Omelia (22-03-2009) |
CPM-ITALIA Centri di Preparazione al Matrimonio (coppie - famiglie) |
"Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte. Il primo per vederti tutto il viso. Il secondo per vederti gli occhi. L'ultimo per vedere la tua bocca. E tutto il buio per ricordarmi queste cose, mentre ti stringo fra le braccia." Prendiamo in prestito questa stupenda poesia di J. Prevért come introduzione alla meditazione delle letture di questa 4a domenica di Quaresima. La poesia pone in risalto come la luce di un semplice fiammifero possa esaltare il ricordo visivo di chi è al centro del nostro amare, anche quando non si vede e non vedrà più. All''apparenza il buio sembre un fattore negativo di per sè, ma nel contesto poetico prevertiano lo si può immaginare positivamente come un contenitore illuminato dal ricordo, dalla gioia, dall'emozione provati e conservati nella memoria. Luce-buio. E' straordinario come ogni nostro momento umano, religioso, sociale, personale, vive la relazione dualica "luce-buio". Luce e buio inteso come capacità di agire, di reagire, di essere ed il suo opposto, il peccato, come chiusura, immobilismo e status quo dell'esistente con incapacità di agire, di muoversi, di uscire dalla proprie convinzioni e comodità ritenute tali. E qui il buio non è il buio prevertiano della piacevole memoria, ma è il gorgo nero del vuoto spirituale e fisico. Quando leggo il brano di Giovanni 3, 14-21 mi sovvengono alla mente le immagini di coloro che prima vedevano e poi, senza chiedere, la vita toglie questo meraviglioso dono che è la vista, la luce. E mi immagino il momento traumatico e di disperazione quando da un momento all'altro il buoi ti avvolge. Già nella normalità delle cose quando il buio ci assale provvediamo subito ad illuminarlo con qualunque mezzo...ma quando sai che non puoi e non potrai mai più godere della luce, della vita...è facile comprendere l'angoscia e forse l'urlo di maledizione che sale dentro di sé. E se grande è la desolazione umana nella tragicità del buio visivo, ben maggiore è la drammaticità quando si perde la luce della Fede e sempre più il freddo buio della passività e rassegnazione agnostica-ateista prende il sopravvento nella vita umana. Non c'è più il senso del peccato. Non c'è più il giusto riconoscimento realzionale divino-umano. Il peccato diventa di fatto la luce delle scelte umane in cui relativismo e massimalismo diventano illusori fari di riferimento della vita quotidiana. Nuovi idoli, nuove tentazioni filosofiche e pseude religiose più sottili che germiscono la psiche e la fisicità umana si sovrappongono al Dio della misericordia e dell'Amore. Oggi non è l'assurdo che sconcerta la mia fede, ma la logica dell'assurdo, o meglio la pretesa logica dell'assurdo, preoccupata a giustificare l'indifferenza e ancor peggio il rigetto di una disponibilità ad accogliere la luce della Parola divina quale guida che scalda e illumina il cammino interiore ed esteriore. Charles Péguy, in una sua profonda riflessione filosofica sul senso della vita, un giorno scrisse: "Gli antichi avevano déi che non meritavano, i moderni hanno un Dio che non meritano più". Purtroppo la falsa convinzione di un uomo onnipotente ha generato nella umanità una cecità che la porterà ad autodistruggersi, nella delirante convinzione di potersi rigenerare all'infinito, in un sistema planetario unico ed irripetibile che può vivere e convivere solo con un sistema solare che suo malgrado procede verso il finito; ecco il grande peccato che lo ha guidato, lo guida e lo guiderà per tutta la storia: il peccato di presunzione; io uomo sono Dio e tutto nasce, vive e muore in funzione di questo indissolubile binomio. Vero realismo allora è quello di aprirsi alla luce, liberarsi da ciò che opprime la luce della mente, del cuore e del corpo. Occorre liberarsi dal peccato del pregiudizio e della prevenzione, agire con fiducia verso il prossimo, avere una continuità d'azione ed elevare il proprio pensiero sopra il basso livello del materialismo, pur rimanendo nel mondo senza conformarsi al mondo, ma lasciarsi rigenerare ogni giorno dalla luce della salvezza in Cristo Gesù. La luce della nostra Fede è Cristo, è la sua Parola, che giorno dopo giorno dovremmo portare sempre con noi, come quando agli albori della civiltà umana gli uomini primitivi, scoperto il fuoco, nelle loro migrazioni incaricavano alcuni di loro perché lo tenessero sempre acceso sia per riscaldarsi, sia per far luce nel loro cammino notturno...modalità questa che poi troviamo in qualche modo nel rito delle sacre vestali di Roma e, per giungere ai nostri tempi, in due trasposizioni moderne quali quella dei tedofori che portano la fiaccola al braciere da accendersi perpetuamente nei giochi olimpici e quella per il mondo cristiano e della fede l'immagine della fiamma perpetua che illumina il tabernacolo che contiene la Via, la Vita, e la Verità nel buio della debolezza peccatrice umana. Ecco, così dovremmo fare noi ogni giorno. E riprendendo Prevert possiamo dire che il buio del peccato deve diventare lo stimolo per ricercare dentro di noi quel fiammifero non ancora acceso per sfregarlo sulle Parole di Dio in questo momento forte dell'anno liturgico e fare luce e chiarezza nel nostro disordine umano. Domande - Cerco di accendere il fiammifero della fede per comprendere le mie debolezze spirituali cercando forza e sostegno nella Parola divina? - Cerco di accendere il fiammifero della speranza rifiutando le facili ed effimere "illuminazioni" del mondo accettando il sacrificio del no per una vera crescita spirituale personale e collettiva? - Cerco di accendere il fiammifero della carità ponendomi con umiltà al servizio nella famiglia, nella Chiesa e nella Comunità testimoniando così l'amore di Cristo salvatore? Commento a cura di Maria Grazia e Claudio Righi del CPM di Pisa |