Omelia (15-02-2009) |
padre Ermes Ronchi |
Il nostro è il Dio della compassione Non ha nome né volto il lebbroso, perché è ogni uomo, voce di ogni creatura. Con tutta la discrezione di cui è capace dice solo: se vuoi, puoi guarirmi. Il suo futuro è appeso ad un 'sé seminato nel cuore di Dio. A nome nostro il lebbroso chiede: che cosa vuole Dio per me? Cosa vuole da questa carne sfatta, da questo corpo piagato, da questi anni di dolore? Gli scribi di ogni epoca ripetono che il dolore è punizione per i peccati, o maestro di vita, o imperscrutabile volontà di Dio. Per loro Giobbe è un caso teologico. Ma in quella teologia Dio è assente. La fede del lebbroso invece palpita: Dio è il Dio della compassione o non è! Cosa vuoi per me? Quello che dicono gli scribi o vuoi guarirmi? La svolta del racconto non è contenuta in una riflessione, ma in un verbo che indica l’essere preso allo stomaco, dice di una mano che ti stringe le viscere: provò compassione. Per i sacerdoti il lebbroso è un caso, per Gesù è una lama nella carne. Per gli scribi è un teorema, per lui è un fremito, che muove e genera gesti, che fa quasi violenza alla mano, la fa stendere, la fa toccare. La mano parla prima della voce, le dita sono più eloquenti delle parole: Gesù rompe i tabù, toccare il lebbroso è diventare impuro per la legge. Ma per lui l’uomo è sempre puro e vale più della legge. Una carezza più della legge. È l’eloquenza di toccare il male tremendo: da troppo tempo nessuno toccava più il lebbroso, per paura, per ribrezzo, per obbedienza alla legge. E la sua carne moriva di solitudine, il suo cuore moriva di assenze. La guarigione comincia quando qualcuno si avvicina e mi tocca con amore, mi parla da vicino, non ha paura, patisce con me. Il dolore non domanda spiegazioni, vuole partecipazione. Sentirsi toccati è una delle esperienze più belle e vitali. Chi sa toccarti davvero, chi sa sfiorare il tuo intimo di luce o di piaga, questi solo lascia tracce di vita, è il tuo guaritore. La parola, una voce per esistere dentro il vuoto, viene dopo: lo voglio, guarisci! Eternamente Dio vuole figli guariti. A me, a Lazzaro, alla figlia di Giairo, alla suocera di Simone ripete: lo voglio, alzati, guarisci. Dio è guarigione. Dal male di vivere. Non ne conosco tutti i modi concreti, ma so per certo che non accadrà moltiplicando interventi miracolosi. Non conosco i tempi, ma so che egli rinnoverà battito su battito il cuore, stella su stella la notte. Con la compassione, con un gesto, con una voce – che toccano – una carezza – l’abisso del dolore. |