Omelia (05-04-2009) |
Suor Giuseppina Pisano o.p. |
Una domenica senza omelia, questa, che ci immette nella settimana " Santa" per eccellenza, a motivo degli eventi che celebra: l'istituzione dell'Eucarestia, memoriale del Signore Gesù, e, di seguito, la sua passione e morte di Lui. E' una liturgia ricca, che va dalla rievocazione dell'ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme, al silenzio sconvolgente della lunga lettura della Passione del Cristo, che si conclude con la morte del Figlio di Dio, in quel venerdì, il più amaro e fecondo della Storia. Davanti ad ogni morte, c'è sgomento e silenzio, e le parole, sembrano morire anch'esse, come suoni senza forza; eppure, in queste circostanze, stare insieme, e parlarsi, è come tener vivo e presente, chi ci ha lasciato, chi non ha più voce né sguardo, mentre lo vorremo tenere ancora con noi. E' così, anche di fronte alla lettura dei fatti che condussero alla morte di Cristo, il Signore, che vogliamo tener presente tra noi; Lui che è il Dio vicino, il Dio solidale, il Dio che ama, sino alla fine e oltre la fine; perché il suo amore è infinito, e onnipotente, di quell'onnipotenza che non sovrasta, ma che lo ha portato ad essere simile all'uomo, come Paolo ci ricorda, nel suo insuperabile inno: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina.... spogliò se stesso, assumendo la condizione di sevo, e divenendo simile agli uomini..." ( Fil. 2,6). Così, anche in una domenica senza omelia, tra amici, condividiamo alcuni pensieri che nascono dal cuore, per sentire vivo e presente tra noi il Redentore, che offre la sua vita, in riscatto per ognuno di noi, noi che viviamo oggi, noi che abbiamo un nome e un volto; nella sua passione, lunga, solitaria e dolorosa, infatti, ci siamo anche noi. Quest'anno, il racconto della Passione è quello di Marco: un racconto asciutto, essenziale, e che non trascura i particolari, talvolta crudi, ma sempre significativi, che valgono a sottolineare, con drammatica chiarezza, la dimensione umana del Dio incarnato in Gesù di Nazareth, il Dio veramente uomo, che si è messo dalla parte dell'uomo: dell'uomo peccatore. La narrazione di Marco inizia da Betania, il luogo caro a Gesù; lì, infatti, abitavano i suoi amici: Lazzaro Marta e Maria, un'oasi di riposo e di pace per il Maestro, il momento dell'amicizia sincera, e della fraternità quieta; in questo momento, egli si trova in casa di Simone, il lebbroso, e, mentre tutti sono a mensa, ecco entrare nella sala un'anonima donna, con un vasetto di alabastro contenente un prezioso unguento, col quale cospargerà i piedi del Signore. Il testo precisa che "mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di impadronirsi di Gesù con l'inganno per ucciderlo...; dunque, mentre a Gerusalemme si decide, già, della morte di Cristo, a Betania, una donna compie un gesto profetico, che gli ottusi commensali non comprendono, è il gesto, che avrebbero compiuto le donne, all'alba del terzo giorno, recandosi al sepolcro, se non lo avessero trovato vuoto: il Signore Gesù era, infatti, risorto. Betania è, dunque, un momento di luce, un bagliore della Pasqua, prima dei giorni oscuri dell'arresto e della successiva condanna a morte, prima della vile consegna del Maestro, da parte di Giuda ai sommi sacerdoti. Poi, " il primo giorno degli Azzimi, come recita il testo, quando si immolava la Pasqua...", i discepoli, a Gerusalemme, prepararono per quell'ultima Pasqua che Gesù avrebbe consumato coi suoi: una cena, segnata dal dono del suo corpo del suo sangue, dono dell'amore infinito, che si esprime nel gesto estremo del corpo offerto in sacrificio, e del sangue versato: il memoriale che durerà nella Storia sino alla fine dei tempi. E poi la notte. Terminato il rito della Pasqua, cantato l'ultimo inno, Gesù e i suoi uscirono, e si recarono al Getsemani, il luogo dell'angoscia, della terrificante agonia del Figlio di Dio, che prega solo, e suda sangue, mentre gli amici, vinti dal sonno, dormono. E' l'inizio dei tre giorni sconvolgenti, cuore del Mistero della salvezza, giorni che incominciano con l'arresto del Maestro, e culmineranno nella luce del mattino di Pasqua: "l'unico mattino della Storia", come scrive G. Bernanos. Questi eventi drammatici hanno un testimone singolare in un giovinetto: è lo stesso Evangelista, poco più che bambino, il quale, all'arresto di Gesù, mentre tutti lo abbandonano e fuggono, lo segue:" Un giovinetto, però, lo seguiva, scrive Marco, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono; ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì, nudo."; un particolare significativo, perché, camminare sui passi di Cristo, esige realmente