Omelia (01-02-2009) |
don Maurizio Prandi |
Decentrati Domenica scorsa il volto di Dio che abbiamo incontrato e che ha, (spero), allargato il nostro cuore, ci ha parlato di possibilità sempre nuove, di strade che sempre il Signore apre per noi nonostante le nostre bassezze, piccolezze, debolezze, fragilità: Giona. Oggi, cominciando a meditare ciò che Gesù opera a Cafarnao, la liturgia credo intenda farci meditare su un tema importante e fondamentale per la vita di ogni cristiano: il decentramento. Sento che su questa linea del decentramento tanto hanno da dirci prima lettura e vangelo. La prima lettura ci parla del profeta come colui che porta a compimento una promessa. Intanto il profeta è il segno del fatto che Dio ascolta il suo popolo, il popolo che ha paura di morire per la "troppa vicinanza" di Dio (ne ode la voce, lo vede ne fuoco). Faccio una piccola parentesi: pensate a quanto cammino ci ha fatto fare Dio, dalla paura di morire se si vede Dio, al Dio che in Gesù vede e proprio perché vede dentro e fuori la vita, muore per noi. Tornando, il profeta è una figura certamente importante, ha una sua solidità, una sua forza, una sua personalità, ma mai mette al centro se stesso, mai fa risaltare la propria immagine. Nel profeta Dio dice una sua presenza, una sua vicinanza. Ecco che il profeta è chiamato ad essere questa presenza annunciando e facendo conoscere i disegni di Dio, la sua bontà, il suo amore, la sua misericordia, la sua parola. Don A. casati scrive una cosa davvero bella: per questo il libro del Deuteronomio chiama Mosè profeta... Mosè non era solo parole, era cammino. I suoi occhi non erano pallidi come quelli di coloro che sdottorano da lontano, erano rossi di sabbia e di fatica. La prima lettura, con durezza, ci mette in guardia dal rischio del mettere se stessi al centro: il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire... quel profeta dovrà morire... mettere al centro se stessi equivale a morire. Si, perché vivere, è vivere per qualcuno, vivere è ascoltare qualcuno, vivere è aprirsi; se sei autocentrato vuol dire che hai scelto di chiuderti perché hai scelto di privilegiare una sola relazione: quella con te stesso, ed ecco che la tua vita diventa a senso unico, monotono, monotematica, senza spazio per Dio e per i fratelli. Ecco che allora siamo aiutati fare un piccolo passo in avanti per rifletter un pochino (altre volte lo abbiamo fatto ma mi pare utile ritornarci oggi) sulla differenza tra autoritario e autorevole. Sento il profeta come una persona autorevole, Gesù, è il vangelo stesso che ce lo ricorda, è figura autorevolissima, tanto da provocare lo stupore di chi lo ascolta, di chi lo conosce, di chi intuisce nel suo dire e nel suo operare una novità capace di segnare una differenza fondamentale rispetto a scribi e farisei. Se qualcuno ascolta Gesù, se qualcuno lo segue, se qualcuno lo obbedisce è perché scopre in Lui una proposta per la sua vita e non una imposizione, scopre in Lui la gioia di una vita spesa, donata per amore. Chi vive per se stesso invece, diventa autoritario e dispotico, incapace di ascoltare e se qualcuno lo ascolta e lo obbedisce è soltanto per paura. Gesù appare autorevole anche per le parole che dice ma non solo, anche per come le dice. Entra di sabato nella sinagoga, come chi ogni sabato la frequentava per incontrare Dio nella sua parola, cosa che però non avveniva stando alle parole di chi quel giorno ha ascoltato Gesù: si sentivano solo le parole degli scribi, prevedibili e scontate, spente, incapaci di suscitare stupore. Con Gesù finalmente una parola nuova, che procede dal cuore stesso di Dio. E poi il modo dicevo: per dare autorità a ciò che dicevano i maestri pronunciavano questa formula: Così dice il Signore, oppure: Così sta scritto... Gesù è diverso... Gesù dice: In verità, in verità vi dico... ricordo che mons. Angelini, parlando ai sacerdoti a proposito dell’omelia domenicale un giorno ci disse che con quel io vi dico, Gesù assume la responsabilità di ciò che dice e questo conferisce immediatamente alla sua parola un’autorità diversa da quella degli scribi. Al di là delle formule usate, appare subito evidente che le cose che Gesù dice non sono ripetizioni, citazioni libresche o ritornelli imparati a memoria: in quello che Lui dice si sente pienamente coinvolto, di quello che dice, si sente responsabile. Concludo rimarcando l’importanza di questo primo miracolo che Gesù compie secondo l’evangelista Marco: la prima azione che Gesù compie, dopo la chiamata dei discepoli, è un esorcismo e questo per Marco ha un significato ben preciso, programmatico; si potrebbe dire che nell’esorcismo Gesù manifesta la vicinanza del regno di Dio. Un Dio vicino che lotta contro colui che vuole allontanare, separare l’uomo da lui. Colui che divide viene contrastato e vinto, battuto, da Gesù con la sola forza della Parola e ciò che più conta, è che Gesù non fa tutto questo per dire una sua superiorità, una sua forza. Se Gesù lotta, lotta a favore dell’uomo, lotta per la sua libertà. Mi pare anche questo un elemento di grande fascino, capace di generare stupore, di definire Gesù come totalmente decentrato da sé per poter mettere al centro l’uomo, senza privilegi, senza differenze. |