Omelia (29-03-2009) |
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COMMENTO ALLE LETTURE a cura di Padre Alvise Bellinato OBBEDIRE PER ESSERE LIBERI Se consultiamo nel dizionario etimologico l’origine della parola "obbedienza", possiamo trovare una risposta curiosa: "Obbedienza deriva da OB (dinanzi) e UDIRE (prestare ascolto). Significa: seguire gli altrui comandamenti, sottomettersi ai voleri altrui". Obbedire, in pratica, significa ascoltare davvero una persona che ci sta dinanzi. Uno degli errori che noi cristiani rischiamo di fare al giorno d’oggi è quello di pensare che l’obbedienza a Dio sia qualcosa che riguarda specialmente le persone consacrate, i preti e le suore, o coloro che fanno un voto di obbedienza a Dio. La Parola di Dio ci ricorda una cosa molto importante: tutti i cristiani sono chiamati (e qui richiamo alla memoria la definizione del dizionario etimologico) a "sottomettersi al volere di Dio", ad obbedirgli. Anche se normalmente nel cristianesimo si preferisce partire dalle categorie della libertà e dell’amore, rispetto ad altre religioni come per esempio l’Islam (la parola ISLAM significa sottomissione, nel senso di obbedienza al volere di Dio), è importante dire, oggi, che anche noi battezzati, pur nella libertà e nell’amore, siamo chiamati a sottometterci ai comandamenti di Dio, cioè ad obbedirgli. "Voi siete miei amici –dice Gesù- se obbedirete a ciò che vi comando"(cfr Gv 15,15). Questo tema dell’obbedienza è oggi discusso. La gente ci tiene molto ad essere libera e fa una gran fatica a sottomettersi a qualcuno: in questo momento storico, dominato dalle categorie del’individualismo e dell’autonomia personale, l’obbedienza è vista spesso come una limitazione della libertà del singolo e della propria personalità. Eppure Gesù nel Vangelo ci ha detto con chiarezza: "Se obbedirete alla mia parola sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (cfr Gv 8, 31-32). Forse verrà un giorno in cui dovremo decidere a chi vogliamo badare, se a noi stessi (convinti che sottomettersi a qualcuno significhi perdere la nostra libertà) o a Gesù (che nel Vangelo afferma che sottomettendoci a lui la libertà invece la guadagniamo). Sembra difficile rimanere a metà strada e non fare una scelta. La Parola di Dio di questa Domenica ci offre l’opportunità di fare questa scelta e riflettere su questo tema importante della vita cristiana, chiarendoci un po’ le idee su tre cose: di che tipo deve essere l’obbedienza, come si acquisisce e dove ci porta l’obbedienza. Vediamo brevemente questi tre punti. DAL "FUORI" AL "DENTRO", VERSO LA VERA OBBEDIENZA La prima lettura mette in paragone due diversi tipi di obbedienza. Da un lato c’è un’obbedienza che potremmo definire "vecchia", fatta di adesione esterna e un po’ legalista a richiami difficili da osservare, che non sono sentiti nel profondo del cuore. In questo caso è necessario fare ciò che scrive il profeta Geremia, cioè istruirci gli uni gli altri, dicendo (e talvolta... gridando): "Riconoscete il Signore!". É necessario il richiamo esterno, l’ammonizione, una qualche forma di costrizione. I comandamenti sono pesanti da osservare ed è facile incorrere nel rimprovero di Dio che abbiamo udito: "La mia alleanza l’hanno violata, benché io fossi il loro Signore". Questo primo tipo di obbedienza potremmo dire che parte "da fuori" e cerca (talvolta senza riuscirci) di arrivare al "dentro" dell’uomo: è un processo duro. Dall’altro lato c’è un’obbedienza nuova e misteriosa, che funziona nel modo esattamente opposto: parte "dal di dentro" e si manifesta al di fuori visibilmente, in frutti meravigliosi. Parte dal di dentro, nel senso che Dio stesso la pone nell’intimo degli uomini: "Porrò la mia legge nel loro animo, la scriverò sul loro cuore". Tutto cambia: gli uomini sentono di obbedire alla legge di