Omelia (22-03-2009) |
don Maurizio Prandi |
Un Dio vulnerabile Mettiamo, in questa IV^ domenica di Quaresima un nuovo tassello riguardo al volto di Dio che Gesù ci rivela. Un Dio vulnerabile. Mi piace partire proprio da qui, dalla vulnerabilità di Dio (intuizione splendida di don Angelo Casati), perché ci consente prima di tutto di avere una conferma circa il cammino che fino ad oggi abbiamo fatto insieme. Intendo dire che il Dio che abbiamo contemplato le scorse domeniche come tentato, consegnato e appassionato, non può dirci altro di sé se non la sua vulnerabilità e non certamente la sua potenza o grandezza. L’ascolto di oggi lo trovo lo sbocco ideale del vangelo di domenica scorsa, quando abbiamo provato a lasciarci accompagnare dalla passione di Gesù; lo sbocco ideale perché avere una passione significa anche avere un debole, per qualcosa o per qualcuno... avere una passione, provare una passione significa anche, in un certo senso, prestare il fianco... di più: avere una passione significa lasciarsi raggiungere, ferire, toccare e allo stesso tempo significa voler bene, amare, investire un altro dei nostri sentimenti. Ci viene indicata anche oggi la strada dell’amore come la via maestra per costruire vita, per irradiare luce; scegliere di amare è scegliere di essere vulnerabili, è scegliere di non fare della potenza e della forza un valore, è scegliere di non essere dei vincenti così come il mondo oggi ti spinge ad essere ma è scegliere di fare della tua vita un’offerta. Su questo ricordo con grande piacere una meditazione di don Bruno Maggioni a noi (allora) seminaristi di Chiavari dove diceva che amare significa esporsi alle ferite, al dolore, al tradimento. Ripeto (scusatemi), amare significa essere vulnerabili e questa, che pare essere una prospettiva così poco attraente, il vangelo la paragona alla luce, amare, fare il bene significa essere luminosi; non amare, tradire, prevaricare significa scegliere l’oscurità, la tenebra. E’ luce la vulnerabilità, non l’essere tutti di un pezzo, dominatori inattaccabili: sento che è luce perché ti chiede di affidarti, ti chiede la relazione, ti chiede di tendere le mani, ti chiede di essere dentro, di scendere. Colui che è inattaccabile invece, è sempre distante dalla relazione e quindi anche dalle persone; ha fatto una scelta ben precisa: ha scelto di non soffrire, di non restare ferito e per poter fare questo ha scelto di non amare, di non esporsi, di farsi uno scudo, una corazza (don A. Casati). Verso la luce è la frase che ho scelto e che trovate sul foglio delle letture di questa domenica. Il nostro cammino alla ricerca del Volto sento che è un cammino verso la luce guidati dalla Parola di Dio, forse è lo stesso cammino che fa Nicodemo. Si, perché il brano di vangelo di questa domenica è la conclusione del dialogo tra Gesù e Nicodemo, questo "maestro in Israele" che va a trovare Gesù di notte. Nicodemo è un capo dei Giudei e probabilmente va da Gesù per cercare di capire meglio chi è questa persona in cui già riconosce un "maestro venuto da Dio". Alla domanda posta da Nicodemo, Gesù risponde che bisogna "rinascere dall’alto", risposta che naturalmente Nicodemo non capisce. Contemplare la Croce significa anche, credo, avere la possibilità di comprendere che lassù innalzato c’è l’amore capace di far rinascere, di dare nuova vita. Rinasciamo da quell’innalzamento, ma rinasciamo anche ogni volta che ci doniamo agli altri. Bello anche che Nicodemo abbia scelto per il suo incontro l’ora del buio, forse con la vaga intuizione che Gesù lo può condurre alla luce. Un’ultima sottolineatura sulla vulnerabilità come scelta di Dio la faccio collegando la prima lettura al vangelo che ci dicono come Dio ami ancora una volta gratuitamente, anzi, in perdita. La lettura del libro delle Cronache dà una visione dell’alleanza tra Dio e il suo popolo: si nota il contrasto tra l’infedeltà del popolo e la fedeltà di Dio. In un primo tempo l’ira di Dio si manifesta nella distruzione di Gerusalemme e del tempio; ma questa ira è provvisoria e lascia poi il posto al trionfo dell’amore e del perdono di Dio. Il decreto di Ciro che permette il ritorno degli esuli è il segnale della rinascita di Israele; il peccato, per quanto grave non ha cancellato la fedeltà di Dio. Questo amore ostinato credo si possa vedere bene nell’amore che Dio ha, come dice S. Giovanni, per il mondo: il mondo ha, nel vocabolario dell’evangelista, una connotazione negativa, indicando quella realtà concreta della storia umana che si è realizzata come lontana da Dio. Il mondo è la realtà da cui il cristiano deve guardarsi, ma è nello stesso tempo quella realtà che Dio ama al punto da renderla degna del dono del suo Figlio unigenito. Dio ha amato il mondo, cioè ha amato l’uomo concreto, l’uomo della sfiducia, l’uomo del peccato, l’uomo dell’allontanamento da lui. In questo concetto sta un po’ tutto l’agire di Dio. L’amore incondizionato che Dio ha del mondo lo esprime dando il suo Figlio unigenito o come alcuni traducono, gettando il suo Figlio unigenito. Che la nostra vita possa essere nel segno della vulnerabilità, dell’offerta, dell’esposizione: una vita sempre donata, mai tenuta stretta, prigioniera. |