Omelia (01-02-2009)
Omelie.org - autori vari
Commento Marco 1,21-28

PRIMO COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di don Giampiero Ialongo

Se ricordate un po' di anni fa una azienda iniziò a produrre una serie di magliette chiamate "parole di cotone"... magliette con sopra stampate poesie di Borges, passi della Divina commedia, frasi epiche ascoltate in qualche film di Ridley Scott o di Woody Allen; da quel momento si è aperta la stagione, la moda, di fare anche degli abiti che indossiamo dei veri e propri proclami, quasi dei manifesti del nostro sentire e del nostro pensare. Se già di per sé il nostro abbigliamento è una sorta di biglietto da visita con cui ci presentiamo agli altri, ora, in maniera molto più immediata, le magliette stampate, con volti e parole, dicono più esplicitamente chi siamo e come la pensiamo (o almeno crediamo di pensare... viste le tante mode da cui spesso ci lasciamo accalappiare).
Tra le tante magliette che circolano in giro ce n'è una che porta stampata grande la scritta "NO RULES - NO REGOLE". Tutti noi, grandi o piccoli, facciamo fatica talvolta a capire ed accettare le regole che il vivere insieme porta con sé. Ecco allora che non è così immediato, tra genitori e figli, trovare uno stile di famiglia condiviso che sappia accompagnare e, al contempo, promuovere la sensibilità e i talenti di ciascuno. E così a scuola o nei nostri ambienti di lavoro: le regole, l'autorità, troppo spesso vengono percepite come un attentato alla nostra libertà e al nostro sentire.
Mi colpiva che il vangelo di Marco, al suo esordio (n.b. siamo proprio al cap. 1 v. 22), quando inizia a presentarci la figura di Gesù che di sabato entra nella sinagoga, la prima annotazione che ci riporta è che "Gesù insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi". Le persone che ascoltavano Gesù parlare, restavano colpite dal suo modo di insegnare, di presentare le cose. Percepivano che nelle sue parole c'era una autorevolezza, uno spessore, non volto a schiacciare o dominare gli altri bensì a guidarli a libertà, aiutarli ad allargare i loro orizzonti... per questo era considerato un Rabbì, un maestro.
È normale che quando si è giovani (ma non solo da giovani!) si pensa di avere il mondo in tasca, si è convinti che il proprio punto di vista sia l'unico possibile, che tutto quello che ci sta attorno sia una limitazione, un confine che ci viene imposto e che, a tutti i costi, dobbiamo travalicare.
Ecco, allora, che ci si butta alla ricerca di una libertà "no-rules", senza regole, senza voler accogliere alcuna autorità esterna che possa in qualche modo aiutarmi a capire, non tanto ciò che è giusto o sbagliato, quanto invece ciò che può aprirmi ad una pienezza di vita o chiudermi ad essa. Ricordate: la vera libertà non è qualcosa che si acquista a buon mercato, senza la fatica di un lungo cammino di ricerca, di conoscenza di sé, senza arrivare a "tenersi in pugno saldamente" (come direbbe Rainer Maria Rilke).
Non credo sia un caso che il vangelo, subito dopo questa annotazione sul modo in cui Gesù insegnava, ci racconti un miracolo di liberazione: un uomo posseduto da uno spirito immondo, viene liberato dalla parola di Gesù. Può apparirci un qualcosa di lontano, che non riguarda la nostra vita, ma io credo che se proviamo a fare un'attualizzazione questo racconto non è poi così distante da noi.
Proviamo a leggerci dentro e a scrutare quanto ci sta attorno: quali sono i sentimenti, gli istinti, le passioni, le cose da cui, come quell'uomo nel vangelo, corriamo il rischio, talvolta, di lasciarci possedere? Non capita forse a tutti noi di pensare alcune cose e di trovarci, quasi senza accorgercene, a farne delle altre? Quante volte dopo una discussione, una reazione istintiva, ci mordiamo la lingua e ci rattristiamo e, quasi fosse un nastro, vorremmo ritornare indietro nel tempo, "riavvolgere" (rewind!) quel pezzetto di vita perché sentiamo l'amaro in bocca e non vorremmo aver mai detto le parole che abbia detto o fatto i gesti che abbiamo compiuto!
Ecco che la parola di Dio, che oggi abbiamo ascoltato, ci dice (cfr. 1° lettura) che nella nostra vita abbiamo bisogno di incontrare dei profeti, dei maestri di vita. Abbiamo bisogno di incontrare uomini e donne, appassionati della vita, che siano al contempo maestri e testimoni.
