Omelia (01-02-2009)
Marco Pedron
Quando Dio non è Dio

Nel vangelo di oggi Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao e si mette ad insegnare. C’è da rilevare che Gesù non partecipa al culto ma prende lui l’iniziativa. Le persone sono colpite dal suo modo di insegnare: "Non come gli scribi ma come uno che ha autorità" (1,22).
Il significato di scriba, sofer (in ebraico), è di predicatore della Torah. Veniva ordinato a quarant’anni dopo un intenso periodo di studio ricevendo con l’ordinazione lo spirito di Mosè. La sua autorità era più grande di quella del sommo sacerdote e la sua autorità superiore persino a quella contenuta nella Bibbia. Era considerato infallibile; era l’unico autorizzato all’interpretazione del testo sacro. E proprio a loro Gesù dirà (7,6-7): "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Cioè cosa fanno: "Dicono che vengono da Dio cose che invece vengono da loro".
Le persone, però, sentono subito che Gesù, anche se non è scriba, anche se non è preposto per annunciare la Parola di Dio, viene da Dio. Sentono che le sue parole parlano al cuore della gente; sentono che sono parole cariche di umanità, di vita, di liberazione. E dicono, stupiti, meravigliati: "Finalmente! Non è uno scriba ma si sente la sua autorità; si sente che è in contatto, in filo diretto con Dio!".

Il vangelo dice ironicamente che nella loro sinagoga vi era un uomo con uno spirito immondo. La traduzione non riporta "la loro", ma c’è nel testo e ha un senso profondo. Gli scribi considerano loro ciò che non è loro. Dio non è di nessuno e nessuno se ne può impossessare. Perché se qualcuno possedesse Dio sarebbe l’autorità, il capo, di Dio! Tutti noi siamo suoi, ma Lui non è di nessuno.
Cosa succede? Come Gesù entra nel luogo di culto subito si scontra con le autorità religiose. Gesù e i religiosi del tempo non andarono mai d’accordo!
Può essere un caso che sia la prima azione di Gesù? No, chiaro. Mc vuole mostrare come le autorità religiose invece di avvicinare il popolo a Dio lo allontanino. Gli impongono regole sempre più rigorose, ferree, per una purità sempre maggiore e non si accorgono che l’impurità, invece, risiede proprio all’interno della loro sinagoga. In Mt 23,24 Gesù dirà degli scribi che "filtrano il moscerino e ingoiano il cammello".
Osserviamo: lo spirito impuro se ne sta lì buono buono. Ma come Gesù inizia a predicare allora lo spirito buono buono (solo in apparenza così!) si mette a sbraitare, ad urlare, a inveire contro Gesù.
Le riconoscete? Tutte quelle persone che ti sorridono e ti applaudono ma che se tocchi qualche loro interesse o se intacchi qualche loro convinzione allora si trasformano nei tuoi peggiori nemici.
E’ interessante osservare lo scontro tra l’uomo con lo Spirito, Gesù (1,10) e l’uomo con lo spirito immondo. Entrambi sono posseduti da qualcosa: uno da Dio l’altro dal demonio.

