Omelia (15-02-2009)
mons. Antonio Riboldi
Ma chi è veramente Gesù?

Vorrei ricordare ai miei cari lettori, che oggi è la Giornata dei lebbrosi, malattia ancora diffusa tra la povera gente, che ha sempre subito la segregazione dalla comunità, per la paura del contagio, condannandoli così ad un vero isolamento 'fuori dal nostro mondo', come i tanti malati di AIDS: solitudine che è la più grande pena per un uomo, il cui 'essere' ed 'esistere' necessita di relazioni e di far parte di una comunità.
Grazie a Dio ci sono tanti volontari che oggi affrontano la malattia della lebbra, guaribile con poco: a cominciare dall'Associazione benemerita degli Amici dei lebbrosi, fondata dal grande apostolo Follereau.
Tra i tanti poveri che ci tendono la mano è bene ricordarsi di loro e far sentire che non li segreghiamo, ma li sentiamo vicini con l'affetto e la generosità.
La loro è una 'lebbra fisica', molto meno grave, anche perché curabile, di fronte alla 'lebbra del vizio e del male' che contagia troppi, a cominciare dall'inesperta gioventù, e non solo.
Basta pensare al gran numero dei tossicodipendenti, tanti curati nelle comunità cui va il nostro affetto, la nostra lode e il nostro sostegno, perché sono testimoni della carità di Cristo, che non ha alcuna barriera.
Grazie, carissimi fratelli, ovunque e con chiunque operiate. La vostra opera, come quella degli Amici dei lebbrosi è riportare a vita degna tanti che si sono lasciati ingannare dalle tante 'mode' e...droghe.
Negli atteggiamenti di Gesù c'è continuamente, come narra l'evangelista Marco, un 'modo di essere' che seguita a stupirci e avrà stupito chi lo avvicinava.
Gesù non si sottrae mai dall'amare l'uomo, che è nella necessità o nel bisogno, ma impone sempre il silenzio su Se stesso.
Gesù fugge per cancellare ogni errore si potesse compiere nella interpretazione della Sua missione, che era quella di 'annunciare la Buona Novella del Vangelo', Lui stesso, perché tutti Lo accogliessero, divenendo Suoi discepoli.
Così Marco ci narra oggi l'incontro di Gesù con un lebbroso:
"Venne a Gesù un lebbroso, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi guarirmi. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci!: Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: Guarda di non dire niente a nessuno, va', presentati al sacerdote e offri la tua purificazione, quella che Mosè ha ordinato a testimonianza per loro. ma quegli allontanatosi cominciò a promulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti e venivano a Lui da ogni parte" (Mc 1, 40-45).
In poche righe Marco descrive una scena quotidiana di vita di Gesù, che appare come un 'mago che guarisce'. Ma, dopo le parole di commiato del Maestro, che invita il lebbroso a mostrarsi al sacerdote e la sua fuga dalla calca che lo assediava - sperando in qualche altro miracolo, e quindi 'ferma' alla salute del corpo - nascondendosi in luoghi deserti, l'evangelista lascia sospesa la domanda: 'Ma chi è costui?'.
Noi forse avremmo agito in modo diverso: ci saremmo sentiti dei piccoli dèi, capaci di compiere cose straordinarie! E ce ne sono tanti in giro di questi, che si sentono 'un Dio' che fa', almeno in apparenza, cose grandi, secondo l'uomo. Sono i moderni dèì, cui la gente batte spesso le mani. Ma Gesù non è così. Rimane dunque sempre sospesa la domanda, credo in tanti: 'Chi è costui?'.
Gesù sapeva bene che tanti di quella moltitudine, che, in quel momento, lo consideravano un guaritore, forse 'un incantatore di speranze', non giungendo a conoscerLo per Chi davvero era e qual era la vera guarigione di tutti gli uomini, che avrebbe ottenuto con l'incommensurabile amore della Sua passione e morte in croce, sarebbero stati gli stessi che davanti al pretorio di Pilato, avrebbero gridato, sobillati dai sommi sacerdoti e dagli scribi: 'Crocifiggilo!'.
È la facile storia, anche oggi, di battere prima le mani a chi si afferma tra di noi e, nel momento del fallimento, gridare: ‘E' giusto che paghi!’.
Certamente l'ammonimento e l'agire di Gesù, la sua fuga nel deserto, avrà lasciato di stucco tutti: 'Ma chi è costui, così diverso da noi, tanto che non solo schiva le lodi, ma queste gli danno fastidio?'.
Se ci pensiamo bene è questo lo stile di umiltà, che tanti santi vivranno. Santi che, anche ai nostri giorni, fanno un grande bene - da batter loro le mani - ma amano nascondersi, per farci capire che Chi opera è Dio e loro sono 'la matita tra le dita Dio': scrivono le opere di Dio, a cui va tutta la Gloria e il Grazie.
