Omelia (25-02-2009) |
padre Gian Franco Scarpitta |
La cenere che non si disperde Mentre ci avviamo verso la celebrazione della Quaresima, ci accorgiamo che gli uomini optano sempre più per delle scelte di comodo. Ci si pone molte volte obiettivi fin troppo semplici, che non richiedano immolazione alcuna, eludendo ogni forma di sacrificio e di rinuncia e che prescindono da ogni valore oggettivo. Si preferisce pensare in base alle proprie preferenze anziché in relazione al servizio degli altri, alla tutela della dignità della persona e della salvaguardia della vita; come pure si tende a procacciare sempre più la banalità dei vizi e dei piaceri effimeri che durano lo spazio di una mera illusione lasciando il vuoto e l’insoddisfazione personale. Il recentissimo caso della morte di Eluana Englaro, che da parte nostra non possiamo che concepire come un arbitrario intervento di soppressione di una vita umana moralmente illegittimo delinea come sia fondamentalmente diffuso nella nostra civiltà un subdolo concetto stesso di vita quando questa riguardi un organismo umano, rilevando anzi come tale concetto sia del tutto limitativo e preferenziale dei nostri desideri e alle nostre presunte certezze. Se si considerano poi i casi di persone arse vive e trasformate in torce umane solo per lo sfizio di alcuni sfaccendati in cerca di emozioni non si riesca a concepire neppure come l’uomo possa tranquillamente procedere nella regolarità del vissuto quando si attenta alla sua stessa convivenza e soprattutto non riusciamo a capacitarci di come non si ricorra urgentemente a parametri di formazione umana e spirituale che stanno alla base di ogni legiferazione. Non serve infatti modificare gli statuti e i regolamenti e neppure è utile accrescere il rigorismo delle pene giudiziarie se nella cultura del nostro tempo non si insinua la consapevolezza del rispetto, della solidarietà e del valore della vita e dell’incolumità di se stessi e degli altri. I moniti dell’etica e i valori dello spirito comportano non poche difficoltà nella loro attuazione e impongono che si accettino determinate scelte di rinuncia e sacrificio come pure che si lotti contro la prevalenza del nostro orgoglio e delle nostre presunzioni, oltre che contro le nostre debolezze; ma quello che ci sconcerta è che gli uomini si tengano ben lungi da siffatte virtù che ci costano molto e tuttavia hanno delle garanzie, che essi rifiutino il sacrificio della rinuncia e dell’impegno in senso etico in nome di una presunta autosufficienza e di un’autonomia irreale e matrice di tanti mali e tale riluttanza al sacrificio e alla rinuncia comporta lo stato di peccato imperante. Si pecca – facciamoci caso – tutte le volte che si cercano occasioni di comodo o che si vogliano ricercare soluzioni appaganti nell’immediato e che ci facciano raggirare l’ostacolo senza affrontarlo e questa è la cultura odierna, quella della fuga dalla virtù con quanto essa è correlato: si tende a preferire quello che più ci fa comodo o ci giova solo nell’ebbrezza del momento non importa quale sia il fondamento della giustizia e della rettitudine oggettiva. Quando si pecca non si riflette, ma si agisce soltanto a volte neppure senza pensare e senza considerare nulla se non il nostro personale soddisfacimento. Ma il peccato non solamente è rottura della comunione con Dio e diniego affermato del suo amore nei nostri confronti; non solamente ci preclude alla salvezza attuale e futura definitiva, non soltanto mette in discussione la possibilità di riconciliazione con noi stessi e con Dio; esso è anche la matrice di ogni distruzione personale e collettiva dell’uomo. Il peccato rovina l’uomo e lo conduce alla perdizione e allo smarrimento lesionando i nostri rapporti e le interazioni sociali e lascando che l’umanità precipiti un po’ alla volta verso la distruzione. Come poter lottare contro questa tendenza comune al peccato che si trasforma nella concretezza di episodi incresciosi? Come poter ovviare alla cultura del peccato sempre più dilagante? L'unica possibilità di riflessione che ci sovviene è quella del Mercoledi delle Ceneri, quando l'atto di imposizione sul capo ci invita a considerare la nostra provvisorietà e nullità davanti a Dio: la cenere sul capo non può che ricordarci che l'uomo è precario e limitato, meschino e insufficiente per se medesimo e per il mondo e per dirla con il Salmo 8: "Che cos'è l'uomo perché te ne ricordi, il figlio dell'uomo perché te ne curi?" Lo stesso scritto sapienziale prosegue: "Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato..." Ebbene si, siamo invitati a considerare la nostra nullità e il nostro perderci di fronte alla grandezza di Dio, per cui non