In cosa consiste il suo spirito immondo?
Quest’uomo ha aderito ad un sistema di valori, vede solo quello e ne ha fatto il suo Dio. Per cui quando arriva Gesù non può riconoscere Dio, perché ha già il suo Dio. L’uomo ha dato fiducia, crede a ciò che gli scribi gli dicono. Mai si è chiesto se la realtà è questa, se è proprio questa la verità. Mai si è fatto delle domande e mai ha visto la cosa da altri punti di vista. Ha detto: "Questo mi hanno insegnato, questo credevano anche i miei padri, quindi questa è la verità". Questa verità gli ha dato e gli dà sicurezza e stabilità. Allora capiamo bene cosa accade quando arriva uno, Gesù, che gli dice: "Guarda che non è come credi! Guarda che Dio non è così!". Gli sta togliendo tutto quello che ha, le certezze sulle quali ha fondato la sua vita. Si sente minacciato alle basi ed è per questo reagisce con violenza di fronte a Gesù.
Demonio religioso è tutto ciò a cui diamo nome "Dio, fede, religione" e invece sono i nostri disagi di vita. E’ un pericolo tremendo perché l’etichetta "Dio" giustifica tutto e non permette di arrivare alla radice del nodo, del problema, della questione. Per non fare passi avanti, per non crescere, per non cambiare, per non soffrire, per non evolvere, la giustificazione religiosa è la migliore resistenza possibile.
C’è una persona che si dà un sacco da fare per gli altri. E’ veramente generosa e disponibile. Ma c’è qualcosa che non va! Infatti se gli altri non fanno quello che fa lei (e lei fa sempre più degli altri!: "Se tutti facessero come me!") si arrabbia e diventa giudicante. E poi, non basta mai quello che lei fa e dovrebbe fare sempre di più. E’ chiaro che ha il demonio dentro: "Non basta mai!". Ma, chiediamoci: cosa c’è dietro? Cos’è che non bastava mai? Per quanto facesse da piccola la mamma non la prendeva mai sul serio, non la considerava mai veramente, ma anzi la trattava sempre come inferiore ("Cosa vuoi saperne tu!"). Quel "non basta mai" è: "Faccio di tutto, cerco di andarti bene cara mamma, ma non basta perché tu mi possa vedere", è il dolore della sua mancanza. Ma se tu le dici: "Guarda che Dio non ti chiede di sfinirti; guarda che non c’è motivo di sentirti in colpa se non arrivi a tutto; guarda che non devi risolvere tu tutti i problemi del mondo", allora s’infuria e ti dice: "E’ perché non ami Gesù che dici così". Con l’etichetta "Dio" (compensazione) si sta nascondendo la sua sofferenza. Se tu gli togli l’etichetta lei ci sta male, per cui farà di tutto perché tu non gliela tolga.
Un uomo ha avuto un padre assente (c’era ma lavorava sempre) e non ha mai sviluppato la sua autonomia. Ad un certo punto ha trovato un gruppo religioso e ha fatto di questo gruppo religioso suo padre. Dentro, però, lui è ancora bambino, non è autonomo: non sa pensare con la sua testa, non è capace di mettere in discussione le proprie idee, non è capace di guardarsi dal di fuori. Se gli dici qualcosa sul suo gruppo religioso, facendogli notare delle cose, va su tutte le furie. E’ come il bambino quando gli tocchi il papà o la mamma: gli stai toccando i suoi dei, i suoi pilastri e lui ti potrebbe uccidere. Tutto quello che il gruppo dice è verità: è come il bambino che crede a tutto quello che i genitori gli dicono. Il suo demonio è la sua dipendenza da questo gruppo religioso.
Quante persone hanno fatto di un gruppo, di una setta, di una cosa, il loro Dio. "Il bisogno di padre" cioè di essere riconosciuti da qualcuno (guru, chiesa, maestro: papà o mamma) e di appartenere a qualcuno (gruppo: famiglia) è così forte (buco dell’infanzia) che "sacrificano" la propria libertà personale, la propria testa per aderirvi. Il bisogno di appartenenza diventa più importante (e uccide) il bisogno di unicità, di essere se stessi e di fare la propria strada.
C’è un uomo che prega sempre. A vederlo dici: "Però, che fede!". Ma c’è qualcosa che non va: pensieri chiusi, ristretti e spiritualmente non evolve. Sua madre non lo aspettava, è arrivato "per sbaglio" (ma lei gli ha sempre detto di averlo amato molto) quando con suo padre "era finita" e per colpa sua lei ha dovuto rimanere dentro al matrimonio (ha sempre provato un inconscio profondo odio verso quel figlio, causa del dover rimanere insieme al marito). Lui rifiutato da lei (il primo Dio di ogni bambino è la madre) si è buttato tutto su Dio. In realtà la sua fede non è fede ma attaccamento: ha la paura terribile che Dio (la mamma) lo rifiuti (e lui conosce bene questo dolore).
Non prega quindi per amore, per lode, per stupore, per vivere; prega per paura e per timore.
Ma prova a dirglielo! Ti dirà: "Non è vero! Io amo Dio! Cosa c’entra la psicologia con la fede! Non mi aspettavo, proprio da lei, che mi dicesse così!, ecc.". E’ il suo demonio.
La religione lo protegge dal grande dolore del rifiuto. Da una parte lo protegge, dall’altra, però, lo fissa lì.

