Omelia (29-03-2009)
padre Gian Franco Scarpitta
La sua "ora", la nostra ora

Agli sgoccioli della Quaresima notiamo alcuni Greci che, attraverso Filippo, tentano di avvicinare Gesù. Consideriamo attentamente che essi appartengono ad un panorama culturale del tutto estraneo al Giudaismo che educa ad essere refrattari all’idea di un Dio Personale Unico e onnipotente: per essi le divinità sono molteplici e la via per raggiungere la verità è puramente razionale. Paolo (Atti 17) cercherà invano di entrare in empatia con il loro mondo e con la loro concezione di divinità, tentando di accostare il "dio ignoto" con lo stesso Signore che egli sta annunciando, ma otterrà solo riluttanza e sottile ironia ("Su questo ti sentiremo un’altra volta"). Il caso di questi Greci che si trovano a Gerusalemme comunque è diverso: essi comunque sono appena approdati al giudaismo e si trovano sul posto per l’adorazione, come tutti i partecipanti alla Festa (giudaica); si rivolgono a Filippo forse per la familiarità che trovano nel suo nome ( l’apostolo infatti ha un nome di derivazione greca perché vogliono conoscere Gesù... Probabilmente in loro si è instaurata una sensibilità per la quale aver conosciuto il Dio storico salvifico che ha prediletto Israele fra tutti i popoli, non è ancora sufficiente e avvertono che questo stesso Dio deve essersi incarnato, Dio che ha raggiunto l’umanità già durante il profetismo adesso deve per forza aver portato a compimento la sua opera di rivelazione e di salvezza in una persona specifica che è il Salvatore Gesù Cristo.
Ecco perché Gesù asseconda la loro richiesta con quell’affermazione insolita, ma densa di significato: "E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo". Egli rivela loro un Dio che mostra la sua potenza e la sua gloria non nelle raffinatezze intellettuali o nelle opere sovrannaturali dirompenti ed eclatanti, ma semplicemente nella sua morte; come dirà poi Paolo: ", E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio."(1 Cor 1:22-24). Gesù insomma presenta in se stesso un Dio del tutto diverso da quello che i pagani e i miscredenti o altre religioni potrebbero aspettarsi, perché si tratta di un Dio che salva non nell’irruzione, ma nel nascondimento; non in quello che comunemente viene da noi definito sapienza e persuasione, ma al contrario in ciò che per l’uomo comune suona strano e assurdo, come appunto il fatto di un Dio che si lascia uccidere e crocifiggere.
Come afferma Pascal, una religione che affermi un Dio troppo palese e che rifiuti un Dio misterioso, quella religione non è vera: all’uomo serve un Dio che è amore e che per ciò stesso è in grado di manifestare la sua benevolenza all’uomo; ma quale Dio è più amante dell’uomo se non il Dio crocifisso? Appunto nella croce Dio manifesta la sua gloria e la sua vera potenza che è all’apice della prova d’amore per l’uomo; invece, come sempre afferma Paolo, qualsiasi sapienza umana rende vana la croce di Cristo (1 Cor 1, 17) e il Dio dei filosofi e dei fini intellettuali è quello che Cristo ci ha chiesto di evitare. Piuttosto, siamo invitati a contemplare il senso dell’"ora", ossia del momento favorevole della nostra salvezza nel quale i, potere delle tenebre può prendere in sopravvento perché si realizzi il disegno di salvezza divina a nostro riguardo attraverso la morte del Figlio di Dio e noi siamo invitati, alla vigilia della Domenica delle Palme, ad immedesimarci nella fede cristiana come prerogativa unica e irripetibile perché incentrata sul mistero della croce che configura il nostro essere cristiani perché fonda il monito alla speranza che si dispiega nella fede del Crocifisso che è destinato a risorgere. Non possiamo non configurarci al dolore di Cristo né rifuggire la croce del nostro dolore fisico e delle nostre angosce quotidiane come pure della nostra malattia e del dolore di ogni tipo giacché in tutto questo – afferma San Paolo – si completa nella nostra carne quello che manca ai patimenti di Cristo, mentre ogni privazione e ogni forma di male e di dolore acquistano nello stesso Signore il loro senso reale e diventano più sopportabili. Questa "ora" di Gesù pertanto è quella che ci appartiene e che non possiamo non considerare come la nostra, in essa avviene che il "chicco di grano" Gesù Cristo, che ha accettato di farsi meschino e di annullarsi per noi, muoia e si annienti del tutto proprio come il piccolo elemento del frumento che si perde nell’oscurità della terra al fine di portare frutto indefinito e incalcolabile: alla pari del chicco di grano che morendo arriva a sfamare una moltitudine di uomini appunto perché nel morire si è moltiplicato, così Gesù morendo apporterà il frutto molteplice della nostra salvezza e fonderà le motivazioni della nostra gioia rendendosi nostro alimento di vita anche come effettivo pane disceso dal cielo. Nella croce di Cristo si realizza quell’alleanza che nella Prima Lettura ci promette Geremia nello specifico della liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù dei Babilonesi che apporterà per noi la novità di vita nella liberazione che ci viene data da una giustizia e da una pace che scaturiranno dal cuore dell’uomo e non più dalla tassatività della legge scritta e lapidaria. Nel Cristo troveremo non tanto l’Alleanza, ma il nostro alleato, l’amico universale nel quale tutti ci incontreremo come fossimo uno e nel quale avrà finalmente il suo svelamento quell’alone di mistero che offusca la visione umana della verità, poiché egli stessi sarà la Verità che ci renderà liberi.
E’ pertanto necessario che si realizzi questa "ora" della sua glorificazione attraverso la sua passione, come pure è necessario che noi ci immedesimiamo in questo evento o meglio in questa prospettiva che è nostra propria della croce senza eluderne il peso per coglierne poi la portata di letizia.