Dio perché avvertono nel cuore che quello che Dio chiede è giusto, buono: può rendere l’uomo felice e libero. Appare una convinzione nuova, che nasce dalla consapevolezza che non c’è conflitto tra le profonde aspirazioni del nostro cuore e i comandamenti di Dio: si comprende finalmente che Dio non è nemico della nostra libertà e felicità. I risultati visibili di questa obbedienza sono così elencati dal profeta Geremia: "tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande", "io sarò il loro Dio ed essi il mio popolo", "io perdonerò le loro iniquità e non mi ricorderò più del loro peccato". È chiaro, nella prima lettura, il riferimento a un confronto tra l’antica alleanza, basata sui 10 comandamenti e sui 613 precetti della legge di Mosè, e la nuova alleanza d’amore, realizzata da Gesù con la sua morte e risurrezione, basata sull’unico comandamento dell’amore: "Amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi" (Mc 12,33). I Padri della Chiesa, nel mettere a confronto queste due alleanze, sottolineano spesso i "materiali" su cui sono state scritte e lo strumento usato per la scrittura. La prima era scritta con lo scalpello su due tavole fatte di pietra, dure, fredde, rigide. La seconda invece, scritta con il fuoco dello Spirito sulle tavole di carne del nostro cuore è, potremmo dire usando una metafora, più calda, intima, morbida. Anche l’obbedienza richiesta, nelle due alleanze, è diversa: Gesù invita a passare da una obbedienza esteriore, legalistica, basata sui precetti, ad una interiore, più radicale ed esigente, che nasce dall’amore. Per realizzare questo passaggio è necessario vivere e agire nell’amore. Nell’orazione all’inizio di questa Messa abbiamo chiesto al Signore di venire in nostro aiuto, "perché possiamo vivere e agire sempre in quell’amore che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi". È in questo amore che si può realizzare la vera obbedienza ed entrare nella nuova alleanza. Potremmo allora cambiare la preghiera e farla nostra in questi termini: "Vieni in nostro aiuto, Signore, perché possiamo obbedire a te sempre in quella carità che spinse il tuo Figlio a dare la vita per noi". UN PROCESSO GRADUALE La seconda lettura ci dice qualcosa sul processo spirituale che ci porta ad essere obbedienti. È vero che Dio pone la legge nel cuore degli uomini e, attraverso l’ascolto, essi possono scoprire la bellezza e verità dei suoi comandi, ma questo non significa che tutto sia dato da Dio e l’uomo non debba fare nulla. C’è una parte che spetta a noi, che è fatta di sacrificio, di educazione, di crescita: ad obbedire si impara. E si impara soffrendo. Perfino Gesù, in quanto uomo, ci dice l’autore della lettera agli Ebrei "pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono". Questa immagine di Gesù che impara l’obbedienza, come noi, è molto importante e significativa: lui stesso si è fatto solidale con noi e ci ha dato un esempio, mostrandoci la via giusta, nella sua vita terrena. È significativa la sottolineatura che, proprio per il fatto di essere stato obbediente, può ora chiedere a noi l’obbedienza, per donarci la salvezza. L’obbedienza della fede consiste nell’ascolto della sua Parola e nel mettere in pratica i suoi comandi. Si ripete qui una dinamica simile a quella espressa in un altro passo della Scrittura: "Sia Benedetto Dio, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio" (2 Cor 1, 4). Chi ha ricevuto la consolazione che viene da Dio può diventare a sua volta consolatore. Riferito all’obbedienza, potremmo dire: "Chi ha obbedito al Padre è degno di essere obbedito". La seconda lettura ci ricorda, quindi, che l’obbedienza non è connaturale all’uomo: ci sono delle resistenze da vincere, ma Gesù nella sua santa umanità ci ha dato l’esempio da seguire. L’obbedienza ha la capacità di "rendere perfetto", cioè