Uomini e donne che, non si limitino ad insegnarci delle cose, ma che sappiano incidere nella nostra vita, facendoci vedere concretamente che ciò di cui ci parlano è possibile, può realizzarsi, può farsi carne, può pian piano nascere sotto i nostri occhi perché lo vediamo già realizzato in loro.
Maestro è chi sa pensare, ed insegnare a pensare. A ciò che ci succede, alle situazioni che ci prendono nella vita di tutti i giorni, agli incontri avuti, alle mani strette e alle parole dette. Perché se non ci pensi non diventeranno mai vita tua.
Saranno solo cose successe.
Maestro
è chi è pronto a mettere a disposizione degli altri tutto quello che pensa e comprende per promuoverne la vita e la libertà.
Io credo che Gesù era uno che "insegnava con autorità" perché il suo insegnamento non si limitava alla parole ma passava attraverso la sua carne, i gesti che faceva, il modo con cui guardava le persone e da loro si lasciava avvicinare.
Gesù, come ricordano i due discepoli di Emmaus (Lc 24, 19), "fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo", perché ha fatto della sua vita il luogo in cui mostrare la concretezza delle sue parole e dei suoi insegnamenti.
In queste eucaristia, allora, preghiamo il Signore perché anche la nostra vita possa diventare sempre più manifestazione della fede che ci anima, della forza e della bellezza del nostro aver incontrato il Signore Gesù come maestro e testimone.

SECONDO COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di Daniele Salera

Il Vangelo di questa domenica ci mostra il legame vitale fra Gesù e la Parola, legame di cui si accorgono gli uditori poiché essa non è più solo suono ma diviene in Lui comunicazione di Dio allo Spirito dimorante nel cuore di chi ha fame di vita eterna. Ma è anche un testo in cui il Cristo si oppone ad uno "spirito impuro"; Gesù libera dal Male un uomo e da questi riceve il primo disvelamento della sua identità dopo quello del Padre in occasione del battesimo al Giordano. Questa cacciata del maligno ci offre l'occasione per riflettere sull'attività di esorcismo praticata dal Cristo ed ora dalla Chiesa e di come la parola autorevole ne sia il mezzo applicativo.
Nel mondo giudaico contemporaneo a Gesù, era credenza che il demonio fosse all'origine della malattia, della morte e del peccato. Gli esseni praticavano quest'arte e forse il loro nome "esseni" significava "guaritori", nome adottato pure dalla comunità religiosa egiziana affine a quella dei "terapeuti", guaritori dello spirito e del corpo.
L'esorcista incontrava l'indemoniato ma il demone, percependo le energie presenti nel terapeuta, subito opponeva resistenza: l'esorcista però sgridava e minacciava il demone, gli comandava di tacere e quindi gli ordinava di uscire dall'uomo posseduto. In questo scontro tra due potenze aveva una certa importanza la conoscenza del nome. E' così che molti demoni, appena vedono Gesù, lo attaccano chiamandolo per nome:
"Che c'è tra noi e te Gesù Nazareno? Io so che tu sei Il Santo di Dio" (Mc 1,24).
"Che c'è tra me e te Gesù, Figlio del Dio Altissimo" (Mc 5,7)
Gesù a questo attacco risponde senza atteggiamenti magici, ma con una parola di minaccia ("epitimao" nei LXX indica il minacciare di Dio) assume la funzione di JHWH nei confronti delle potenze caotiche demoniache. Gesù minaccia lo spirito immondo e poi ordina:
"Taci!" (Mc 1,25)
"Spirito impuro esci da quest'uomo!" (Mc 5,8)
"Spirito muto e sordo, io te lo ordino: esci da lui e non entrarvi più!" (Mc 9,25).
Così gli spiriti immondi obbediscono a Gesù (Mc l,27) alla sua parola. Ogni rito di esercizio magico è ignorato dai Vangeli e Gesù non invoca mai il nome di una potenza ulteriore né fa appello ad un esorcista più grande di lui. Forse per questa mancanza di invocazione di un nome più grande Gesù è accusato di operare in nome di Belzebul, il principe dei demoni. In Marco le espulsioni di demoni sono quattro: l'uomo esorcizzato nella sinagoga di Cafarnao (1, 23-26), l'indemoniato pagano di Gerasa (5, 1-20), la figlia pagana della donna sirofenicia (7, 24-30) e l'epilettico non guarito dai discepoli (9, 14-29).