una profonda nudità; esige che si abbandonino inutili orpelli e coperture, per procedere dietro a Lui, nella fede e nell'amore, guardando a lui solo, con la nudità, che è propria dell'amore: la nudità della verità di un cuore fedele. Marco, che racconta, è testimone di quegli eventi, e di quei giorni di violenza e di barbarie: la barbarie di una condanna ingiusta, di un processo da farsa, messo in piedi dall'invidia, e tenuto su da una folla, ormai ostile e manipolata dai capi; una folla, che è come una bestia impazzita, e non sa che gridare:"Crocifiggilo!"; ed è la stessa folla, che lo aveva seguito e acclamato, la folla che aspettava da Lui i miracoli, la folla sfamata dai pani moltiplicati; la folla che aveva visto guarire paralitici, ciechi e indemoniati; ora, quella stessa folla è fuori di sé, e chiede solo la morte di quell'uomo, ormai massacrato dalla flagellazione, e mascherato da re, per sfregio. E Lui, è lì, in silenzio, e solo. "Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba, scrive il profeta Isaia, guardando dal suo lontano tempo alla passione del Cristo, non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi." Gesù è lì, tra le autorità, politiche e religiose, la folla che reclama la sua morte, e la violenza bruta dei soldati; è lì, solo: i suoi discepoli, se qualcuno è rimasto, in quella marea di gente scalmanata, si tengono bene al sicuro, tanto al sicuro che Pietro, imprecando, assicura, davanti ad una serva, di non conoscerlo; Pietro, che durante la cena pasquale aveva proclamato con forza:" Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò!". La solitudine del Cristo, dal Getsemani al Calvario, si fa sempre più amara e lacerante, perché all'abbandono degli amici e al tradimento, di chi aveva consumato la Pasqua con lui, si aggiunge, alla fine, il misterioso, drammatico silenzio del Padre, un silenzio che, per l'uomo Gesù è angoscia di abbandono:" Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" è il grido di Lui, il Figlio di Dio, che muore sulla croce, e, in quel grido, sembra riassumere, in una sola voce, tutto il dolore dell'umanità, l'umanità di ogni tempo e di ogni latitudine, l'umanità lacerata interiormente, e che solo da Dio attende luce, conforto e amore. Il chicco di grano, caduto nella terra, è, ora, nel buio più totale, lì, sul Golgota, è solo, nelle mani degli uomini, che ancora lo deridono e lo scherniscono. Solo alcune donne son lì, a distanza, come richiesto dalle circostanze, ma vicine col cuore; e Marco ne ricorda i nomi: Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e Joses, Salòme, e poi, c'è sua madre, anche lei è lì, in piedi e, sicuramente le risuoneranno nel cuore le lontane parole dell'Angelo: "...Egli sarà grande, e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide..." (Lc. 1,31-32) ed ora, suo figlio è lì, sotto i suoi occhi, è lì ed è un uomo sconfitto, condannato, come un qualunque delinquente. In un lontano giorno, nel tempio, Zaccaria le aveva detto:" ..a te una spada trapasserà l'anima..." (Lc. 2,35); ora, quella spada è realmente piantata nel suo cuore, e lei sta lì, presso la croce, lì, in silenzio, obbediente come quel figlio, suo figlio: il Figlio di Dio. Maria di Nazareth, la Madre, è sul Calvario, spettatrice di una totale sconfitta, testimone della tragedia più grande che la Storia abbia mai vissuto; lì, come impietrita, e impotente a dare aiuto al Figlio che muore; ma lì, sulla via del Calvario, come sul Golgota, assieme alla Madre, ci siamo anche noi, tutti noi, che abbiamo bisogno della salvezza che viene da Dio: un Dio che muore in croce. "Gesù, scrive Marco, con una delle sue frasi lapidarie, dando un forte grido, spirò". E' l'ultimo, forte grido del Redentore, un grido, cui fa eco lo sconvolgimento della natura:" Allora, recita il testo, il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso."; un grido cui fa eco anche, il grido di fede del soldato romano:" Allora, continua il testo, il centurione, che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: Veramente, quest'uomo era Figlio di Dio!" E il grido del centurione è come un bagliore di luce, nel buio di quella tragedia, un bagliore di luce che, in qualche modo, anticipa la luce del mattino di Pasqua, il giorno unico del trionfo della vita, nella Resurrezione del Cristo; e quel grido di fede del soldato romano, è l'annuncio di fede che ancora risuona nel mondo, un annuncio del quale, noi tutti, che siamo risorti in Cristo, ci facciamo ogni giorno portatori. A tutti gli amici di Qumran2, l'augurio di una Pasqua veramente luminosa e felice nel Signore della Vita. sr Maria Giuseppina Pisano o.p. mrita.pisano@virgilio.it |