Omelia (15-02-2009)
Omelie.org (bambini)


Continuiamo anche in questa domenica a seguire il racconto dell’evangelista Marco, riguardo ai primi tempi della missione di Gesù. La scorsa domenica il Vangelo si concludeva con il Maestro di Nazareth che si allontanava da Cafarnao, malgrado tanta folla lo cercasse, per ascoltarlo e soprattutto per chiedergli miracoli. Ma Gesù ha invitato gli apostoli ad andare altrove, a visitare altre città e paesi, perché in tanti possano ricevere la Bella Notizia dell’amore di Dio Padre e rallegrarsi per questo.
Così, il Vangelo di oggi, ci racconta che cosa accade durante il viaggio: il Maestro e Signore, insieme ai suoi discepoli, sta per raggiungere una nuova città, quando si avvicina a lui un lebbroso.
Per noi oggi è un po’ difficile riuscire a capire qual era la condizione di un lebbroso al tempo di Gesù. Questa malattia esiste ancora oggi, ma si può curare e guarire e quindi fa meno paura.
Eppure, anche oggi, quando ci si trova davanti qualcuno colpito da questa malattia, ci si spaventa, perché la lebbra colpisce la pelle e la fa cadere a pezzi, lentamente. Si rimane impressionati davanti al volto di un lebbroso, che può sembrare mostruoso.
Probabilmente questo è stata la ragione per cui, fin dai tempi più antichi, gli ammalati di lebbra sono stati messi da parte, allontanati dalle altre persone, mandati fuori dalla città: era una malattia che faceva paura e dobbiamo considerare anche che a quel tempo non sapevano curarla.
Perciò, riguardo alle persone malate di lebbra, la Legge di Mosè era precisa e dettagliata, come abbiamo ascoltato nella prima lettura di oggi, tratta dal Libro del Levitino: chi veniva colpito da questo male, doveva andare ad abitare fuori dall’accampamento, fuori dalla città, lontano da tutti gli altri. Doveva indossare vesti strappate e stare con il capo coperto e il volto nascosto, perché tutti potessero capire subito dal suo aspetto che era un lebbroso. Non doveva avvicinarsi alle persone, ma anzi doveva gridare la sua malattia, se per caso qualcuno che non ne sapeva nulla provava ad avvicinarsi.
Sono regole molto severe che non servono affatto a curare, né aiutano chi è malato: servono solo a far sentire al sicuro quelli che non hanno la lebbra.
Ai tempi di Gesù la situazione di un lebbroso era dunque questa, davvero triste: pochissime possibilità di guarire e l’obbligo ad una vita di solitudine, lontano dalla propria casa e dalle persone care.
Nel momento in cui uno scopriva su di sé i segni della malattia, doveva chiudere la sua vita di sempre e andare via, fuori dalle mura della città. Doveva separarsi da tutti coloro che amava, e andarsene, per stare da solo, lontano da tutti.
Dunque, come ci stava raccontando l’evangelista Marco, mentre Gesù sta per entrare in una città, un lebbroso gli si avvicina e lo supplica: "Se vuoi, puoi purificarmi!", cioè: se vuoi, puoi guarirmi da questa malattia e puoi restituirmi la mia dignità di un tempo! Puoi liberarmi da questa prigione di solitudine e tristezza, così che, di nuovo sano, possa ritornare alla mia famiglia, alla mia casa, al mio lavoro, alla mia vita, che ho dovuto abbandonare dal giorno che mi sono ammalato!
C’è tutto questo nel grido dell’uomo lebbroso e Gesù lo ascolta, comprende profondamente questo suo desiderio di tornare ad essere una persona e non solo un malato e lo guarisce: "Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui".
Dopo averlo risanato, il Signore Gesù gli dà anche un ordine: gli chiede con tono severo di non dire nulla a nessuno di quanto è avvenuto, di non parlare del miracolo.