Un amico prete mi ha detto: "Dicevo il breviario (i salmi che i preti dicono ogni giorno) tutti i giorni e se non lo dicevo mi sentivo in colpa e non a posto. Era difficile per me dirmi che Dio era come un giudice che se sbaglio mi punisce e mi ritira il suo amore. Era difficile perché dovevo cambiare la mia immagine di Dio. Io ero ancora il bambino che il papà (Dio) può punire. Ma Dio non è così (per fortuna!). Oggi dico ancora il breviario ma è una gioia; e se qualche volta non riesco non è più un problema".

Osserviamo come il demonio se ne sta lì buono buono. Ma quando Gesù lo smaschera allora reagisce con una forza inaudita e gli urla (1,23): "Che c’entri con noi? Sei venuto a rovinarci?".
"Che c’entri con noi" (1,24) vuol dire: "Non sei come noi vogliamo vederti. Non vogliamo avere a che fare con te". In queste parole c’è tutto il rifiuto, il "no" a Gesù e alla verità. E perché c’è questo rifiuto totale?
"Sei venuto a rovinarci?" (1,24). Risposta: "Sì!". Quando Dio viene, vanno in frantumi le nostre impalcature e le nostre sicurezze. Dio è la rovina, la distruzione, l’uragano, che spazza via tutto quanto credevamo vero e non lo era.
Ascoltiamo bene le parole: "Che c’entri con noi?". Perché parla al plurale se c’è solo lui? Chi sono questi "noi"? E’ chiaro: l’uomo parla a nome di tutto il gruppo (scribi): le parole di Gesù li minacciano e mandano in rovina la loro autorità e il loro prestigio. "Insegnano dottrine che sono precetti di uomini annullando così la Parola di Dio" (7,7.13).
Loro si sentono dalla parte del giusto (lett. "la loro sinagoga" 1,21); loro hanno la verità, loro partecipano sempre alla liturgia, loro hanno la Scrittura dei padri, loro sanno cosa è puro e cosa è impuro, cosa è giusto e cosa non è giusto, chi può essere ammesso e chi non può essere ammesso.
Lo dice la Bibbia, lo dicono i profeti, lo dicono tutti! Per questo possono giudicare e sentenziare sulla vita degli altri. Loro dicono: "Questa è la fede, questo è Dio". Gesù dice: "Siete tutti ammalati, in preda ai vostri demoni che neppure vedete e che, per questo, vi fate guide anche di altri, portando anche loro nelle tenebre". Gv 10,21: "Può un demonio aprire gli occhi di un cieco?". "Quando un cieco guida un altro cieco tutti e due cadranno in un fosso!" (Mt 15,14). "Guai a voi scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi" (Mt 23,15).
Immaginatevi la scena: ma come potevano reagire, secondo voi? Uno va a dire a loro, proprio a loro che possedevano la verità con controprova delle Scritture, che quella che loro affermano essere verità è invece demonio: potevano non adirarsi? Potevano non volerne la morte? Potevano stare zitti?

