Omelia (11-05-2003)
mons. Antonio Riboldi
Immensa tenerezza di chi ci ama

La Chiesa oggi ci offre quella che mi piace definire "l'infinita tenerezza di Gesù", che non finisce mai di stupirci per quanto ci ama e per come si è tutti, ma proprio tutti, a Lui cari, come fossimo la sola felicità che Lui conosce. E' davvero incredibile da una parte come Dio ci voglia veramente bene, un bene che al solo contemplarlo, dovrebbe riempire di gioia tutti, ma proprio tutti, noi mendicanti tante volte delusi di un amico che sappia avere a cuore noi fino a dare la vita, se necessario, come fa una mamma e dall'altra parte, non si riesce a capire come mai in questa sete di amicizia ci si affidi con facilità a quanti, troppe volte, ci considerano "una merce da usare, non da amare".
Prendersi a cuore uno, avere cura di uno è davvero la grande vocazione che dovremmo avere tutti, se possediamo lo spirito di Gesù. Dice il Vangelo: "Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde: egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre: e offro la vita per le pecore" (Gv. 10,11-18).
Gesù, il grande pastore delle anime, sa molto bene come noi possiamo essere vittime di mercenari. Comprende la nostra debolezza, che cede facilmente nel fare parte di un gregge senza amore e speranza. Ma Lui non rinuncia ad amarci. Nel Vangelo Luca descrive come il buon Pastore non si rassegna alla perdita delle proprie pecore. Così parla: "Se uno di voi ha cento pecore ne perde una, cosa fa? Lascia le novantanove al sicuro per andare a cercare quella che si è smarrita e la cerca finché non l'ha ritrovata.
Quando la trova, se la mette sulle spalle pieno di gioia e ritorna a casa.
Poi chiama gli amici e i vicini e dice loro: "Fate festa con me perché ho ritrovato la mia pecora, quella che era smarrita" (Lc. 15,4-7).
Questa infinita tenerezza di Dio, che non si rassegna a perderci la troviamo anche nella parabola del figlio prodigo. "Il figlio perduto, era ancora lontano dalla casa paterna, quando suo padre lo vide e, commosso, gli corse incontro. Lo abbracciò e lo baciò...Dobbiamo fare festa perché questo mio figlio era per me come morto e ora è tornato in vita: era perduto ed ora è stato ritrovato" (Lc. 15,22-25).
Io, che sono per volontà di Dio "Pastore delle anime", sentendo questa voce di Gesù, provo tanta gioia, una infinita sicurezza, perché so che c'è qualcuno che davvero mi vuole bene, ha cura della mia salvezza: uno sulle cui spalle è bello trovarsi quando per ignoranza ci si perde per i tanti sentieri ciechi del mondo: uno che non ti prende a bastonate perché ti sei smarrito, ma anzi non ha neppure paura di percorrere le tue stesse vie, che sono costellate di ogni male possibile, cui affidarsi è come perdersi, fino a che ti trova e con dolcezza ti pone sulle sue spalle, che hanno il meraviglioso profumo della tenerezza che dà sfogo alla gioia.
E' davvero un meraviglioso dono del Padre quello di non abbandonarci mai, anche quando gli voltiamo le spalle per altri che si danno l'aria di "padri", ma in effetti sono mercenari, cui non importa nulla di noi, perché non gli apparteniamo.
