Omelia (15-02-2009)
don Maurizio Prandi
Potenza e debolezza

Concludiamo, con questa domenica, l’ascolto del primo capitolo del vangelo di Marco e può essere questa l’occasione per dare uno sguardo d’insieme, fare un po’ di sintesi e cogliere alcuni aspetti che possono dare sostanza al nostro rapporto con Dio.

Un primo aspetto è quello della apertura, della universalità, di questo Gesù che continuamente pensa ai vicini e anche ai lontani, di questo Gesù che va nella sinagoga a Nazareth (un luogo ben preciso) e immediatamente la sua fama si diffonde ovunque, guarisce una donna e subito dopo tutta intera una città chiede di fare esperienza della misericordia. Ognuno in quella città vorrebbe stare con Lui ma Gesù si sente chiamato anche per tutti gli altri, quindi bisogna andare altrove perché altri abbiano la possibilità di incontrarlo. Sta fuori della città, in un luogo deserto (lo abbiamo ascoltato da pochissimo), e vengono a Lui da ogni parte. L’evangelista Marco con questa scelta ci dice che uno dei tratti qualificanti la pastorale di Gesù è la missionarietà, il "dappertutto", perché chi ama, ama anche gli altri e non può restare chiuso nel suo piccolo, nel particolare.

Ma c’è anche un altro aspetto importante, emerso nelle scorse domeniche e che tuttavia non abbiamo toccato: il silenzio che Gesù chiede, agli spiriti immondi come a questo lebbroso, Guarda di non dire niente a nessuno... Gesù opera miracoli e tuttavia non vuole essere riconosciuto; è quello che gli studiosi chiamano il segreto messianico. Gesù non vuole che si concluda subito chi lui è perché si avrebbe una idea storta della sua messianicità e di Dio. Se proviamo a mettere insieme tutti i testi di Marco per vedere dove vanno a finire, capiamo bene quando il segreto è tolto davvero, quando tutto è manifestato, perché anche i pagani fanno la loro professione di fede: veramente quest’uomo era il figlio di Dio dirà il centurione romano sotto la croce. Davanti al miracolo non devi concludere chi è Gesù, perché devi vedere il processo che ha subito, la passione e la sua crocifissione. Il miracolo e la croce ti diranno chi è Gesù. Ci vogliono i miracoli e ci vuole anche la croce, la potenza e la debolezza: la potenza ti dice che è il Messia e la debolezza ti dice che tipo di Messia è Gesù perché è chiaro che con la croce Gesù non è più il Messia vecchio stampo tutto potenza, splendore, vittoria, trionfo. Ci ha detto don Bruno Maggioni un giorno durante un corso di esercizi: Il miracolo non basta, semplicemente perché conferma sempre l’idea di Dio che hai in testa. "Credo in Dio e il miracolo è una conferma dell’esistenza di Dio, che Lui può tutto." E’ necessaria la croce, forza e debolezza, un Dio diverso.

Un altro aspetto che credo importante è quello dell’accoglienza. Raccontandoci la vicenda di questo lebbroso il vangelo ci dice anche che ciò che Gesù fa è incontenibile, una parola che si divulga anche se tu non vuoi. Questo lebbroso, sempre rifiutato, scartato, se necessario preso a pietrate (la legge diceva che se si avvicinava troppo a te potevi farlo), da Gesù è stato finalmente accolto. Chi ha sperimentato l’emarginazione, quando viene accolto, lo dice a tutti! I lebbrosi, lo ricordiamo bene, erano banditi dalla società, vivi ma considerati morti che camminano, castigati. Leggendo un commento di mons. Ravasi mi ha colpito molto la radice religiosa di questo rifiuto: Tuttavia si trattava di una questione religiosa, non medica. Le malattie della pelle, in cui appariva un disfacimento, venivano associate al disfacimento del cadavere. La "lebbra" era percepita come una minaccia all’integrità fisica dell’uomo e tutto ciò che corrompe o è corrotto, non può essere considerato puro. "Puro" è ciò che appartiene alla sfera di Dio e del sacro, "impuro" è ciò che vi si oppone e rende inadatti alla comunione con la divinità. Gesù non accetta questa logica "religiosa", questa discriminazione e lo tocca, supera la distanza, lo accoglie. L’accoglienza è il primo servizio: incontrare chi sa superare barriere e steccati, sentirsi e sapersi accolti è sperimentare la vera carità, il vero amore.

Questo avvicinarsi, questo toccare da parte di Gesù mi fa venire in mente un ultimo aspetto (tra i tantissimi che non ho toccato eppure molto importanti come la preghiera, il rapporto con il Padre) che è quello del coinvolgimento di Gesù, la sua capacità di entrare in empatia, il suo desiderio di lasciarsi toccare in profondità dalle situazioni. Ciò che prova Gesù è tradotto in modi diversi: Impietosito traducono alcuni, ne ebbe compassione affermano altri, adiratosi traducono alcuni codici importantissimi. Forse è proprio questo verbo che possiamo giudicare come il più conforme al significato complessivo del brano ed il più adatto ad esprimere il coinvolgimento di Gesù nella vita e nella vicenda di questo lebbroso; di fronte allo stato di sofferenza, di pregiudizio e di isolamento in cui giaceva questo lebbroso Gesù esprime la sua ira e la sua indignazione perché l’oppressione dell’uomo contraddice alla volontà di Dio. Ecco che il coinvolgimento di Gesù ha un risvolto pratico nella sua lotta contro tutto ciò che è contrario a Dio e al progetto di amore che ha per le sue creature.

Alla luce di tutto questo sarebbe bello far diventare preghiera, nella settimana che oggi si apre, la raccomandazione che S. Paolo fa nella seconda lettura di oggi: fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo, per essere capaci di guardare oltre, contemplare la Croce, accogliere, coinvolgersi e quindi farsi carico delle sofferenze e solitudini dei nostri fratelli e sorelle.