Omelia (08-03-2009)
Omelie.org - autori vari


COMMENTO ALLE LETTURE
a cura di don Paolo Ricciardi

L’evento della Trasfigurazione sull’alto monte – anche solo di 600 metri com’è il Tabor in Galilea - è una tappa obbligata, in questo tempo quaresimale, per tutti noi.
Allora proviamo anche noi a salire con i tre scelti da Gesù: Pietro, Giacomo e Giovanni. Essi ancora non sanno cosa la vita riserverà loro, cosa significherà seguire il Signore sino alla fine. Ma avranno, costante, la memoria di quella salita sul Tabor, quando nella notte, loro soli, improvvisamente, mentre Gesù pregava, lo videro risplendente di una Luce finora sconosciuta ai loro occhi. Cosa avranno provato in quel momento? Stupore, timore, incomprensione, gioia, meraviglia...
Gesù si illumina di Immenso e chiama accanto a sé Mosè ed Elia, anch’essi famosi per via del fuoco. Il primo, già anziano, era stato attratto dal fuoco del roveto ardente e aveva da lì iniziato una nuova vita in Dio. l’altro, al termine della sua vita, viene rapito in cielo su un carro di fuoco. Chissà, forse anche loro due si saranno commossi profondamente a quell’incontro. Mi piace pensare di vedere negli occhi di Mosè il roveto ardente; negli occhi di Elia il fuoco che lo porta in cielo. Entrambi, poi, avevano dimestichezza con i monti: l’Oreb, il Sinai, il Carmelo. Mancava loro il Tabor.
I discepoli, invece, non conoscevano i monti. Gesù aveva chiamato i discepoli scendendo al loro livello, quello del Mare di Tiberiade. Ora li fa salire al suo livello. Dio sembra preferire i monti al mare. Il mare nel vangelo appare spesso nemico, in tempesta o infruttuoso, improvvisamente privo di pesci. Il monte è invece sempre luogo di incontri, di discorsi profondi, di desiderio di Cielo.
I pescatori, abituati al mare, ora salgono il monte... Un tempo lontano, quasi duemila anni prima, fu Abramo a salire un monte, con una fede in Dio al di sopra delle sue stesse forze. Saliva per ridare a Dio il figlio amato, non sapendo che sarebbe stato Dio stesso a non risparmiare ma a donare il Figlio, l’Amato, per tutti noi.
Ora i discepoli vedono una Luce. Loro tre scorgono altri tre che parlano, senza comprendere di cosa (Ma noi sappiamo che parlavano della passione). Soprattutto, sono affascinati dalla Luce. Illuminarsi è proprio di chi ama. Così scriveva il poeta romano Trilussa:
Davanti ar crocifisso d’una Chiesa / una candela accesa se strugge da l’amore e da la fede ./ Je dà tutta la luce, tutto l’amore che possiede,/ senza abbadà se er foco la logora e la riduce a poco a poco ./ Chi nun arde non vive. / Com’è bella la fiamma d’un amore che consuma, / purché la fede resti sempre quella! / Io guardo e penso./ Trema la fiammella, la cera cola e lo stoppino fuma...
Com’è bella la fiamma d’un amore che consuma! Chi non arde non vive. Gesù, la nostra vita, arde d’amore e si illumina. E ci illumina.
Pietro, che solo una settimana prima aveva professato la sua fede nel Cristo, Figlio del Dio vivente, si fa di nuovo portavoce degli altri: "è bello per noi essere qui! Facciamo tre tende!". Ma Pietro non sa che non è ancora il tempo per fermarsi. Ecco allora la nube dello Spirito, la voce del Padre e l’invito, eco del giorno del battesimo al Giordano: "Questi è il mio Figlio, il prediletto: Ascoltatelo". E poi... di nuovo, tutto come prima. Niente più quella Luce, non c’è Mosè, non c’è Elia. Va via la nube, non si sente una voce. Gesù solo con loro. Un giorno i tre avranno capito che questa era stata la più grande Grazia: avere Gesù solo con loro.
Il mistero della Trasfigurazione è per i discepoli una preparazione al mistero della "Sfigurazione". Gesù che sale il Tabor salirà un giorno, non molto lontano, il Calvario. Accanto a Lui non saranno più Mosè ed Elia, ma due ladroni. Non ci sarà più la Luce, ma il buio. Non più la Voce del Padre, ma il Suo silenzio.
