Omelia (15-03-2009) |
don Marco Pratesi |
Io sono il Signore Le "dieci parole" (decalogo) del Sinai sono introdotte da un'autopresentazione di Dio: "Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla casa degli schiavi" (v. 2). La cosa può passare inosservata, ma è di grande significato, perché quanto viene dopo prende il suo significato vero proprio a partire da questa consapevolezza: colui che ci parla, colui che ci dà le sue leggi, è colui che ci ha fatto uscire dalla "casa degli schiavi". La rivelazione di Dio presuppone quindi un'esperienza e ad essa si richiama. Non è solo una teoria che viene proposta, ma una storia che viene illuminata dalla Parola rivelatrice, che evidenzia appunto l'azione di Dio in nostro favore. Non si deve mai dimenticare che il nostro fare è risposta al suo fare: ciò che Dio fa per noi fonda quello che noi facciamo per lui. Più specificamente, l'azione di Dio si è manifestata come azione misericordiosa. Siamo chiamati a rispondere a questa gratuità di amore con la fiducia e l'obbedienza. Qui non c'è la richiesta di piegarsi a una volontà superiore, quanto piuttosto l'offerta di un'alleanza: Dio è per te e tu fìdati di lui; rispondi al suo dono con il tuo dono. Infine, Dio si presenta come colui che ha liberato dalla schiavitù. Il dono della sua legge non è se non un proseguimento di questa azione liberatrice. Per essere libero a Israele non è sufficiente essere fuori dall'Egitto: adesso deve comportarsi da popolo libero. Essere liberi significa servire Dio solo. E' la prima parola, fondamento di tutte le altre: "non avrai altri dèi" (v. 3). Siamo chiamati a vivere il nostro impegno di fedeltà alla volontà di Dio nella consapevolezza che l'Uno è colui che ci ama e ci vuole liberi. Per mantenere il giusto spirito, occorre tenere continuamente presente il Signore, averlo "davanti agli occhi" (cf. Sal 25,15: Tengo i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede; 26,3; 123; 141,8). Solo questo può correggere una serie di distorsioni nelle quali si incappa facilmente quando si ha a che fare con la legge di Dio. La fedeltà alla legge non si regge su teorie e idee, ma sulla memoria viva delle concrete e infinite forme in cui si è manifestato e si manifesta la bontà di Dio per noi. Non siamo di fronte a un tiranno, a uno che pretende senza dare. Non ci pieghiamo a una imposizione più o meno arbitraria, ma ricambiamo amore con amore, nella consapevolezza che solo il servizio di Dio rende liberi. Egli è il Dio libero che ci rende liberi. Osservando la sua legge completiamo la sua azione liberatrice, che senza il nostro apporto resterebbe incompiuta. I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |