Omelia (15-02-2009) |
padre Paul Devreux |
Per la terza domenica consecutiva contempliamo dei vangeli in cui Gesù guarisce. Oggi si tratta di un lebbroso. Erano considerati come dei morti ambulanti. Non potevano avvicinarsi alla gente e chi si fosse avvicinato a loro sarebbe stato considerato uno di loro. L'unico modo che avevano trovato per difendersi dal contagio era di isolarli, ma visibilmente un qualche modo per rimanere in contatto con il mondo dei normali l'avevano, magari tramite qualche parente che furtivamente gli portava da mangiare, tanto è vero che uno di questi viene a sapere delle guarigioni operate da Gesù e cerca d'incontrarlo. Gesù sta evangelizzando tutta la Galilea, e quindi si sposta da un paese all'altro. Non potendolo avvicinare in città, il lebbroso avrà approfittato di uno di questi trasferimenti per avvicinarlo in campagna, e lo fa supplicandolo umilmente, in ginocchio. Dice: "Se vuoi, puoi purificarmi!". Dice "purificarmi" e non guarirmi perché associavano la malattia ad un peccato. Questo era molto brutto perché il malcapitato, oltre ad essere malato, si vedeva attribuire pure una colpa che la malattia smascherava! Con questo senso di colpa addosso, il povero lebbroso si avvicina a Gesù con lo stato d'animo di chi, essendo colpevole, non può pretendere nulla. Gesù sente compassione per quest'uomo, tanto che allunga la mano e lo tocca. Questo equivale a dire che lo fa entrare nella sua vita e accetta il rischio del contagio. Così lo salva e il lebbroso torna ad essere una persona normale, che può reintegrare la società dove si metterà ad annunciare la buona notizia di Gesù che viene a salvare l'uomo, come ha salvato lui, mentre Gesù dovrà starsene fuori delle città, in luoghi deserti, un po' perché tutti lo cercano, ma anche perché ormai è un impuro, è uno di loro. I ruoli si invertono e questo ci fa intuire quanto queste guarigioni costano a Gesù. Questo succede a chiunque accetta di condividere le situazioni dei poveri, per lo meno tutto il tempo in cui lo fa; stai con loro e diventi uno di loro. Gli altri ti diranno anche bravo, ma poi non li vedi più; è normale, sei dall'altra parte del muro. C'è tutt'oggi un confine che separa chi ha diritto alla vita da chi no, e abbiamo il terrore che qualcuno o qualcosa ci acchiappi e ci porti dall'altra parte del muro, diventando anche noi lebbrosi, senza salute, autonomia, lavoro, documenti, dignità, diritto. Lebbroso è chiunque preferiremmo che non ci fosse; può essere perfino un figlio che preferisco che non nasca o che non vuole morire. In questi giorni abbiamo sentito tanti discorsi su quest'argomento. L'unico che mi è piaciuto è stato quello delle suore, che hanno detto: "Lasciatela a noi". Ma di gente che muore perché privata di cibo, dell'essenziale per sopravvivere, ce n'è tanta, tutti i giorni, come mai non fanno notizia? E cosa faccio io per loro? Riesco a scandalizzarmi, a commuovermi per loro, senza che i mass media me l'inculchino, senza filmati ad effetto, o ho costruito un confine così bene da riuscire a non vederli e non sentirli? Sono i lebbrosi di oggi e sono tanti. Condividere la loro situazione come fa Gesù è una vocazione, bella, ma che non a tutti è data; ma tutti possiamo aiutare in qualche modo, tendendo la mano ad uno, uno al giorno, o al mese, o all'anno. A volte basta un sorriso, una carezza, un gesto di compassione. Se anche ne avessi aiutato uno solo all'anno e campo 100 anni, quanti mi benediranno quando mi presenterò dal Padre, alla resa dei conti? |