Omelia (29-03-2009) |
don Marco Pratesi |
La nuova alleanza "Sradicare e piantare", questa la vocazione di Geremia (cf. 1,10; 24,6; 31,28): distruggere le false sicurezze e annunziare la disfatta dell'idolatria d'Israele, con la presa di Gerusalemme e l'esilio in Babilonia; aprire nuove prospettive e annunziare il nuovo che rinasce sulle ceneri del vecchio. Si osserva questo doppio movimento anche a proposito del centrale tema dell'alleanza. In 11,1-14 vediamo l'impegno che il profeta ha profuso per richiamare il popolo alla sua osservanza (idea centrale nel passo, cf. i vv. 2, 3, 6, 8, 10). Sembra che egli abbia avuto parte attiva nella riforma religiosa promossa dal pio re Giosia, mirante a purificare Israele dall'idolatria e legata alla teologia deuteronomista (testimoniata da Deuteronomio, Giosuè, Giudici, Samuele, Re). Nello stesso testo vediamo anche il fallimento di questo impegno: il popolo persiste nelle sue pratiche idolatriche, segue l'ostinazione del suo cuore (v. 8, linguaggio caratteristico di Geremia: cf. 3,17; 7,24; 9,13 etc.) e Dio minaccia la punizione, che puntualmente verrà. Il ministero del profeta però non si ferma qui. I cc. 30-33 costituiscono un "libro della consolazione", nel quale oracoli pronunziati in situazione diverse sono raccolti e letti in prospettiva unitaria come annunzio della restaurazione di tutto Israele (regni del nord e del sud, "casa d'Israele e casa di Giuda" al v. 31) che non è solo ritorno al passato ma creazione di qualcosa di nuovo (cf. 31,22). Nel nostro passo, vertice del libretto della consolazione, Dio prende atto che Israele non ha tenuto fede all'impegno preso dai padri nell'Esodo, legato alla comunicazione della volontà divina (cf. Dt 4,13; 5,2.22; 9,9-11.15), e proclama la sua volontà di assumersi un nuovo impegno: mettere la propria legge nel cuore degli Israeliti, realizzando così una vera mutua appartenenza (cf. 7,23; 11,4; 30,22; 31,1; 32,38). Dio stesso farà in modo che il rapporto non venga più infranto dalla disobbedienza di Israele. Il cuore ostinato e ribelle diventerà docile e obbediente, portando in sé profondamente impressa la legge di Dio e l'esclusiva appartenenza a lui. La conoscenza del Signore, l'intimo rapporto con lui, non sarà più qualcosa che proviene da una istruzione esterna, ma sgorgherà spontaneamente dal centro della persona. Effettivamente l'esperienza dell'esilio rappresenterà una purificazione e un approfondimento della fede d'Israele, che torna in patria come "resto", popolo di poveri che mette la sua fiducia nell'unico Signore senza appropriarsi di lui, senza servirsi del suo nome e del suo tempio come di un talismano, facendo della religione un sistema funzionale a sé e alla propria sicurezza. Questo movimento, in virtù del quale azione divina e umana tendono sempre più a compenetrarsi, proseguirà fino a Gesù, nel cui cuore si realizza totalmente. I richiami al nostro passo nel nuovo Testamento (citato e commentato in Eb 8,8-12;10,16-17, richiamato in Mt 26,28; Lc 22,20; At 10,43; Rm 11,27; 1Cor 11,25; 2Cor 3,3.6; 1Ts 4,9; 1Gv 2,27) mostrano l'importanza che la chiesa apostolica gli attribuiva. In Gesù, e in particolare nel suo sangue versato, si realizza l'alleanza nuova che riconcilia l'uomo con Dio e ricrea il suo cuore, assimilandolo a quello del Cristo, vivo e palpitante messaggio che Dio invia al mondo. I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano - EDB nel libro Stabile come il cielo. |