è lecito che vantiamo nulla di nostro; allo stesso tempo però siamo invitati a consideare il grande amore con cui Dio tende a recupearci per sè e a riscattarci dal peccato: Dio ci ama nella nostra nullità, ci accoglie e ci accettqa come siamo e se ci configuriamo nella cenere non siamo comunque destinati a disperderci nel vento, ma siamo sollevati verso l'alto da un alito sottile. La Chiesa ci viene incontro proponendoci un itinerario di quaranta giorni che è solamente l’emblema di un processo di trasformazione che noi saremmo tenuti ad intraprendere in ogni istante e il cui compimento non possiamo mai dare per scontato. Si tratta infatti di un processo privilegiato di mutamento di noi stessi in vista del rinnovamento della cultura e della società, a partire dalla consapevolezza che l’attuale stato delle cose ci chiude nella morsa della precarietà e dell’abbandono. L’itinerario dei quaranta giorni è espressivo da una parte della volontà con cui Dio tende a chiamarci alla comunione con sé nel suo Figlio e al contempo sottolinea la necessità che noi non esitiamo ad incamminarci verso di lui in un processo che però non si limiti ai soli giorni che ci condurranno al 12 Aprile, ma che interessi la nostra vita per intero. La Scrittura non ci parla espressamente di un tempo liturgico quaresimale di conversione ma lascia intendere che la conversione non si debba risolvere a un solo tempo liturgico: che si cambi vita in conseguenza dell’amore gratutito di Dio e che ci si ponga su sentieri di salvezza e di gioia alternativi alla sconfitta del peccato è una necessità costante e irrinunciabile, che ci impegna per tutta la vita, imponendo che non cadiamo nella presunzione di aver raggiunto il nostro obiettivo una volta per tutte. Tali esortazioni alla penitenza continua ci derivano appunto dalla Bibbia, per esempio nella persona di Daniele che digiuna e si mortifica per tre settimane prima di incontrare il Signore glorioso (Dn 10) e soprattutto nel monito di Gesù "Convertitevi e credete al Vangelo". Gesù mostra da una parte la misericordia del Padre per mezzo di miracoli e interventi prodigiosi verso quanti soffrono nel corpo e nello spirito; con i suoi insegnamenti rivela l’amore di Dio e l’instaurazione del suo Regno; la morte di croce sarà il luogo di pacificazione universale dello stesso Signore con l’intera umanità nonché mezzo di espiazione del nostro riscatto che ci risolleva dal peccato e dalla morte; tuttavia egli si aspetta un nostro cenno di adesione nella corrispondenza e nel nostro deciderci per lui. Insomma attende che ci convertiamo una volta che Lui ha volto riconciliarci con il Padre e che rinunciamo definitivamente al peccato considerando questo come l’origine di tutti i mali sussistenti. Lo stesso Signore risorto e asceso al cielo nella Chiesa ci assiste con i suoi mezzi di grazia sacramentale e anche con l’orientamento del digiuno e dell’astinenza, rammentandoci il nostro stato di pochezza e di precarietà davanti al Signore ci illumina sulla necessità di spogliarci di noi stessi per aspirare a Lui per riconoscerlo come il vero Padre che non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva (Ez 33, 11). Sempre la Chiesa ci accompagna nella penitenza spronandoci e incoraggiandoci con tutti i mezzi ma anche situandosi essa stessa come comunità di peccatori che aspirano alla redenzione e alla salvezza: è proprio della comunità ecclesiale infatti prendere coscienza della necessità di dover tornare a Dio e di non essere esente dal peccato e non esita pertanto a collocarsi nella stessa linea di chi cerca la conversione, cosicché noi siamo ulteriormente spronati in questo processo dalla compagnia dei fratelli che ci circondano; e anche nell’ambito più minuscolo delle nostre fraternità e delle comunità parrocchiali non dovrebbe mancare il mutuo incoraggiamento alla conversione e alla ricerca di Dio: dove un fratello devia dalla retta condotta o dalla sana dottrina, lì la comunità non può restare indifferente ma adoperarsi per il recupero del fratello che sbaglia, così pure dove non si vuole lottare per l’emendazione e per il progresso spirituale deve essere nostro comune obiettivo muoversi in tal senso, perché in ogni cosa venga attribuito il giusto primato al Signore. La Quaresima è insomma il tempo privilegiato per scoprire le meraviglie dell’amore di Dio e per ravvivare in noi il desiderio della comunione con Lui in Cristo e fra di noi e per questo il tempo che stiamo per iniziare è uno spazio privilegiato che ci incuterà lo sprone di una penitenza continua durevole e apportatrice di sicuri vantaggi e benefici. Inauguriamola con il beneficio della cenere che si innalza e non si disperde. |