Omelia (22-03-2009)
don Marco Pratesi
L'ultima parola

I due libri delle Cronache raccontano la storia di Israele fino alla fine dell'esilio. La presente lettura ne è la conclusione, che si lega direttamente all'inizio del libro di Esdra (cf. Esd 1,1-3; ma quale rapporto intercorra tra le due opere rimane controverso). Il brano, che risente molto del linguaggio dei due grandi profeti della crisi esilica, Geremia e Ezechiele, traccia un itinerario che è una duplice "salita". La prima è il crescere dell'ira del Signore. Di fronte all'idolatria e alle resistenze di Israele, che imita gli abomini degli altri popoli (è il linguaggio di Ezechiele, cf. 5,9-11; 7,3-9 etc.), Dio risponde con una cura sollecita e costante (il v. 15 riprende un'espressione di Geremia, cf. 7,13.25; 11,7; 25,3-4; 26,5; 29,19; 32,33; 35,14-15; 44,4). La storia del Cronista evidenzia spesso la presenza dei profeti, inviati ai re e alle guide del popolo, da Samuele, Gad e Natan al tempo di David, a Geremia al tempo di Sedecia e dell'esilio (cf. 1Cr 17,1ss; 25,1; 29,29; 2Cr 9,29; 12,5.15; 13,22; 15,8; 18,6ss; 19,2; 21,12; 25,15-16; 26,22; 28,9; 29,25; 32,20.32; 34,22ss; 36,12), spesso inascoltati e talora, come Geremia (cf. Ger 20,7), derisi. Il disprezzo, ossia il rifiuto, delle premure divine vede un progressivo montare dell'ira divina, che a un dato momento non può essere contenuta, determinando la rovina e l'esilio. A questo punto la terra promessa entra in un riposo sabbatico forzato. Quel riposo che gli Israeliti non avevano rispettato (cf. Ger 17,19-27, Ez 22,8.26; 23,38) viene imposto da Dio stesso, che così mostra di voler rimanere comunque in alleanza col popolo. Tale fedeltà si manifesta poi in chiaro con la conquista di Babilonia da parte di Ciro e il conseguente editto, che apre la possibilità di un'altra "salita": la salita a Gerusalemme per la ricostruzione del tempio, vero centro gravitazionale nella storia delle Cronache. Con ciò si conclude l'itinerario, che risulta dunque scandito in tre tempi: salita dell'ira, riposo sabbatico, salita a Gerusalemme.
Ira di Dio. Idea scomoda, che molti vorrebbero un relitto da dimenticare. Risposta di Dio all'idolatria umana, nasce dall'amore e non è finalizzata alla vendetta ma alla correzione. Nella misura in cui i vari richiami e segnali che la cura divina dissemina sulle strade dell'uomo sono insufficienti, Dio non rinunzia a indurre una presa di coscienza, lasciando assaggiare il sapore delle scelte idolatriche. Possiamo anche dire: abbandonando nelle "mani dei nemici" (cf. v. 17, non letto; Ger 12,7; 20,4-5; 34,20-21; Ez 39,23). Vuoi servire gli idoli? Allora sperimenta che cosa significa. Forse essi ti hanno donato la terra e il resto? Ecco il senso di questo sabato forzato: devi prendere nuovamente coscienza dell'alleanza, di te stesso, di Dio. Se il sabato è un segno di Dio e del suo primato (si veda il c. 20 di Ezechiele), il tempo dell'ira è il tempo del recupero di quel primato assoluto dimenticato. Recuperata questa consapevolezza si può di nuovo salire a Gerusalemme, abitare la terra, ricostruire il tempio, luogo del ritrovato incontro con Dio. Israele torna dall'esilio profondamente cambiato: ha perso in presunzione e acquistato in umile fiducia, con quel vivissimo senso dell'unicità di Dio, della sua "santità", che sarà proprio di tutta la sua storia seguente.
In ogni tempo d'ira, quando siamo consegnati nelle mani dei nostri nemici, che sono i nostri idoli, e sperimentiamo in qualunque modo la lontananza da Dio, siamo chiamati a mantenere ferma la fiducia che anche in questo tempo Dio mira comunque al bene, vuole dirci e darci qualcosa di buono. Negargli fiducia significa vivere questa situazione nella sterilità, come semplice maledizione. Quando consentiamo a fidarci, tutto diviene fecondità e benedizione. L'ira non è l'ultima parola che Dio ha da dirci. "Il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!": è l'ultima frase della Bibbia ebraica.

I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo.