Omelia (15-02-2009)
don Giovanni Berti
Il malato autodenunciato

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C’è uno strano gioco di coincidenze incrociate tra questa pagina domenicale del vangelo e l’attualità.
In questi giorni è passata una legge che toglie il divieto ai medici di denunciare gli extracomunitari irregolari che si presentano per esser curati. In pratica, con questa norma, chi non ha regolare permesso di soggiorno in Italia, se si presenta per esser visitato e curato, rischia di esser rintracciato e di incorrere in tutte le conseguenze del suo esser clandestino. Questo ha fatto scattare una doppia paura: da un lato quella degli irregolari che hanno paura di esser scoperti e rimandati a casa, e dall’altro la paura dei medici che ritengono che questo porti molti extracomunitari con malattie più o meno gravi a non farsi curare più, con gravi rischi per l’intera salute pubblica. Spero che il dibattito sociale ed ecclesiale che molto si è infiammato sul caso di Eluana Englaro si accenda anche su questa questione che ha non piccole conseguenze sia sul piano della salute che sul piano della solidarietà verso i più poveri.
Nel Vangelo si narra come proprio Gesù stesso dà ordine al lebbroso risanato di andare a "denunciarsi" all’autorità religiosa del suo tempo. Gesù dà questo ordine per via della stessa regola religiosa che faceva del lebbroso un "impuro" agli occhi di Dio. Gesù non vuole una spettacolarizzazione del suo miracolo, ordina infatti all’uomo guarito di non dire niente a nessuno (..oggi forse gli direbbe: "non dirlo ai giornali e non andare a Porta a Porta..." eheh). Gesù vuole che la guarigione sia vista per quel che è: un atto di carità e anche un segno di un mondo nuovo, quello del Regno di Dio presente in Gesù.
E’ da notare che Gesù non solo guarisce fisicamente, ma compie anche un gesto dal grandissimo valore simbolico: tocca il povero lebbroso. Gesù è mosso da un sentimento di compassione, cioè sente in se stesso lo stesso dolore di questo lebbroso che per via della malattia non solo è escluso dagli uomini ma è considerato come rifiutato da Dio stesso (questo era il pregiudizio di allora verso i malati). Gesù che proclama se stesso Messia inviato da Dio, toccando il lebbroso, non solo gli restituisce una pelle sana, ma anche una vita sociale e religiosa risanata. Per Gesù questo lebbroso è prima di tutto un fratello da amare e da toccare senza paura di esser giudicati e criticati.
Ma Gesù, con questa guarigione, non vuole solo sanare il singolo uomo, vuole sanare anche la comunità religiosa del suo tempo, che in base a pregiudizi antichi e profondamente ingiusti, esclude le persone malate e povere. Gesù vuole sanare la religiosità dei suoi contemporanei, dimostrando che Dio, prima di esser giudice, è Padre, un Padre che ha cura di tutti, specialmente chi è povero, malato e anche peccatore.

Ovviamente le due denuncie di cui vedo in questa domenica un legame sono profondamente diverse. Quella della legge appena varata, a mio avviso, rischia di ammalare ancor di più la società nel pregiudizio e nella paura. Siamo infatti ammalati di paura e di pregiudizi che ci portano a diventare sempre più sospettosi e chiusi. La fede cristiana invece ci conduce in un’altra direzione.
E’ certamente rischioso fidarsi e aprirsi verso lo straniero che viene qui da noi carico di problemi e povertà. Ma non possiamo non prenderci carico della lebbra del nostro tempo che è proprio questa povertà che è sempre più vicina a noi.
Gesù ci mostra che la sua via è quella del compatire e del toccare e non certo quella del giudicare e del separare. Il nostro Maestro-medico vuole sanare non solo il lebbroso che incontra nella pagina del vangelo di Marco, ma vuole sanare anche noi, in modo che, presentandoci sulla scena del mondo, ci "autodenunciamo" come suoi discepoli, senza paura di esserlo e di portarne le conseguenze.


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