Omelia (08-03-2009) |
Agenzia SIR |
Nella trasfigurazione le vesti di Gesù divennero così bianche che "più bianco non si può". Uno sfolgorio di luce. La festa della trasfigurazione, che noi cattolici celebriamo il 6 agosto, nella Chiesa orientale è grandissima, almeno quanto la Pasqua perché indica il destino pasquale, trasfigurato, dei cristiani. Festa di luce, la trasfigurazione ripercorre la festa della croce: via lucis est via crucis. Anche i monti sono accomunati: Calvario e Tabor. Non a caso l'episodio è inserito, nella nostra liturgia, durante il periodo di Quaresima, ma la trasfigurazione ha la stessa profondità di significato nella Chiesa d'oriente che la considera icona della liturgia, perché è contemplazione della gloria del Signore. Le vesti di Gesù diventano bianche splendenti. Lo splendore del corpo si comunica anche alle vesti che sono il segno della misericordia di Dio che ricopre la nudità dell'uomo. Nella resurrezione la veste non viene tolta, ma diventa "gloriosa" come il corpo di Gesù. La Chiesa nella liturgia può essere vista come veste del corpo di Gesù; diventa così partecipe della sua gloria. In tutto il Vangelo la voce del Padre si ode solo due volte. Una volta dopo il Battesimo di Gesù nelle acque del Giordano e la seconda nel Vangelo di oggi. In entrambi i casi il Padre dice e conferma la stessa cosa: Gesù è il Figlio prediletto e noi dobbiamo ascoltarlo. Se il Padre ha detto solo questo, significa che in questo c'è tutto perché il Figlio è la Parola che svela pienamente chi è Dio e se noi l'ascoltiamo diveniamo, in Lui, figli dello stesso Padre. La trasfigurazione di Gesù mostra in anticipo ciò che allo stesso modo noi saremo grazie alla passione, morte e resurrezione di Gesù. Nella domanda che si pongono i tre discepoli – che cosa volesse dire risuscitare dai morti – c'è l'ambivalenza dei significati che porta in sé il mistero della trasfigurazione: la luce e l'oscurità, la parola e il silenzio, lo splendore e l'angoscia, la paura e il conforto. È il mistero di Dio che non è solo di luce, ma anche di buio. L'ombra creata dalla luce preannunzia la spada, la sofferenza. Il mistero di cui veniamo resi partecipi è un mistero di vita e di morte. Questo mistero gli apostoli-testimoni, Pietro Giacomo e Giovanni, lo vivranno in prima persona, dopo essere stati testimoni privilegiati di alcuni episodi-chiave della vicenda di Gesù: la resurrezione della figlia di Giairo, la trasfigurazione, il discorso sulle "cose ultime" sul monte degli Ulivi, l'agonia nell'orto. La trasfigurazione è spesso rappresentata dagli artisti. Famosissima quella del Beato Angelico, a Firenze. Cristo apre le braccia come sulla croce, alto sopra un monticello roccioso simile al calvario, abbagliante di luce nelle sue vesti candide. Il volto è intenso e assorto; lo sguardo è rivolto al futuro, alla passione e alla risurrezione. Intorno a lui, immersi nella sua luce, i personaggi del racconto evangelico: Mosè, Elia e i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni. La trasfigurazione è luce abbagliante. Lo fu per i tre apostoli presenti sul monte Tabor; lo è ancor più per noi, abitanti della città secolarizzata, invitati ad ascoltare e a prestare fede alla voce del Padre nella nube. E questo basta. Lo diceva molto bene Bernanos: "Nessuno di noi saprà mai abbastanza di teologia per diventare appena canonico; ma sappiamo abbastanza per diventare dei santi". Ecco, la trasfigurazione ha innanzitutto a che fare con la santità perché è l'anticipazione della resurrezione, che è lo stile di vita del cristiano incamminato sulla via della santità: pur in mezzo a difficoltà e smarrimenti, egli vive come "risorto", trasfigurato. Come per i tre discepoli che con Gesù discendono dal monte, anche per noi sono lecite le domande su cosa significhi "risorgere dai morti". Questo tempo di quaresima, proteso verso la Pasqua, ci porti – prima ancora della risposta – il beneficio della stessa domanda che è provocazione a cercare e trovare nella croce e nel dolore il segreto della gioia e della vita. La croce è' il mistero del Figlio di Dio; è anche il mistero di tutti gli uomini. Commento a cura di don Angelo Sceppacerca |