conforme al piano di Dio, alla sua volontà e, in questo modo, di partecipare alla salvezza del mondo. Un illustre esegeta inglese da un’interpretazione illuminante dell’episodio del centurione evangelico. "Io, dice il centurione, sono un uomo sottoposto a una autorità, e ho sotto di me dei soldati, e dico all'uno: Va' ed egli va, e a un altro: Vieni! ed egli viene, e al mio servo: Fa' questo ed egli lo fa" (Lc 7, 8). Per il fatto di essere sottoposto, cioè obbediente, ai suoi superiori e, in definitiva, all'imperatore, il centurione può emettere ordini che hanno dietro di sé l'autorità dell'imperatore in persona; egli viene obbedito dai suoi soldati, perché, a sua volta, obbedisce ed è sottoposto al suo superiore. Così, egli pensa, avviene con Gesù, nei confronti di Dio. Dal momento che lui è in comunione con Dio e obbedisce a Dio, ha dietro di sé l'autorità stessa di Dio e perciò può comandare al suo servo di guarire ed egli guarirà, può comandare alla malattia di lasciarlo ed essa lo lascerà. In quest’ottica possiamo forse intuire il senso di alcuni episodi narrati nella Scrittura, come ad esempio, la prova di obbedienza cui Dio sottopose Abramo, che abbiamo ascoltato tre Domenica fa: l’ascolto-dinanzi (ob-audire) della voce di Dio genera l’adesione profonda della fede, anche in situazioni di grande prova e sofferenza e diventa poi un esempio per gli altri. FARE LA VOLONTÁ DI DIO Se la prima lettura ci dice di che tipo deve essere l’obbedienza, e la seconda lettura come si acquisisce l’obbedienza, il Vangelo ci mostra con chiarezza dove ci porta l’obbedienza. Lo scopo di essa è di portarci a fare la volontà del Padre: ad essere come Dio ci ha pensati. Nel Vangelo vediamo chiaramente come Gesù manifesta la sua completa adesione al piano di salvezza del Padre, un piano che richiede il sacrificio e la sofferenza. La risposta di Gesù è generosa e completa, accompagnata da una grande convinzione: "se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto". Non si tratta di una adesione a una volontà sconosciuta o incomprensibile, o assurda. Nonostante la parte umana provi tristezza e angoscia, la parola ultima viene da un cuore fiducioso: "Ora l’anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome". L’ascolto della voce del Padre genera la certezza che ciò che accade non è frutto del caso o delle coincidenze, ma è parte di un preciso progetto, di un disegno preparato da tempo: la risposta obbediente è necessaria, per portare a compimento il progetto di Dio. Questa risposta viene data nella più completa libertà e con il più grande amore. La voce del Padre, che nel Vangelo viene confusa da alcuni con un tuono, giunge come una conferma, a sottolineare che l’adesione alla volontà di Dio non è per la morte, ma per la vita, non è per la sconfitta, ma per la gloria. "Ma perché è così importante obbedire a Dio? Perché Dio ci tiene tanto a essere obbedito? Non certo per il gusto di comandare e di avere dei sudditi! È importante perché obbedendo noi facciamo la volontà di Dio, vogliamo le stesse cose che vuole Dio e così realizziamo la nostra vocazione originaria che è di essere "a sua immagine e somiglianza". Siamo nella verità, nella luce e di conseguenza nella pace, come il corpo che ha raggiunto il suo punto di quiete. Dante Alighieri ha racchiuso tutto ciò in un verso considerato da molti il più bello di tutta la Divina Commedia: "e ’n la sua volontate è nostra pace" (P. Cantalamessa, Prediche di Quaresima alla Casa Pontificia, 31 Marzo 2006). Concludiamo queste nostre riflessioni con una preghiera breve e intensa: "Gesù Maestro, insegnaci l’ascolto vero di Dio... Gesù Maestro, insegnaci l’obbedienza alla Parola del Padre... Gesù Maestro, insegnaci a scegliere la volontà di Dio... Gesù Maestro, insegnaci a rivolgerci a Dio con amore... (Marino Gobbin). |