Sa bene, il Rabbi di Nazareth, che se si sparge la voce di questo grande miracolo, anche in questa nuova città sarà come a Cafarnao, con tantissima gente che lo cerca per vedere i miracoli e i segni prodigiosi e non per ascoltare la Bella Notizia, che il suo cuore di Figlio non vede l’ora di condividere con tutti.
Invece, ci dice il Vangelo: "quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città".
Ora, se permettete, vorrei dire una parola in difesa di quest’uomo che dopo chissà quanto tempo di malattia, è stato finalmente risanato. Certo, il Signore gli aveva chiesto di fare una cosa e lui ha fatto l’opposto, però secondo me non lo ha fatto per disobbedienza.
È che era una gioia troppo, troppo grande, che proprio non ce l’ha fatta a rimanere in silenzio!
Secondo me, mentre attraversava la città, per andare a ottenere il riconoscimento ufficiale di essere ormai guarito e poter così tornare alla vita di sempre, quest’uomo non ha camminato: correva, saltava, ballonzolava, per la gioia che lo invadeva!
Come faceva a restare zitto, quando tutto di lui era un canto di felicità?
Sì, il Maestro gli aveva ordinato di tacere e non dirlo a nessuno, ma lui proprio non ci è riuscito! Strada facendo avrà ripetuto cento volte il suo stupore: "Sono guarito! Guarito!... sapete? La mia lebbra è sparita! Non ho più piaghe, non ho più bolle bianchicce sul mio corpo! Sono di nuovo sano!... la mia pelle è intatta, normale, come un tempo! Adesso sono guarito! E posso tornare da mia moglie, dai miei figli! Posso tornare a casa mia!... Sì! Il Rabbi di Nazareth mi ha ridato la salute e mi ha restituito la mia dignità di persona!"
Uno che è attraversato dentro da una gioia così immensa, non ce la fa proprio a tenere la bocca chiusa!
Quindi credo davvero che Gesù, con il suo cuore capace di comprendere tutto quello che passa nelle nostre anime, avrà di certo perdonato la piccola disobbedienza di quest’uomo, che ha annunciato a tutti la sua felicità, con il cuore pieno di gratitudine.
Mentre riflettevo su questo episodio, mi è venuto da pensare che, anche se nelle nostre città non ci capita di incontrare persone malate di lebbra, tante volte continuiamo a trattare qualcuno proprio come un tempo venivano trattati i lebbrosi.
I lebbrosi erano quelli che venivano messi da parte, giusto? Quelli con cui nessuno voleva avere a che fare, no? Quelli che se ne dovevano stare da soli, in disparte, lontano da tutti gli altri, vero?
Bè... mi sembra che anche oggi ci sono tante persone che vivono così, anche in mezzo a noi, anche molto molto vicino a noi.
Penso a quello che vedo ogni giorno, semplicemente a scuola: chi non ci piace, viene messo da parte; chi non è bravo a giocare a pallone, viene tenuto lontano; la compagna che non sa fare la spaccata è una schiappa e quindi non la vogliamo nel nostro gruppetto all’intervallo; quello non prende mai 10, allora lo possiamo prendere in giro e tenerci alla larga; quella lì è così timida che non dice mai una parola: peggio per lei, di certo noi non la andiamo a cercare...
Dite di no? Che nelle vostre classi non capita? Meglio così, mi fa piacere! Ma forse forse ci conviene guardare bene: magari ci sono di queste cose che succedono, ma non ce ne accorgiamo!
Queste sono sofferenze che non fanno rumore, sapete? Ma quanta tristezza e quante lacrime procurano!
Nel silenzio, proviamo a pensare alla nostra vita, alle persone che conosciamo... Di sicuro ci verrà in mente qualcuno che è sempre un po’ in disparte, qualcuno che nessuno invita a giocare.
Allora può essere questo il nostro impegno della settimana: essere come Gesù, andare incontro a questo amico, a questa amica, che si sente messo da parte, che si sente come il lebbroso. Andiamo incontro, invitiamo a STARE INSIEME: sarà il nostro modo semplice, ma vero, di ripetere oggi lo stesso miracolo di Gesù.

Commento a cura di Daniela De Simeis