Il vangelo dice poi che lo spirito impuro se ne va "straziandolo e gridando forte" (1,26). Quel verbo "straziare" (sparassein) vuol dire tirare, strappare, dilaniare, torturare. Indica la lacerazione, la sofferenza per una guarigione dolorosa.
Guarire è meraviglioso, fa sentire liberi e leggeri, e ci fa recuperare la nostra identità e la nostra vita. Ma guarire "fa male", è doloroso, perché è staccarsi da ciò che chiamavamo certezza (spirito) e che invece si rivela malvagio, condizionante, imprigionante (impuro). Guarire "fa male" perché va ad aprire delle porte chiuse a chiave, che non vogliamo aprire perché sappiamo che lì dentro c’è qualcosa che ci fa piangere, che è doloroso e terribile. Per questo tentiamo con tutte le forze di evitarlo e di scappare. Guarire, a volte, è scendere nell’inferno e nel luogo del dolore. E chi di noi vuole farlo? Nessuno, ovvio! Fede però è liberarci dai nostri demoni che ci tengono prigionieri.
Tu dici: "Non riesco a trovarmi nessun compagno". Per questo preghi per trovarlo. Bene! Poi scopri che non trovi nessuno, non perché non ci sia nessuno, ma perché quando i tuoi genitori si sono separati, tu hai sofferto tantissimo, quel dolore ce l’hai ancora dentro (ben nascosto e dimenticato s’intende!) e per questo tu hai fatto un patto: "Se quando si ama poi si soffre così tanto, io non lo farò mai più". Per questo tu non puoi, non riesci a lasciarti andare, a fidarti di una persona. E non fa male scoprire tutto questo? E non fa piangere, non è uno strazio risentire il dolore di quel bambino diviso tra mamma e papà, usato per i loro conflitti, abbandonato e solo? A volte vien da dire: "Era meglio neppure sapere certe cose"; ma è solo la voce della sofferenza. Perché liberato il dolore si può tornare ad amare, a riprovarci, e a sentire quanto sia meraviglioso lasciarsi amare. Fede è: "Dammi Signore la forza per entrare in quel dolore e sciogliere quel patto che ho fatto".
Tu dici: "Nella vita bisogna sacrificarsi". Vero, bisogna lottare e non si può avere tutto ciò che si vuole. Ma quando scopri che dietro quella frase c’è il tuo sacrificio e tutto ciò che hai fatto per farti amare... e non è bastato, allora sì che è uno strazio tremendo. Quando piangevi, ti lasciavano piangere, così tu hai smesso e rinunciato ai tuoi bisogni (tanto non veniva nessuno!). Quando andavi bene a scuola nessuno ti diceva: "Bravo!". E quando aiutavi il papà o la mamma, nessuno ti diceva: "Grazie!", ma solo: "E’ il tuo dovere". Hai fatto un sacco di cose per essere voluto bene e non hai fatto un sacco di cose per paura di essere rifiutato. Così ti sei adattato, hai sacrificato la tua vita per non essere rifiutato. E non fa male risentire tutta quella solitudine? Non fa urlare di dolore? E non fa male vedere che hai rinunciato a vivere pur di avere briciole di amore? Chi lo vuole fare? Fede è: "Dammi la forza Signore per non sacrificare e rinunciare più alla mia vita per essere accettato".
Un’ostrica del mare incontra un gambero: "Come ti va?". "Ah, benissimo!". "E tu?", chiede il gambero all’ostrica. "Io ho un dolore così forte dentro. Beato te che stai così bene!". In quel momento passa un altro pesce: "Abbi pazienza, amica ostrica, perché quel dolore è la tua perla che si sta formando".
Un giorno durante un camposcuola un ragazzo si è rotto un braccio. Al pronto soccorso il medico gli ha detto: "Adesso ti facciamo un piccolo intervento e ti sistemiamo tutto". "Ma io ho paura". "Ma no tranquillo!". "Ma io ho paura". E non c’era verso: non voleva. Ad un certo punto, lasciata la tenerezza, con decisione il medico gli ha detto: "Adesso lo facciamo e non se ne parla più, ok.!?". E’ così: quando s’ha da fare, s’ha da fare.
Incontrare certi dolori è davvero straziante: è come partorire, è un travaglio. Ma compiuto il parto si scopre che ne valeva la pena. E’ meglio soffrire alcuni minuti o qualche giorno piuttosto che tutta la vita.
S’ha da fare? Si fa! Bisogna affrontarla? La si affronta! E a Dio chiedo la forza di affrontare "i miei interventi" e non di risolvermi la questione o di evitarmi il dolore.

