Omelia (15-03-2009) |
mons. Roberto Brunelli |
Mercato nel tempio Accade, leggendo certi libri o certi giornali, di vedervi la figura di Gesù delineata come la quintessenza della bontà, ma intesa come indulgenza ad ogni costo; della tolleranza, ma come remissiva passività. Non è però questa l’immagine di lui trasmessa dai vangeli: ad esempio egli non esita a minacciare guai ai farisei ipocriti (Luca 11,37-44), a dare della volpe ad Erode (Luca 13,33), e addirittura del satana a Pietro quando questi pretende di distoglierlo dal suo itinerario di vita (Matteo 16,23). Il brano odierno narra poi un episodio che dimostra tutta la sua intransigenza sui princìpi e sui valori inalienabili. "Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!" Un tale comportamento di Gesù è sorprendente, e non solo perché sembra lontano dal suo "stile". Il tempio di Gerusalemme, centro della fede ebraica e cuore della nazione, vedeva ogni giorno un intenso andirivieni di fedeli, molti dei quali vi recavano animali da offrire in sacrificio e non era pensabile se li portassero da casa, specie se abitavano lontano, mentre quanti intendevano lasciarvi un’offerta in danaro dovevano cambiarlo con l’antica moneta, la sola accettata nel tempio e altrove fuori corso. In fondo dunque quei mercanti, oltretutto stanziatisi nel più esterno dei cortili del sacro edificio, svolgevano un servizio utile: perché scacciarli? Qualche antico commentatore ha ipotizzato che essi svolgessero la loro funzione in modo disonesto, traendone profitti superiori al giusto. In realtà l’episodio è importante perché Gesù vi si proclama Figlio del "Padrone di casa", e denuncia lo scandalo del mercanteggiare il rapporto con Lui, o ritenerlo una pratica formale, ridotta al "sentirsi a posto" con il semplice offrirgli qualcosa. In tal senso il monito assume una validità perenne; oggi come ieri incombe sulla coscienza l’illusione di tacitarla con l’osservanza esteriore del culto o magari col metter mano al portafogli. In realtà la fede implica ben altro, come appare anche dal seguito dell’episodio. A chi gli chiede conto del suo inusitato comportamento, Gesù risponde: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". E l’evangelista aggiunge: "Egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù". Ecco: la fede trova in lui il nuovo e perfetto tempio, distrutto dalla croce e ricostruito con la risurrezione; il suo corpo morto e risorto è il "luogo" dove incontrare Dio. Le chiese cristiane differiscono radicalmente dall’antico tempio di Gerusalemme, perché non sono la dimora di Dio, ma la casa della comunità, che vi si raduna per entrare in intima comunione con Gesù morto e risorto; una chiesa serve a celebrarvi l’Eucaristia, il sommo dono da lui lasciatoci proprio a questo fine. Trascurare la Messa, o parteciparvi solo per distratta abitudine, o sostituirla con pratiche magari in sé buone ma rispondenti piuttosto ai gusti personali, significa non aver compreso il valore del dono, né che di un dono appunto si tratta. Con lui non si mercanteggia, né si possono seguire opinioni personali; l’atteggiamento appropriato, da parte dei destinatari di un tale dono, è anzitutto la più profonda riconoscenza, che si traduce nell’impegno a vivere in modo coerente con il rapporto profondo che il dono instaura. |