Omelia (08-03-2009)
don Maurizio Prandi
Un Dio consegnato

Come sapete stiamo provando a fare un percorso in questo tempo di Quaresima che abbiamo intitolato alla ricerca del volto, e se domenica scorsa abbiamo contemplato il volto di un Dio tentato oggi vi propongo questo tipo di interpretazione della parola che la chiesa ci dona: un Dio consegnato.
In Gesù Dio si consegna e mi pare che questo verbo stia un po’ sotto a tutte le letture che abbiamo ascoltato: la consegna di un figlio da parte di un padre nella prima lettura, S. Paolo che ai Romani annuncia esplicitamente che Dio ha consegnato il proprio Figlio e il vangelo che ci parla di Gesù in viaggio verso Gerusalemme, dove consegnerà la propria vita. Mi piace molto poter pensare a Dio come uno che si consegna, che consegna le sue cose preziose, belle, luminose; mi piace molto poter raccogliere attorno a questa idea la liturgia della Parola di oggi. Mi aiuta ad accostarmi diversamente a quella che per me è una idea di resa, di sconfitta, di abbandono della lotta perché è a queste immagini che io lego il verbo consegnarsi. Guardando invece con attenzione alla Scrittura scopro che là dove c’è un consegnarsi è come se si aprisse la vita perché alla consegna corrispondono una rivelazione e una promessa.
Mi pare questo: nella prima lettura Dio si rivela come il Dio fedele e si promette ad Abramo come benedizione per tutta la sua vita. Dio mette alla prova Abramo e gli chiede: "Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio, quello che ami, Isacco". Mi colpisce questo, come ci sono quattro espressioni per dire quel ‘figlio’. Ne bastava una che dicesse: ‘Prendi Isacco’. No, gli chiede: "Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio, quello che ami, Isacco". Forse dobbiamo renderci conto che Dio sta chiedendo tutto ad Abramo, gli sta chiedendo il figlio della promessa, cioè quello attraverso il quale Dio ha promesso ad Abramo la benedizione. Abramo deve imparare a donare tutto, a non controllare niente, a non avere nessuna sicurezza. Ma dietro a questo modo di presentare le cose c’è in fondo l’immagine di Dio. Quel sacrificio – che Dio ha impedito di compiere: era forse troppo grande per Abramo – Dio lo compie nel Figlio.
Anche la secondo lettura ha questo aspetto di rivelazione e promessa: Dio è colui che offre quanto ha di più prezioso e si promette come colui che non condanna. Nel brano di Vangelo Dio si compiace del cammino del Figlio e delle sue scelte, e per capire bene questo compiacimento bisogna collocare il testo della Trasfigurazione nel contesto del vangelo di Marco. Nel capitolo precedente, dopo otto capitoli che hanno raccontato il ministero di Gesù, siamo arrivati per la prima volta a una professione di fede autentica, quella di Pietro che ha riconosciuto in Gesù il Cristo. E subito dopo Gesù ha incominciato a parlare della Passione per la prima volta: della sua sofferenza, della sua umiliazione, della sua morte come itinerario necessario verso la resurrezione. Ed è stata una rivelazione così inattesa e scandalosa che Pietro ha tentato di rimproverare Gesù, di indirizzare le parole di Gesù in un’altra direzione. E Gesù ha respinto con durezza Pietro e "ha rincarato in qualche modo la dose": non solo Lui è il Messia sofferente che va verso la croce, ma se qualcuno vuole andargli dietro deve prendere la sua croce e seguirlo per la stessa strada. Quindi deve accettare anche Pietro, anche il discepolo, il cammino della sofferenza e della croce. A questo punto si inserisce la Trasfigurazione. E la Trasfigurazione è come la firma che il Padre pone sulle parole di Gesù, sulla rivelazione di Gesù, sulla rivelazione della passione e della croce. Lo conferma quindi in questo cammino e promette la risurrezione: ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Il vangelo ci racconta che la consegna di Gesù, proprio perché faticosa, dura, difficile, passa attraverso la luce della Trasfigurazione. Attenzione bene: non una trasformazione, perché una persona si trasforma quando diventa altro rispetto a quello che era prima; trasfigurarsi per Gesù è far vedere qualcosa che di Lui è presente, ma che i discepoli non riescono a vedere. Gesù fa vedere la realtà che è nascosta dentro di sé, è sempre lo stesso ma i discepoli e noi riusciamo a vederlo in un’altra luce. Non so... ma credo che il Padre sul monte rivela al Figlio e ai suoi discepoli che la paura, la sofferenza, il dolore, la preoccupazione, l’incertezza non soffocano la luce che è dentro Gesù e dentro ogni uomo e donna amati da Dio. Qui sento che c’è una indicazione importante per me che difficilmente considero l’altro capace di tirar fuori la luce che è in lui forse proprio perché luce non sono capace di vederne... e guardando molto più semplicemente a me, in mezzo a tanti problemi, incapacità, limiti, inadeguatezze vedo magari ansie e desideri di essere all’altezza e non luci, non vere altezze che poi sono quelle che mi dona Gesù nel suo vangelo: la fedeltà alla quotidianità mia e dei fratelli e sorelle con i quali ho la grazia di comunicare e relazionarmi.
Una luce, quella donata sul monte della Trasfigurazione, che invita, incoraggia, accompagna nel difficile ascolto di una vita secondo il cuore di Dio; anche se parla di sofferenza: ascoltatelo! Anche se annuncia l’umiliazione e la croce: ascoltatelo! Anche se chiede a voi di prendere la croce sulle spalle e di andargli dietro: ascoltatelo! C’è bisogno di questa firma di Dio, del sigillo di Dio, per potere accettare un messaggio così scandaloso come è quello della croce, così ripugnante per noi come quello della croce. Eppure in quel messaggio c’è il compimento della rivelazione di Dio (don Daniele Simonazzi).