Allora sarà veramente Amore consumato per il bene dell’umanità.
I discepoli avrebbero dovuto scorgere dietro la Croce la Luce dell’Amore. Ma, quando arriverà il momento della croce, non capiranno ancora.
Dei tre ne rimarrà uno solo, Giovanni.
Avranno tutti bisogno di una nuova Luce, di una nuova Alba, del nuovo Giorno della Resurrezione. E allora comprenderanno tutto, anche se ancora poco a poco.
E noi? A volte ci capita di vivere momenti di Tabor... Quando, ad esempio, sperimentiamo un tempo di deserto, di preghiera, di ritiro. Ci capita, sì, di stare sul monte, di contemplare la Luce, di ascoltare la Voce. E diciamo – o pensiamo –: "è bello essere qui".
Ma il più delle volte siamo chiamati a scendere dal monte, ad essere a terra, a scontrarci con le difficoltà e il buio della vita di ogni giorno. Un buio fuori e spesso dentro di noi.
Ed è lì che siamo chiamati al salto nella fede: vedere il Trasfigurato nello Sfigurato, ossia trasfigurare la nostra realtà, osservare bene, con gli occhi di Dio, la Luce che c’è sempre. Forse nascosta, offuscata, ma c’è. Anche nel dolore più assurdo e impensato. E questa Luce ha un nome: la Sua Parola. Ascoltatelo! Dice il Card. Martini :
"Ascoltatelo significa "imitatelo", fate come ha fatto lui, prendete a modello la sua esistenza storica; non semplicemente "il Signore, il Signore", ma questo Gesù delle beatitudini, del perdono, della povertà, dell’umiliazione, della mitezza".
L’ascolto ci invita alla carità. L’ascolto ci invita a scendere dal Monte per servire l’uomo sulla terra. Pietro non deve rimanere lì, anche se è bello. Deve scendere. E noi con lui.
Così si esprime Sant’Agostino in un splendido commento a questo vangelo:
Scendi, Pietro; desideravi riposare sul monte: scendi; predica la parola di Dio, insisti in ogni occasione opportuna e importuna, rimprovera, esorta, incoraggia usando tutta la tua pazienza e la tua capacità d'insegnare. Lavora, affaticati molto, accetta anche sofferenze e supplizi affinché, mediante il candore e la bellezza delle buone opere, tu possegga nella carità ciò ch'è simboleggiato nel candore delle vesti del Signore...
...Ciò Pietro non lo capiva ancora quando sul monte desiderava vivere con Cristo. Questa felicità Cristo te la riservava dopo la morte, o Pietro. Ora invece egli stesso ti dice: "Discendi ad affaticarti sulla terra, a servire sulla terra, ad essere disprezzato, ad essere crocifisso sulla terra". È discesa la vita per essere uccisa, è disceso il pane per sentire la fame, è discesa la via, perché sentisse la stanchezza nel cammino, è discesa la sorgente per aver sete, e tu rifiuti di soffrire? Non cercare i tuoi propri interessi. Devi avere la carità, predicare la verità; allora giungerai all'eternità, ove troverai la tranquillità".
(Sant’Agostino, Discorso 78)
Lasciamoci dunque rischiarare dalla luce folgorante di Cristo perché accompagni il nostro terreno cammino alla visione dell’eterna luce.
Ora questa Luce non la vediamo, ma la possiamo intra-vedere, vedere dentro la nostra realtà.
Io l’ho intra-vista negli occhi di un giovane malato, grave, ma forte nella fede. La intra-vedo in tante persone impegnate per il bene degli altri, senza voler ottenere nulla in cambio. La intra-vedo nelle comunità dove si respira la bellezza di credere in Gesù.
La intra-vedo ogni volta che, pur nelle nostre mani di peccatori, il Signore sceglie di essere preso da noi nel Pane dell’Eucarestia.
La intra-vedo quando il buio del peccato fugge davanti al Sole della Grazia.
La intra-vedo ora, certo che un giorno vedrò Dio in tutta la Sua Luce, in tutta la Sua Gloria, in tutto il Suo Amore, quando potremo finalmente dire: è bello per noi essere qui. E Lui ci dirà: saremo qui per sempre.