Omelia (22-03-2009) |
don Daniele Muraro |
... e noi siamo creati in Lui per le buone opere "Noi siamo creati in Cristo Gesù per le opere buone, che Dio ha preparato perché in esse camminassimo." Il messaggio di san Paolo ci indica un punto di partenza, la nostra creazione ad opera di Dio, e un percorso da compiere, quello delle opere buone. Chi attribuisce il mondo al caso fa fatica a trovarne uno scopo. Anche chi pensa che ci sia stata una evoluzione secondo leggi materialistiche, di lotta per la sopravvivenza, si trova in difficoltà. Se vale la legge del più forte con quali giustificazioni si può fare appello alla collaborazione e alla solidarietà? Con la ragione comprendiamo che l’egoismo non può essere la prima parola all’origine del mondo, e se rimane la parola più importante nella storia, l’egoismo grava come una minaccia di rovina e fine anticipata di ogni cosa bella. Tuttavia è corretto non ignorare il concreto sviluppo delle vicende umane. Alla crescita materiale non sempre è corrisposto un affinamento spirituale. Anche ai nostri giorni all’aumento della potenza tecnica non fa riscontro un adeguato sviluppo della responsabilità morale. Abbiamo più mezzi, ma ci ritroviamo con meno fini e perciò siamo incerti, come bloccati. Sembra proprio che per quanti slanci di salire verso l’alto si tentino, l’umanità sia condannata a venire ogni volta schiacciata verso il basso dalla pesantezza della sua condizione. A meno che non l’attiri verso il cielo una forza buona che la supera. Un bell’esempio di considerazione della storia dal punto di vista religioso la troviamo nella prima lettura. Non è la lotta per la sopravvivenza che decide del futuro di un popolo, ma il rispetto verso Dio e la fedeltà all’alleanza con Lui. La decadenza della società consegue al disprezzo della legge del Signore e ai tanti compromessi con le pratiche pagane idolatriche. "In quei giorni, tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà, imitando in tutto gli abomini (cioè i modi di fare perversi) degli altri popoli..." I profeti mandati da Dio come messaggeri venivano presi in giro, offesi e alle volte anche malmenati "al punto che" dice la lettura "l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il culmine, senza più rimedio." Senza più la protezione di una coscienza apposto e di una condotta coerente, i nemici ebbero mano libera per incendiare, demolire, saccheggiare e deportare. Il distacco da Dio comportò anche la rottura dell’unità del popolo e la perdita della propria sovranità nazionale. Per il popolo ebreo la fiammella della speranza si riaccese settant’anni dopo e il primo impegno che si presero i superstiti fra i deportati in Babilonia fu quello di ricostruire il tempio del Signore in Gerusalemme. "Chiunque di voi appartiene al suo popolo, il Signore, suo Dio, sia con lui e salga!". È l’esortazione del nuovo re Ciro agli esuli ebrei. La promessa di riscatto anticipata nella prima lettura, il Vangelo di Giovanni la allarga all’umanità intera. "Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui". Nicodemo va a parlare con Gesù di notte, perché si vergogna a interpellarlo di giorno. Egli è un capo dei Giudei e teme di compromettersi frequentando Gesù alla luce del sole. Anche oggi molte persone in vista tornano al Vangelo quasi di nascosto, lontano dall’attenzione dei mass-media. Gesù accoglie la sua richiesta di spiegazioni e lo introduce nel mistero del grande amore di Dio. "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna." San Paolo nella seconda lettura cosa con parole sue aveva detto la stessa: "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati." Anche la conclusione che tira san Paolo ricalca il proseguo del ragionamento di Gesù con Nicodemo: è la fede che salva, non le opere, o per meglio dire solo la fede può ispirare opere degne, gradite a Dio. "Per grazia infatti siete salvati mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene." Possiamo chiederci perché solo la fede salva. Gesù nel colloquio con Nicodemo dice che bisogna rinascere dall’alto e poi aggiunge un esempio tratto dall’Antico Testamento. Nel deserto veniva guarito dal morso dei serpenti velenosi solo chi guardava il serpente di rame innalzato da Mosè per ordine di Dio su un’asta, così nell’inveramento di questa immagine, solo chi guarderà a Gesù in croce avrà la vita eterna. Solo Gesù è luce per le tenebre che opprimono mente e cuore, intelletto e volontà. Ecco allora l’ultima parte del Vangelo, che può servire anche da conclusione della nostra riflessione. Chi desidera vivere bene si volge spontaneamente alla luce per trovarvi fulgore e calore e la proposta della fede trova in lui un terreno favorevole e porta frutti buoni. Chi invece non vuole distaccarsi dal male, teme la luce, perché il suo chiarore rischia di far apparire più definita e più scura le ombre della propria colpa. Alla fine la propria salvezza ritorna ad essere una questione di amore oppure di egoismo, ma non in astratto, bensì nei confronti della persona di Gesù. Noi siamo stati creati in Lui, Egli ci conosce, il suo appello non ci può lasciare indifferenti, la sua croce diventa giudizio nella nostra coscienza; ma eventualmente sarà solo per un’ostinazione senza pentimento che il giudizio per qualcuno non si volgerà a salvezza, bensì sarà a suo danno. È il caso serio della fede, come è stato per Gesù il caso serio della sua morte, serio ma non triste. San Giovanni vede la crocifissione dl Venerdì santo già come un innalzamento ("Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo") e il giorno di Pasqua la sua resurrezione darà ai suoi amici una conferma piena di gioia e pace. |