Si noti poi che in Marco significativamente il primo miracolo operato da Gesù è un esorcismo, e che questa sua attività interamente religiosa è attestata con forza anche dagli altri evangelisti come la principale occupazione di Gesù in Galilea.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma sull'esorcismo:
È la domanda pubblica della Chiesa che, con autorità e in nome di Gesù Cristo, chiede a Dio che una persona o un oggetto sia protetto contro l'influenza del Maligno e sottratto al suo dominio. Gesù l'ha praticato (Mc 1,25s). La Chiesa ha il potere di esorcizzare donatole da Gesù. L'esorcismo è praticato nel battesimo in forma semplice. L'esorcismo "solenne" è praticato da un sacerdote delegato dal vescovo. Bisogna procedere con prudenza, osservando le norme stabilite dalla Chiesa. Diverso è il caso di malattie psichiche la cui cura rientra nell'ambito delle scienze mediche: è importante accertarsi non si tratta di malattie [CDC 1272] (CCC, n. 1673).
Sant'ignazio di Antiochia
(morto nel 107 d.C.) presenta la lotta tra Cristo e il diavolo, che continua nella storia della Chiesa. Con la seconda venuta, Cristo toglierà ogni potere al demonio. Il demonio è colui che spinge i credenti all'eresia.
La Lettera dello Pseudo-Barnaba (117-119) presenta Satana come il principe di questo mondo, che verrà distrutto dal Figlio di Dio. L'uomo, prima della fede, è come abitato dai demoni.
Il Pastore di Erma parla dell'angelo dell'iniquità, che è irascibile e porta l'uomo al peccato, ad una vita dissoluta e passionale. Il potere di Satana è vinto però dalla fede in Dio.
I Padri apostolici fissano la loro attenzione sull'opera di Cristo. Se parlano del diavolo è sempre in funzione di Lui. La sua opera è ostacolare quella di Cristo, allontanando l'uomo dalla via del Vangelo. Il cristiano non deve temere il demonio, che è stato già vinto. C'è uno spazio per la libertà umana, che mai viene tolta. Il martirio è il segno supremo di vittoria di Dio e di scelta libera dell'uomo per Lui: in questo modo il martire sconfigge il Maligno.
San Leone Magno (440-461). Il demonio è stato definitivamente sconfitto con la croce. Adesso è il diavolo ad essere incatenato. Egli commise un "abuso di potere". Credendo di avere diritti su Cristo, come su qualsiasi altro uomo, e credendo di averlo vinto, fu vinto.
L'ingannatore è rimasto ingannato: "Quei chiodi che trapassarono le mani e i piedi del Signore, trafissero il diavolo con ferite che non hanno fine e la sofferenza di quelle sante membra fu sterminio delle potenze ostili". Il Signore "nascose al diavolo, furente contro di lui, la potenza della propria maestà e gli mise davanti la debolezza della nostra umile condizione".
Ai nostri tempi, Paolo VI parlò in modo solenne dell'esistenza del diavolo:
a) Omelia del 29 giugno 1972: "da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio"; "Non ci si fida più della Chiesa"; e si vogliono soffocare i frutti del Concilio Ecumenico.
b) Udienza Generale del 15 novembre 1972: il male è "occasione ed effetto di un intervento in noi e nel nostro mondo di un agente oscuro e nemico, il demonio. Il male non è più soltanto una deficienza, ma un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà, misteriosa e paurosa.
c) Udienza generale del 21 febbraio 1977. Si parla del demonio come del principe di questo mondo, che ha un certo dominio sul mondo e si oppone a Dio.
Possiamo concludere ricordando che più avanti (3,13-15) nel suo Vangelo, Marco ricorda la chiamata dei dodici e le intenzioni programmatiche del Cristo sugli apostoli: "chiamò a sé quelli che egli volle [...] perché stessero con Lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni".
La presenza del male nel mondo, lo sappiamo, è ancora viva e lo sarà, ma ai credenti è affidato il compito di combatterlo, ufficialmente ai vescovi e a coloro che da essi ne ricevono mandato, ma in modo più generico a tutti i battezzati, che attraverso la Parola assimilata e vissuta ricevono forza e grazia per opporvisi autorevolmente, producendosi in sempre nuovi percorsi di liberazione.