Forse neppure noi capiamo Gesù, quando Gli chiediamo un aiuto alle nostre necessità, malattie o altro. Davanti alle tante preghiere per casi familiari, quasi sempre di malattia, io rispondo sempre: ‘Le assicuro la mia totale comunione di preghiera, mettendola sull'altare della mia Messa quotidiana', ma, nello stesso tempo, invito ad accogliere i grandi disegni che il Padre ha su di noi e che sono l'arazzo della nostra salvezza - malattia compresa - che ha i suoi colori, a seconda del dolore.
Sappiamo, o dovremmo sapere, che Gesù non ci abbandona mai, in ogni istante della nostra vita, non solo, ma Lui traccia il sentiero su cui camminare, pronto a portare con noi la croce.
Gesù sa e, come chi ama, fa tutto ciò che è in suo potere per rendere felice la persona amata.
Ma tante volte il bene che Dio ci vuole, supera le nostre 'aspettative' umane e va oltre: il fine è il Sommo Bene, la nostra felicità eterna, che tante volte non riusciamo ad intravedere, accontentandoci di un piccolo segno di amore, come il lebbroso del Vangelo.
Sarebbe bello sapere dove era il lebbroso, e tutti i guariti, il venerdì santo, quando Gesù appariva come un 'reietto dagli uomini', cioè un 'capace di nulla!'.
È un pericolo in cui possiamo cadere anche noi, a differenza dei tanti santi, i veri amici di Gesù, che conoscevano e conoscono il Suo amore, accettano o chiedono la sofferenza, come modo per ricambiare l'amore o 'unirsi all'Amore'.
È bello leggere quello che Paolo VI scrive di Gesù:
"Possiamo, noi stessi chiederci: come ci raffiguriamo Gesù Cristo? Qual è l'aspetto, caratteristico di Lui, che risulta dal Vangelo? Come, a prima vista, si presenta Gesù? una volta ancora le sue stesse parole ci aiutano: 'Io sono mite ed umile di cuore'.
Gesù vuole essere guardato così, voluto così. Se noi lo vedessimo, ci apparirebbe così.
Anche se la sua figura celeste (Apocalisse) riempie di luce, questo aspetto dolce, buono, e soprattutto umile, si impone come essenziale.
Meditando si avverte che esso si manifesta ed insieme nasconde un mistero fondamentale relativo a Cristo, quello della incarnazione, quello del Dio umile, mite, che governa tutta la vita e tutta la missione di Gesù. Il Cristo umile è il centro della Cristologia di S. Agostino e impronta tutto l'insegnamento evangelico a nostro riguardo. Che cosa altro insegnò, se non questa umiltà? In questa umiltà noi ci possiamo avvicinare a Dio.
Del resto S. Paolo non ha un termine che sa di assoluto, quando ci dice che Gesù 'si è annientato'? Gesù è l'uomo buono per eccellenza ed è per questo che Egli è disceso al livello infimo anche della scala umana, si è fatto bambino, si è fatto povero, si è fatto paziente, si è fatto vittima, affinché nessuno dei suoi fratelli in umanità potesse sentirlo superiore e lontano; si è messo ai piedi di tutti. Egli è per tutti, è di tutti.
Oggi dopo tanto parlare di pace e di riconciliazione, la tentazione della violenza, come suprema forma di liberazione, come unico mezzo di riforma, è così forte che si parla di teologia della violenza. Si cerca di avere Cristo per sé e così giustificare atteggiamenti demagogici e quel che è peggio con parole di Lui" (27 gennaio 1971).
Davanti ad un mondo che si nutre della superbia di satana, che taglia tutti i sentieri dell'amicizia e dell'amore, può forse essere difficile, ma è meraviglioso, vestirsi della stupenda veste, l'umiltà, in cui Lui stesso si nasconde - non troppo per chi ha occhi di fede e di amore -, ma è il solo modo di, non solo conoscere e 'vivere Cristo', ma di amare Lui e i nostri fratelli.
Non ci resta che affidarci a Lui, con le parole del Card. Newman:
"Mio Signore, mio Salvatore, mi sento sicuro tra le tue braccia.
Se Tu mi custodisci, non ho nulla da temere,
ma se mi abbandoni, non ho più nulla da sperare.
Non so cosa, mi capiterà fino a quando morirò.
Non so nulla del futuro, ma mi affido a Te.
Ti prego di darmi ciò che è bene per me,
di togliermi invece quanto può porre in pericolo la mia salvezza.
Non ti prego di farmi ricco, non ti prego di farmi umile e povero,
ma mi rimetto interamente a Te,
perché sai ciò di cui ho bisogno e che io stesso ignoro.
Se tu mi imponi dispiaceri o sofferenze, concedimi la grazia di sopportarli;
preservami dall'egoismo e dall'impazienza.
Se tu mi doni salute e successo in questo mondo,
preservami dall'impazienza e fa' che sia sempre vigilante,
affinché questi doni pericolosi non mi allontanino da Te.
Tu che sei salito sulla croce anche per me, che sono colpevole,
concedimi di conoscerti e credere in Te, di amarti, di servirti,
di lavorare sempre perché aumenti la Tua gloria di vivere per Te e con Te.
Concedimi di morire nel momento e nel modo che saranno per la Tua gloria
e propizi per la mia salvezza".