Ricordo la storia di una mamma. Come tante mamme, oggi, si lasciano attrarre dalle occupazioni, non curandosi più dei figli. Un giorno si accorse che una sua figlia era finita nelle mani degli spacciatori di droga. L'aveva persa. Rinacque in lei il cuore di mamma, che non accettava l'idea di avere in casa una figlia che si era persa. Abbandonò tutti gli impegni che sembravano "il senso della vita" e decise di fare di tutto per riconquistare la fiducia ed il cuore della figlia. Viaggiarono insieme per il mondo, come a volersi ritrovare. Durò più di un anno questo stare insieme: proprio come il buon pastore, che va in cerca della pecora smarrita, senza pensare ai disagi. Finalmente la figlia "ritrovò la tenerezza irrinunciabile della mamma, ben diversa dalle catene dei falsi amici, e tornò a casa con lei. E la loro vita divenne una grande festa. Non riesco a capire tante volte, mamme o papà, che riescono a sera a prendere sonno, sapendo che i figli sono andati via in cerca di altre feste, magari non tornando più; o meglio tornando in una bara: genitori condannati a piangere una perdita che poteva essere evitata. Mia mamma – forse erano altri tempi – non si dava pace se alla sera, facendosi buio, mancava in casa qualcuno di noi.
E' la passione che nutriamo noi "pastori" che tante volte guardiamo alle nostre comunità con una infinita tristezza. Ci mancano tante pecore: e sappiamo che la loro assenza non è tanto dovuta alla nostra cura, ma ai troppi mercenari che letteralmente ci rubano giovani, famiglie. Siamo tristi perché sappiamo che fuori del gregge di Dio non ci può essere quella serenità, quella sicurezza che solo Gesù può assicurare.
Chissà se, almeno, chi è lontano dal gregge di Dio, sa che c'è un Pastore che non si rassegna a perderlo, ma lo cerca con quella infinita passione che ha mostrato dando la vita sulla croce. Si ha la netta sensazione, leggendo le parole di Gesù, che il Cielo non si rassegna a crederci persi e quindi ad abbandonare anche l'idea di cercarci.
Ho avuto il grande dono di Dio di essere da lui scelto come pastore, prima come sacerdote e poi come Vescovo. So cosa voglia dire amare ognuno di quelli che Dio mi ha affidato. Una grande responsabilità che è possibile solo perché si sa che con noi viaggia il "grande pastore delle anime, che è Gesù".
Credetemi, non ci si rassegna nel vedere tanti che se ne vanno e non capisci mai perché scelgono altri pascoli, che sai molto bene non sono per la felicità e la gioia degli uomini. Se la gente conoscesse la gioia che proviamo quando vediamo le nostre comunità attorno a noi, pronte e seguire non noi ma chi è con noi, Gesù, la via, la verità, la vita!
E se la gente conoscesse il grande dolore che nascondiamo, ma è grandissimo, quando ci sentiamo abbandonati! Un dolore che non è mai ripiegamento su se stessi, come una rassegnazione da condannare. Scatta in noi pastori la voglia di metterci sulle strade dell'uomo ovunque sia, con dolcezza, con delicatezza, mai come giudici, ma con il rispetto pieno della libertà, fino a trasmettere la sete di amore che ha Dio. E che festa quando si riesce a trovare la pecora smarrita! Portarla sulle spalle, nel suo ritorno a casa, non è un peso, ma è come un dispiegarsi delle ali della gioia. "Si fa festa".
Adesso che tante piccole parrocchie mancano di pastori, perché mancano preti e le vocazioni sono rare, la gente si accorge cosa voglia dire essere una comunità senza pastore; un pastore che non è solo punto di riferimento per la vita, è la sicurezza che finché c'è il prete in mezzo a loro, c'è Gesù; c'è la possibilità di gustare di essere custoditi da Lui.
Dobbiamo avere il coraggio di dire quello che tante volte il mondo non vuol sentire: "Abbiamo bisogno di Cielo, di pace, di Gesù. Abbiamo bisogno di santi preti che mostrino che il Cielo è la nostra casa.
Abbiamo bisogno di difenderci dai troppi mercenari che letteralmente ci derubano di tutto, lasciandoci nello smarrimento che proviamo.
Non resta che seguire la parola di Gesù: "Ho compassione di questo gregge senza pastore. Pregate il Padre che mandi operai nella sua messe".


Antonio Riboldi - Vescovo -

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