogni mattina l’ebreo fa memoria della creazione benedicendo prima per il corpo e successivamente ringraziando per l’anima.
Mi piace molto anche il salmo di oggi perché lega la capacità di ascoltare alla capacità di prendersi cura: su di me si è chinato, ha dato ascolto al mio grido. Prima c’è il chinarsi di Dio e poi l’ascolto, come dire che ognuno di noi è capace di ascoltare l’altro soltanto se si china su di lui, se si prende cura di lui, se ha compassione e misericordia, se si spende per l’altro. L’ascolto nasce e cresce in questa dimensione di cura e di servizio.
Anche il vangelo ci parla di un ascolto, anche lì senza nominarlo direttamente: si tratta di ascoltare lo sguardo per poter ricevere il proprio nome, la propria vocazione, la propria identità. Credo che avvenga proprio questo: Gesù, ascoltando lo sguardo di Giovanni che si fissa su di lui, riceve, insieme alla sua parola, anche il nome e la sua vocazione. Ecco l’agnello di Dio... tutto è scritto in quelle parole io credo, tutto è scritto di un messia che non imporrà la propria forza e la propria autorità... è scritto di un messia-servo, amante dell’umanità al punto tale di spezzare la propria per lei. Poco più avanti è il momento di Pietro di ascoltare lo sguardo di Gesù che si fissa su di lui. Pietro riceve la parola di Gesù, il proprio nome = Simone, la propria identità, vocazione = roccia su cui appoggiare persone vive, vite, dolori, gioie, desideri, sogni, speranze.
Infine la prima lettura, che ci racconta la vicenda del giovane Samuele, accompagnato al tempio dalla madre quando aveva quattro anni. La mamma aveva voluto adempiere al voto fatto prima ancora che quel figlio fosse concepito. Samuele viveva nel tempio notte e giorno. Questo brano credo ci voglia dire una cosa molto importante: l’ascolto è legato alla vita nel senso della sua lunghezza, della sua durata nel tempo. Non è che perché Samuele (il giovane Samuele) ha ascoltato e conosciuto una volta la voce di Dio ora è arrivato, ha concluso il suo percorso di fede, no! Crebbe, il Signore fu con lui, né lasciò andare a vuoto una sola delle sue parole. E’ un passaggio questo, davvero importante, dove si sottolinea che l’ascolto non è questione di alcuni momenti, o esperienze, o circostanze: l’ascolto è un abito, l’ascolto è uno stile, l’ascolto è non lasciare cadere nel vuoto, l’ascolto è nutrito dalla fiducia, anche se, come precisa il libro di Samuele un versetto prima: la parola di Dio è rara nei giorni che viviamo. L’ascolto è un abito, è uno stile anche se (particolare omesso nel testo liturgico appena letto) la lampada non è ancora spenta, ovvero anche se è notte, buio, tenebra, incertezza, paura. Davvero bella questa prima lettura, perché ci mette in guardia anche dal sottovalutare le intuizioni dei più piccoli; il profeta Eli infatti, lì per lì fa come tanti di noi fanno con i più piccoli: non dà nessun credito a Samuele, non lo ascolta, lo rimanda indietro: torna a dormire! gli dice. Finalmente poi capisce che anche i più piccoli, i più giovani possono essere destinatari di una chiamata, depositari di intuizioni meravigliose, capaci di non lasciare cadere una sola delle parole che Dio rivolge loro perché sono stati capaci, un giorno, in quella determinata occasione di ascoltare una voce che li chiamava.

Scrive mons. G. Angelini: Chiediamo al Signore che aiuti quanti sono maestri, educatori, soprattutto padri e madri, a volgere l’attenzione dei figli verso la voce che chiama. Non permetta che i genitori addormentino i figli invece di iniziarli all’arte di parlare con Dio e di rispondere alla sua chiamata.