Omelia (15-02-2009)
padre Antonio Rungi
Noi diventiamo motivo di scandalo per la nostra pochezza morale e spirituale

Celebriamo oggi la sesta domenica del tempo ordinario e la parola di Dio ci riporta nuovamente a incentrarci su Cristo che guarisce. Nel Vangelo di oggi, infatti, viene riportata la guarigione di un lebbroso. Il racconto di questo evento di grazia e misericordia di Gesù nei confronti di una persona bisognosa ci conferma quanto Dio sia vicino alle nostre debolezze, fragilità e malattie. Il dono della guarigione ricevuto dal lebbroso è motivo di ringraziamento, lode ed annuncio da parte di chi ha riconosciuto che Gesù Cristo è il salvatore dell’umanità, nella sua complessità, compresa quella della dimensione umana.
L’evangelista Marco, che ci riporta questo nuovo miracolo di Gesù, tiene a sottolineare un aspetto di questa guarigione che è quello della comunicazione immediata della notizia. Il giornalista san Marco anche in questo caso vuol dire quanto sia importante trasmettere agli altri il Vangelo della carità, dell’amore e della solidarietà. Il Vangelo che è la buona notizia per eccellenza, qui mette in evidenza una delle tante buone notizie che riguardano la vita, la missione e l’apostolato di Gesù tra le sofferenze umane. Egli non passa tra gli uomini indifferente al loro dolore, alla loro emarginazione, Egli viene incontro, tende una mano, consola, conforta e sana. Quanto sia di conforto per ciascuno di noi questo comportamento di Cristo, lo possono dire quanti nella vita hanno ricevuto il dono della guarigione in casi di malattia più o meno gravi, oppure che tuttora vivono nel dolore e portano la croce, ma ricevono anche la forza per portarla con dignità.
Come si intuisce, la grande pubblicità che questo lebbroso fa a Gesù, facendolo conoscere anche ai lontani e agli indifferenti alle opere di bene, mette in condizione Gesù di non potersi più spostare da una parte all’altra con libertà. Le richieste di aiuto erano tante e non era neppure facile e semplice per lui incontrare tutti, guardare negli occhi tutti e sanare prima di tutto il cuore e la mente e poi tutto il resto.
Strettamente congiunto al brano del Vangelo di oggi, è la prima lettura della parola di Dio, tratta dal libro del Levitico, ben conosciuto come il libro delle prescrizioni a livello religioso e cultuale. Qui vengono dettate le regole di come comportarsi nei confronti dei lebbrosi e come a loro volta i lebbrosi dovevano comportarsi.
Se vogliamo fare una riflessione sul tema dell’emarginazione sociale, umana, qui troviamo tutti gli spunti per farlo. Allora come oggi, i pregiudizi, le segregazioni, le emarginazioni sono presenti in tante società e culture e non è facile sradicare questo comportamento che discrimina le persone tra loro, soprattutto se sono ammalate e per di più anche capaci di trasmettere malattie. Certamente con tante modalità di garanzia per la salute propria e altrui che la medicina ha scoperto possiamo stare anche, con i dovuti accorgimenti, vicino agli ammalati cercando ci curarli in modo migliore. Non si possono lasciare a se stessi, senza cure e senza assistenza sanitaria quanti necessitano di cura e non possono fare da soli. Il lebbroso esprime la categoria di tutti gli ammalati del mondo spesso emarginati, rifiutati, fatti morire o portati lentamente a morire, perché quella malattia, quella infermità, quella condizione di sofferenza non la tolleriamo e non l’accettiamo. Meglio quindi eliminarla dalla coscienza collettiva intervenendo quando c’è necessità o c’è utilità per salvaguardare la collettività o gli interessi di qualcuno.
Essere vicino agli ammalati è un scelta di vita coraggiosa, è un grande servizio, se fatto in spirito di solidarietà, all’umanità sofferente. E non tutti siamo capaci di fare questo. Ci vuole una speciale vocazione ad essere vicino agli ammalati. Una vocazione che nasce dall’amore e si sviluppa con l’amore. Questo amore solo Dio può donarcelo e solo a Lui deve essere orientato.
Comprendiamo allora la portata ed il senso del breve testo della prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi, nel quale si parla appunto di fare tutto per gloria di Dio.
Se potessimo attuare nella nostra vita questo progetto di carità e di servizio, il mondo dei cattolici, della Chiesa e lo stesso mondo dei laici sarebbe molto diverso, in quanto tutto verrebbe fatto per generosità, senza alcun interesse personale, che può spaziare da quello economico a quello di carriera e di affermazione della propria persona. Tutto sarebbe fatto con distacco, dando concretamente testimonianza che dove prevale Cristo nella vita di un cristiano ogni cosa si fa al meglio e portando frutti benefici per chi riceve il dono e per chi dona. Spesso purtroppo anche i cattolici sono di scandalo agli altri per il modo con cui operano ed agiscono. Non siamo diversi dai cristiani di Corinto che l’Apostolo Paolo biasima dicendo con chiarezza che i cristiani non devono dare scandalo, ma essere persone coerenti, capaci di veri gesti di amore verso chi si trova in necessità, operando per la gloria di Dio e per l’avvento del suo regno in mezzo agli uomini.
Sia questa la nostra preghiera di oggi, in sintonia con la comunità dei cristiani riuniti in assemblea domenicale per celebrare l’eucaristia, quale cibo per sanare le nostre ferite più gravi e meno leggibili del nostro cuore e della nostra vita: "Risanaci, o Padre, dal peccato che ci divide, e dalle discriminazioni che ci avviliscono; aiutaci a scorgere anche nel volto del lebbroso l’immagine del Cristo sanguinante sulla croce, per collaborare all’opera della redenzione e narrare ai fratelli la tua misericordia".