Omelia (01-03-2009) |
mons. Roberto Brunelli |
Il tempo della cura Come ogni anno, anche oggi, prima domenica di quaresima, si legge il passo evangelico di Gesù che si ritira per quaranta giorni nel deserto, dove subisce le tentazioni di satana. A differenza di Matteo e Luca, l’evangelista Marco non descrive il contenuto delle tentazioni, dando così rilievo al fatto in sé, di Gesù che si ritira e soprattutto che affronta la prova. Il fatto risulta alquanto sorprendente per chi è abituato a pensare a Gesù-Figlio di Dio, uguale al Padre: ogni uomo conosce bene la tentazione; ma come può Dio, perfezione assoluta e fonte di ogni bene, essere anch’egli tentato al male? Il dubbio si scioglie, considerando che il Figlio di Dio ha assunto la natura umana, e per davvero, fino in fondo, anche nella sua debolezza: ha provato la fame e la sete, la stanchezza e la povertà, la paura e la sofferenza, la morte. Tutto ha condiviso di noi, escluso il peccato (dal quale è venuto a liberarci) ma non esclusa la tentazione a commetterlo: e se non ha ceduto, è per insegnarci che è possibile anche a noi fare altrettanto. Tentazioni a parte, è da rilevare anche il "quando" Gesù si è ritirato nel deserto. L’ha fatto prima di dare inizio al suo ministero pubblico, ai tre anni che – egli lo sapeva – si sarebbero conclusi con la sua Pasqua di morte e risurrezione. Il ritiro fu dunque in preparazione al passo supremo della sua vita terrena, quello che i suoi fedeli rivivono ogni anno nelle celebrazioni pasquali; la quaresima – quaranta giorni, tanti quanti quelli di lui nel deserto – è un invito a prepararci anche noi a rivivere con lui la nostra Pasqua, in cui per suo merito muore "l’uomo vecchio" che è in noi e possiamo rinascere, liberi dal male e gioiosamente protesi verso di lui. La quaresima è l’invito a prendere coscienza che nello spirito siamo malati, ma di una malattia curabile; la cura è impegnativa, talora può essere faticosa, talora persino dolorosa; ma conviene affrontarla, sapendo che, se lo vogliamo, la guarigione è certa. La cura dell’anima che la quaresima propone presenta, come ogni altra cura, i suoi segni esteriori, le sue medicine e la sua finalità. I segni sono le ceneri sul capo (espressione della consapevolezza di essere bisognosi di cure e della volontà di intraprenderle) e una liturgia più austera (niente "Gloria" né "Alleluia", paramenti violacei, suono dell’organo solo per sostenere il canto), a significare la serietà dell’impegno. Quanto alle medicine, esse sono tre. La prima è la riscoperta dei doni di Dio (il battesimo, con cui Egli ci ha adottati come figli. La seconda è la confessione, con cui Egli ci mostra la larghezza del suo perdono; la comunione, con cui ci sostiene nel cammino della vita); e una più attenta riflessione sulla sua Parola, che si traduce poi in una più assidua preghiera. La terza è la pratica della carità, consistente nel perdono da concedere a chi ci avesse offeso, nel conforto da offrire a chi soffre, e in genere in un benevolo atteggiamento verso il prossimo, comprendente se possibile l’aiuto materiale a chi è nel bisogno o a chi meglio di noi è in grado di provvedere (penso ad esempio alla Caritas). Resta da dire della finalità della cura. In proposito occorre sfatare la concezione, tanto diffusa quanto errata, che vivere da cristiani significhi mortificarsi, rinunciare, chiudersi nella tristezza, in una vita umbratile che non conosce la gioia. La realtà sta esattamente agli antipodi. Il brano evangelico di oggi, dopo aver accennato al ritiro di Gesù nel deserto, prosegue così: "Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: |