Omelia (25-01-2009) |
don Maurizio Prandi |
Una possibilità nuova Sono due i temi che si incrociano in questa terza domenica del tempo ordinario. Il tema della chiamata, in continuità con quanto anche la settimana scorsa ci veniva proposto, e il tema della conversione, sottolineato dalla prima lettura, dal vangelo e anche dal giorno in cui cade questa domenica, quello della conversione di San Paolo. Credo che si possa paragonare la vicenda di San Paolo a quella della città di Ninive... la violenza di Saulo di Tarso, la sua persecuzione nei confronti dei cristiani e la sua chiamata alla conversione e all’annuncio del vangelo, del volto di un Dio buono e misericordioso, di un Dio che non chiede tessere di appartenenza alle persone se non il legame che si instaura con Lui nella relazione con Gesù nel battesimo... ricordate vero? I Giudei di Gerusalemme, divenuti cristiani, erano convinti che la circoncisione e l’osservanza della legge mantenevano un significato permanente ed essenziale anche per i pagani. Ma già agli occhi di Stefano, e ancor più agli occhi di Paolo e di Barnaba, il cristiano si definisce esclusivamente attraverso Gesù e lo Spirito di Gesù. La violenza di Paolo dicevo, e il suo cammino di conversione, il suo cambiamento, e la violenza di Ninive, (capitale Assira) e la sua chiamata alla conversione. Inserisco qui, se può essere utile, una nota tratta da un incontro che padre Stefano Bittasi, della comunità di Villapizzone, ha scritto in occasione di un incontro al quale era stato invitato. In modo particolare la potenza Assira, di cui la capitale Ninive era il centro e il simbolo, ha fatto subire per decenni, per più di un secolo (dalla metà dell’VIII sec. a.C. alla sua caduta nel 621 a.C.), il suo potere dispotico caratterizzato in gran parte dalla violenza. Violenza nel suo modo di conquistare militarmente i territori e violenza nelle sue modalità di gestirli. L’Assiria si caratterizzò per la tecnica della "terra bruciata" e fece della "deportazione" un vero e proprio strumento scientifico di conquista territoriale. La deportazione nei territori Assiri delle parti sociali più attive, sia per un arricchimento interno, sia per togliere energie ai territori conquistati, mettendo in difficoltà possibilità di ribellione e di recupero della coscienza civile dei popoli assoggettati, divenne uno strumento abbastanza frequente in tutto l’arco che andava dall’Egitto alla zona dei "grandi fiumi". Si comprende come un simile atteggiamento comportasse un uso programmato e sistematico della violenza. La distruzione delle città più importanti era poi il segno esteriore della potenza assira ed era una ferita devastante nei popoli conquistati. Ecco che Ninive viene considerata dai profeti come l’identificazione del male e della violenza di fronte alla quale Dio non può né tacere né restare immobile. In Naum ad esempio troviamo questa invocazione: Se ci sei, Dio, devi punire il violento con la violenza. in Abacuc si fa già un passo in avanti, là dove si dice che combattere la violenza con la violenza, genera solo violenza (quello che fanno i Babilonesi scegliendo una via di sangue non è poi molto diverso da quello che hanno fatto gli Assiri) e quindi vale la pena affidarsi a Dio e non alla forza e potenza degli uomini. Finalmente il libro di Giona che segna un significativo cambiamento di mentalità indicando la strada della conversione e del perdono. E quella sottolineatura che la prima lettura fa del fatto che la parola del Signore viene rivolta a Giona per la seconda volta, ci dice quanto Giona stesso sia ancora imbevuto di una mentalità fatta di rabbia, di rancore, di incapacità a perdonare. Si, perché se lui inizialmente scappa, si dà alla fuga, non è perché ha paura dell’insuccesso o ha paura dei niniviti, ma perché ha paura che Ninive si converta, consentendo così a Dio di rivelarsi per quello che è: un Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, che si ravvede riguardo al male minacciato, la misericordia di Dio, il suo perdono, consentono ai niniviti di convertirsi. Ecco quello che Giona accetta con fatica: la gratuità dell’amore di Dio, che non chiede nulla in cambio e non pone condizioni e che rende possibile all’uomo il suo ritorno. La conversione non è il prezzo, ma è il frutto della misericordia di Dio (Comunità monastica della Ss Trinità in Dumenza). Mi pare di capire che è, in fondo, lo stesso messaggio che sta emergendo dai centri di ascolto che stiamo vivendo e che hanno per tema la vita e gli scritti di San Paolo, un uomo che nonostante il male compiuto e il dolore procurato ha sperimentato su di sé l’amore di Dio. Nel brano di Vangelo credo che la misericordia di Dio si manifesti nella chiamata di Gesù ed in modo particolare in quel subito. ...Mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Gesù chiama subito Giacomo e Giovanni, appena li vede. Il subito della risposta è possibile grazie al subito della chiamata. Gesù non indaga, non controlla, chiama senza soppesare le qualità dei discepoli o valutare se sapranno seguirlo fino in fondo. Anzi, alla fine lo abbandoneranno, ma Dio tornerà a chiamarli, proprio come è accaduto con Giona che, allontanatosi una prima volta, non ha provocato in Dio la decisione di cambiare testimone, inviato. La perseveranza nella sequela, l’obbedienza alla parola che chiama, non dipendono anzitutto da qualità e risorse umane, ma dalla fedeltà di Dio che torna sempre a chiamare una seconda volta. E’ la fedeltà della sua chiamata a suscitare la fedeltà della nostra risposta (Comunità monastica della Ss. Trinità in Dumenza). Che ognuno di noi possa sperimentare la bellezza di questa chiamata ad annunciare la possibilità sempre nuova di tornare a Dio; che ognuno di noi (consapevole delle proprie fughe e fragilità), si senta chiamato una seconda volta e per sempre anche dentro alle proprie debolezze, esitazioni, smarrimenti, peccati. E’ il tempo che ormai si è compiuto, è il Regno di Dio, che, una volta per tutte, si è fatto vicino a noi. |