Questo vangelo mi provoca. Io mi definisco cristiano e parlo di Dio agli altri. Ma devo vigilare perché forse anche in me, forse anche nella mia chiesa si nasconde qualche spirito immondo. Devo vigilare perché a volte sono proprio le persone generose, disponibili, quelle sempre presenti, che hanno uno spirito immondo, che se ne sta lì buono buono solo perché non lo tocchi.
Se poi prendo il vangelo e guardo al rapporto di Gesù con la sinagoga, non c’è da stare molto allegri! Gesù in Mc vi entra tre volte. La sinagoga era il luogo di culto, "la chiesa" del tempo. Ogni volta che Gesù entrerà nella sinagoga si scontrerà sempre con l’autorità del tempo. La prima volta è nel vangelo di oggi, dove appunto ha a che fare con uno spirito immondo (1,21-28): ed è lotta senza esclusione di colpi. La seconda volta (3,1-6) guarisce di nuovo, questa volta è un uomo dalla mano inaridita, e i farisei e gli erodiani si ritrovano e congiurano per farlo morire. La terza volta che vi entra (6,1-6) viene preso in giro e delegittimato: "Ma da dove ti vengono queste cose? Guarda che noi ti conosciamo bene, chi ti credi di essere? Conosciamo, sai, tua madre Maria, i tuoi fratelli Giacomo, Giuda, Simone e le tue sorelle!? Abbassa la cresta!". E Gesù, dice il vangelo, non poté guarire nessuno perché non gli credevano. Tant’è vero che c’è una frase fortissima che esprime il dolore intenso e profondo di Gesù: "E si meravigliava della loro incredulità" (6,6). Thaumazo (meravigliarsi) è il nostro: "Ma non ci posso credere!; ma non è possibile!!!". E’ l’incredulità nei confronti di qualcosa. Tant’è vero che Gesù non può guarire nessuno perché non gli credono! Da questo momento in poi Gesù non entrerà più nella sinagoga perché, aveva capito che non ne valeva la pena! Se c’era un posto resistente, impermeabile a Gesù era proprio la sinagoga. Fa pensare!
Perché questo? Vi erano due visioni inconciliabili che si scontravano.
Il valore della sinagoga era l’appartenenza. Avete presente in un club? Puoi entrarci se accetti le regole di quel club. La sinagoga diceva: "Se accetti i comandamenti, se rispetti la Bibbia, se stai alle regole, allora puoi partecipare. Chi non lo fa', chi è impuro, non vi può partecipare: fuori!".
L’appartenenza soddisfa ai bisogni di accoglienza e calore, del sentirsi qualcuno perché parte di una "famiglia"; il pericolo è il giudizio (noi andiamo bene, gli altri no) e la non autonomia (o pensi come il gruppo o ti cacciamo).
Ma per Gesù il valore era la Vita: "Vuoi vivere? Ti senti bisognoso? Senti che la tua anima soffoca? Senti il bisogno di un respiro più ampio? Vuoi guarire? Vuoi percepire la forza della vita che abita in te? Vuoi incontrare Colui che è la Vita? Vieni qui. Non importa più se tu sei buono o cattivo, giusto o ingiusto, puro o impuro, dei nostri o nemico. Se hai questo desiderio, vieni qui, vieni e seguimi". Infatti la grande chiesa di Gesù fu il mondo.
E chi lo seguiva? Non era più importante chi, ma cosa cercavano. La maggior parte di chi seguiva Gesù era gente che non seguiva le regole religiose o le convenzioni. Ma Gesù non ha mai usato questo criterio, ma il criterio del cuore: "Quanto grande è il suo cuore? Quanto sa amare? Cosa sta cercando?".

Insieme ai conquistatori del Nuovo Mondo vi erano anche dei frati. Raggiunta un’isola trovarono una popolazione di selvaggi. Erano proprio selvaggi: senza Dio, credevano ancora negli dei e veneravano gli alberi. Era gente sorridente, benevola, ospitale, felice e cantavano sempre ma non conoscevano Gesù Cristo! Così i frati li convertirono, li battezzarono tutti, insegnarono a tutti i dieci comandamenti, fecero costruire una chiesa e tutti andavano in chiesa. I frati erano felicissimi: avevano portato al Signore altri uomini. Ma sapete cosa successe? Che dopo la conversione quegli uomini non furono più felici e non cantarono più.
Quando l’appartenenza diventa più importante della vita.



Pensiero della settimana


Io appartengo già a Dio. Non devo conquistarmelo.
Nessuno mi può dire: "Se vieni qui, Dio è con te".
Perché Dio è già con me.
La bicicletta porta l’amato dall’amata.
Giunto dall’amata, si lascia la bicicletta e si sta con l’amata.
La bicicletta è solo un mezzo per.
Non adorare i mezzi, ma solo il tuo Dio.